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Elezioni regionali Campania e Puglia, non c’è accordo sui nomi di Caldoro e Fitto perchè la Lega non è soddisfatta

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Tutto in alto mare all’interno del centrodestra alle prese con il difficile snodo delle candidature comuni alle prossime regionali di primavera. Per la prima volta, in modo esplicito, la Lega ammette che non e’ stato deciso nulla. “Le candidature alle regionali – afferma l’ex ministro leghista Gian Marco Centinaio – non sono ancora chiuse. Finche’ Salvini non ci dice che quelli sono anche i nostri candidati…”. Piu’ tardi, in diretta su Facebook, lo stesso segretario federale osserva che “non e’ necessario o sufficiente per essere un buon sindaco o un buon governatore avere una tessera”. Un vero via libera a candidati civici. “Ci stiamo impegnando – aggiunge Salvini – per vedere se c’e’ gente nuova e coraggiosa che si vuole impegnare: per loro le porte della Lega e del centrodestra sono aperte, senza egoismi di partito. Lasciamo alla maggioranza i litigi”. Poche parole, apparentemente banali, con cui di fatto la Lega cancella con un colpo di spugna gli accordi gia’ siglati mesi fa con gli alleati che, dal canto loro, ovviamente reagiscono irritati, chiedendo il rispetto dei patti. Al centro dello scontro ci sono soprattutto le sfide in Puglia, in cui il candidato in pectore e’ Raffaele Fitto, vicino a Giorgia Meloni e l’azzurro Stefano Caldoro in Campania. Sul primo nome Fratelli d’Italia non intende nemmeno discutere: forti di un sondaggio che li da’ in forte avanzata, oltre il 12%, il partito di Meloni non ha nessuna voglia di cedere terreno. Anche Forza Italia annuncia le barricate: “La nostra priorita’ irrinunciabile – puntualizza il vicepresidente azzurro Antonio Tajani – e’ la Campania con Caldoro. E’ il candidato scelto da Berlusconi e ratificato con un voto dal Comitato di presidenza”. Il clima e’ pesante, tuttavia i pontieri sono al lavoro per arrivare a un vertice dei leader. Domani Giorgia Meloni sara’ a Milano, e chissa’ che non sia il giorno giusto per un confronto, o solo con il Cavaliere o a tre, e l’avvio di una schiarita. Intanto continua serrato il confronto tra Lega e Fratelli d’Italia nella loro partita sul fronte internazionale. Matteo Salvini, durante un lungo incontro con la stampa internazionale sferra un colpo al partito di Giorgia Meloni, definendolo una forza di “destra radicale” a differenza della Lega che “parla a tutti”. Parole che fanno storcere il naso a tanti ‘patrioti’. E in Transatlantico alcuni di loro fanno trapelare la loro insoddisfazione ricordando che FdI ha la copresidenza del gruppo dei conservatori in Europa e ottimi rapporti con l’amministrazione Trump. Semmai e’ la Lega – osservano – ad essere alleata di Le Pen e di Afd, certamente non loro. Scaramucce a parte, all’indomani del voto del Senato sul processo Gregotti, Matteo Salvini affronta la stampa estera per oltre un’ora e mezza. L’obbiettivo e’ spiegare le sue posizioni, promuovere la sua immagine oltre confine e soprattutto assicurare la comunita’ internazionale che un eventuale governo a trazione leghista non metterebbe in discussione la collocazione dell’Italia all’interno dell’Ue e della zona euro. Regista dell'”operazione simpatia” Giancarlo Giorgetti, responsabile Esteri del partito e gran tessitore dei rapporti che contano. Ed e’ proprio lui a spiegare in apertura il senso dell’incontro, definendo Salvini “il segretario di un partito che e’ stato piu’ volte al governo, che governa le regioni piu’ moderne d’Italia, assolutamente in grado di rappresentare il popolo italiano senza vergogna, ad ogni livello, anche con l’estero”. In qualita’ di ‘garante’ ricorda che “prima o poi tocchera’ alla Lega assicurare il governo”. “Quindi – conclude – abbiamo il dovere di dire chi siamo al di la’ di una coperture mediatica non sempre benevola”. Alla fine, dopo molte domande su migranti e sovranismo, lo stato maggiore leghista e’ soddisfatto, parlando di “missione compiuta”.

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Cronache

Strasburgo: Getty restituisca la statua dell’Atleta di Lisippo all’Italia

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L’Italia ha tutto il diritto di confiscare e chiedere la restituzione della statua greca in bronzo dell’Atleta vittorioso attribuita a Lisippo che si trova attualmente nel museo della la villa Getty a Malibu, in California. Lo ha stabilito oggi all’unanimità la Corte europea dei diritti umani respingendo il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

Nella sua sentenza, la Corte di Strasburgo ha quindi riconosciuto la legittimità dell’azione intrapresa dalle autorità italiane per recuperare l’opera d’arte che venne rinvenuta nelle acque dell’Adriatico, al largo delle Marche, nel 1964. E che, dopo varie vicissitudini, venne acquistata dalla fondazioni Getty nel 1977 per approdare infine al museo di Malibu. I giudici, in particolare, hanno sottolineato che la protezione del patrimonio culturale e artistico di un Paese rappresenta una priorità anche dal punto di vista giuridico. Inoltre, diverse norme internazionali sanciscono il diritto di contrastare l’acquisto, l’importazione e l’esportazione illecita di beni appartenenti al patrimonio culturale di una nazione.

La fondazione Getty, sottolinea inoltre la Corte, si è comportata “in maniera negligente o non in buona fede nel comprare la statua nonostante fosse a conoscenza delle richieste avanzate dallo Stato italiano e degli sforzi intrapresi per il suo recupero”. Da qui la constatazione che la decisione dei giudici italiani di procedere alla confisca del bene conteso “è stata proporzionata all’obiettivo di garantirne la restituzione”.

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Esteri

Macron: se i russi sfondano non escludere le truppe

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Lo spettro delle armi proibite torna ad affacciarsi sulla guerra in Ucraina. La denuncia è arrivata dagli Stati Uniti, secondo cui i russi hanno utilizzato un agente chimico soffocante, la cloropicrina, per ottenere “conquiste sul campo di battaglia”. Le forze di invasione, al di là dei metodi più o meno convenzionali utilizzati, procedono con un’avanzata costante nel Donbass, ingaggiando con il nemico pesanti combattimenti intorno ad Avdiivka. E’ uno scenario che preoccupa gli alleati di Kiev, a partire dalla Francia, tanto che Emmanuel Macron ha evocato ancora una volta la possibilità di inviare truppe, se Mosca sfondasse e gli ucraini lo richiedessero esplicitamente.

L’uso di armi chimiche come “metodo di guerra” è stato segnalato dal Dipartimento di Stato Usa, che ha parlato di casi “non isolati”, in violazione di una convenzione internazionale che ne vieta l’utilizzo, firmata anche dalla Russia. In particolare la cloropicrina, che sarebbe servita per “allontanare le forze ucraine dalle posizioni fortificate”, è una sostanza ampiamente utilizzata durante la prima guerra mondiale, che provoca irritazione ai polmoni, agli occhi e alla pelle e può causare vomito e nausea. Gli ucraini, inoltre, hanno riferito di aver dovuto fronteggiare numerosi attacchi chimici negli ultimi mesi. Secondo un rapporto dell’agenzia Reuters, almeno 500 soldati sono stati curati per l’esposizione a gas tossici e che uno è morto dopo essere soffocato dai gas lacrimogeni. Il Cremlino ha respinto le accuse come “assolutamente infondate e non supportate da nulla” e si è concentrato sui successi delle truppe sul terreno.

Il ministero della Difesa ha rivendicato la conquista del villaggio di Berdichy, nel Donetsk, su una strada strategica per il rifornimento delle truppe ucraine. L’area è quella di Avdiivka, dove i difensori sono costretti a schierare le riserve. Il principale obiettivo in questa direttrice resta Chasiv Yar, ormai carbonizzata dopo mesi di bombardamenti: dalla collina che la domina l’Armata sarebbe in grado di colpire la spina dorsale della difesa ucraina. La potenza di fuoco è impressionante. Solo ad aprile, secondo Volodymyr Zelensky, il nemico ha lanciato “3.800 bombe e missili”. Mentre Human Rights Watch ha denunciato che i russi hanno giustiziato almeno 15 soldati ucraini mentre tentavano di arrendersi, come già evidenziato da altre fonti a fine 2023. Per contenere l’avanzata delle truppe di Putin gli occidentali tentano di aumentare e accelerare la fornitura di armi a Kiev, ma secondo Parigi questo approccio potrebbe non essere più sufficiente.

E’ Macron, in un’intervista all’Economist, a mettere le carte in tavola: “Se i russi sfondassero in prima linea, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda” di un eventuale invio di truppe al fianco degli ucraini. “Escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, quando i Paesi della Nato avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e aerei prima di cambiare idea, ha aggiunto il presidente francese. Che già a febbraio, quando aveva tirato fuori questa ipotesi per la prima volta, era stato sconfessato dalla maggior parte degli alleati (inclusi Stati Uniti, Italia e Germania). Mosca ha liquidato le dichiarazioni di Macron con sarcasmo, affermando che “sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, e questo è il suo ciclo”.

Ma l’inquilino dell’Eliseo ragiona sul conflitto in Ucraina con uno sguardo all’Europa del futuro, che emergerà dopo il voto di giugno. E la sua ambizione è quella di guidare un processo di rinnovamento che porti l’Ue a diventare una potenza globale. Rafforzata, tra le altre cose, da una difesa comune. La minaccia russa al Vecchio continente è rilanciata anche dalla Nato che si dice “profondamente preoccupata” per le recenti “attività maligne” di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca: “Una campagna sempre più intensa di attività che Mosca continua a svolgere in tutta l’area euro-atlantica, anche sul territorio dell’Alleanza e attraverso intermediari”. Sul fronte della diplomazia, intanto, la Svizzera ha invitato più di 160 delegazioni al vertice a Lucerna a giugno ma l’invito non è stato esteso alla Russia. Che non a caso ha commentato: “Negoziati di pace senza di noi non hanno senso”.

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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