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Le truffe dei marinai acciaccati di Castellammare di Stabia, l’ultima magagna smascherata da Luca Abete

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All’Inps di Castellammare di Stabia, alcuni operatori marittimi intascherebbero l’indennità di malattia senza averne diritto, grazie a certificati fasulli prodotti da medici di base compiacenti. È solo l’ultima inchiesta giornalistica pancia a terra di Luca Abete, inviato di Striscia la Notizia, andata in onda nella puntata di ieri sera e che proseguirà ancora con altre rivelazioni e altre “magagne” smascherate. Una prassi consolidata, stando alle testimonianze raccolte, che penalizzerebbe quei lavoratori realmente malati, che si trovano costretti a sostenere file chilometriche e rallentamenti di un sistema ingolfato. Abbiamo raggiunto telefonicamente Abete, per approfondire la faccenda e porgli qualche domanda sulla sua lunga attività da inviato del telegiornale (qualcuno dice satirico) più ficcante, irriverente e coraggioso del panorama dell’informazione un po’ asfittica di questo Paese.

Indennità di malattia fuori controllo all’Inps di Castellammare. Luca Abete, che cosa sta succedendo?

Abbiamo parlato con tante persone che ci hanno confidato di ricorrere a questa prassi consolidata. Dopo alcuni mesi di lavoro in mare, gli operatori marittimi richiedono l’indennità millantando malattie oppure ingigantendo qualche acciacco, il tutto grazie alla collaborazione di alcuni medici di base che producono i certificati fasulli. Se si dovesse appurare una percentuale rilevante di falsi malati, si tratterebbe di un danno clamoroso per le casse dello Stato. Certo, noi siamo entrati in contatto con un campione esiguo, rispetto al numero impressionante di persone – circa 40mila – che fanno capo al Sasn, l’ente preposto alla verifica delle prescrizioni dei medici di base, il quale avvia le pratiche di indennità presso l’Inps. Sono numeri quelli che emergono a Castellammare di Stabia che non paragonabili a quelli di altre città.

Tutto ciò a danno dei lavoratori onesti a cui realmente spetterebbe il sussidio… 

Proprio così. Il nostro obiettivo era anzitutto quello di denunciare una truffa ai danni dello Stato, a prescindere dall’entità del fenomeno che è tutta da verificare. E di tutelare i più deboli. Se ci sono persone che fingono, sottraggono tempo, spazio e diritti a coloro che sono realmente ammalati, e che si trovano in un imbuto dove tutto è ingolfato e i ritardi sono all’ordine del giorno, devono essere smascherate. Anche l’Inps ha la sua fetta di responsabilità: apre l’ufficio solo due volte a settimana per poche ore.

Sui social alcune persone non sembrano aver gradito il suo servizio…

Ho risposto sui social a queste persone dicendo loro che se non hanno gradito il servizio probabilmente è perché hanno la coda di paglia, qualche certificato fasullo da nascondere e chissà cos’altro. I veri ammalati – costretti a subire ritardi nell’erogazione dell’indennità – hanno probabilmente gradito un servizio del genere, sentendosi non certo offesi, ma tutelati. Alla Sasn ci hanno garantito che le procedure messe in campo sono corrette. La procedura parte dal medico curante; poi avviene la verifica della Sasn. L’Inps non può nulla, perché riceva una procedura già avviata, è soltanto l’ente erogatore. Abbiamo semplicemente invitato il dirigente della Sasn ad essere più attento e a verificare come stanno realmente le cose. Stiamo ricevendo altre segnalazioni per cui prossimamente approfondiremo l’argomento con altri servizi.

Lei ha scovato tante magagne in giro per l’Italia. Pensa che la cultura della truffa e della scorciatoia possa essere estirpata? Quanto è importante il ruolo dei media?

Credo fortemente nel ruolo dei media come lente di ingrandimento sui fenomeni illegali. Noi siamo ormai esperti in questa tipologia di situazioni. Riceviamo dai cittadini tantissime segnalazioni; spesso ci portano anche prove credibili da cui partiamo per avviare le nostre inchieste. A differenza di certa stampa che si limita a riportare le notizie, noi le viviamo dall’interno documentandole con fatti concreti. Striscia la Notizia è cronaca dei misfatti; lasciamo che a parlare siano le immagini. La sana informazione – non quella che specula su Napoli e i suoi problemi – è apprezzata dai cittadini onesti che antepongono ad uno sterile campanilismo la ricerca di soluzioni ai problemi della città. Su questo stiamo facendo un bel lavoro. Penso al caso dei parcheggiatori abusivi. Denunciai questa pratica per la prima volta nel 2007, nello stupore generale. Mi accusarono di focalizzare l’attenzione su un problema, inutile, inesistente. Oggi siamo arrivati al ministro degli Interni che istituisce i Daspo nei loro confronti. Oggi è un tema alquanto sdoganato, ma c’è voluto tempo e qualche schiaffo preso per far luce su questo aspetto. Basta solo cominciare a parlarne, poi tante cose si possono mettere in moto.

Che cosa risponde a chi la accusa di contribuire allo “sputtanapoli” della città?

La gente che afferma ciò evidentemente non guarda Striscia la Notizia, perché abbiamo inviati da tutte le regioni e dalle principali città del Paese; come va in onda il servizio da Napoli di Luca Abete, così va in onda quello di Jimmy Ghione da Roma, di Stefania Petyx da Palermo, o di Moreno Morello da Venezia o di Laudadio da Milano. Lo sputtanapoli lo fanno le persone ignoranti che difendono l’indifendibile. A Napoli c’è gente onesta e gente disonesta, come in ogni città. L’aggravante del nostro territorio è che purtroppo ci sono dei malcostumi talmente radicati negli anni nel tessuto sociale che per alcuni l’anormalità è diventata una cosa normale. Non è che noi vogliamo per forza fare i servizi da questo o quel posto; interveniamo là dove arrivano segnalazioni dei cittadini.

Ritiene che le sue inchieste riescano ad attivare le istituzioni preposte alla soluzione dei problemi?

Credo di sì. Le faccio un esempio storico e uno recente. Il primo è legato alla Terra dei Fuochi, un argomento che era noto a pochissimi. L’ho scoperto perché quando giravo da quelle parti, fra Napoli e Caserta, mi rendevo conto che ogni mezz’ora c’erano, puntuali, delle colonne di fumo. La gente lo dava per scontato, diceva che c’erano le discariche nelle campagne e bruciavano di tutto. Mi sono adoperato per capirne di più e ho denunciato questo disastro ambientale che all’epoca ancora non aveva un nome. Tutto questo all’inizio mi ha procurato i soliti problemi, con gente che mi accusava di diffamare il territorio; poi piano piano si sono resi conto che non era una bufala, ma un fenomeno grave, pericoloso, che col tempo è venuto fuori. Recentemente invece, sono tornato alle terme di Agnano, una struttura storica, che potrebbe dare occupazione a centinaia di napoletani senza lavoro e che viene invece trascurata e bistrattata, ed è diventata un posto insalubre; un centro malessere, più che un centro benessere. Sono arrivati i Nas che hanno fatto le loro verifiche e finalmente hanno chiuso una struttura che, invece di dare vanto alla città, era diventato l’ennesimo drammatico esempio di mancata valorizzazione di una risorsa del territorio.

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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Nei campi 200 milioni di danni, razzia cinghiali

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Vigneti e uliveti, ma anche pascoli e prati, campi di mais e cereali, coltivazioni di girasole, ortaggi: è lunga la lista della razzia compiuta dalla fauna selvatica “incontrollata” dove i cinghiali, con una popolazione che ha raggiunto i 2,3 milioni di esemplari sul territorio nazionale, costituiscono il pericolo maggiore. La conseguenza sono 200 milioni di euro di danni solo nell’ultimo anno all’agricoltura italiana. La Puglia, con oltre 30 milioni di euro e 250mila cinghiali, e la Toscana con oltre 20 milioni di cui l’80% a causa dei 200mila cinghiali, sono le regioni che hanno pagato di più. Questa la fotografia scattata dalla Coldiretti in occasione delle 96 Assemblee organizzate in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con la partecipazione di oltre 50mila agricoltori, per celebrare dai territori gli 80 anni dell’associazione agricola.

In particolare, secondo la mappa realizzata da Coldiretti, nel Lazio i danni stimati dai soli cinghiali (100mila esemplari) superano i 10 milioni di euro e in alcuni casi riguardano anche l’80% del raccolto. Oltre 10 milioni di euro i danni stimati in Calabria. Un fenomeno che si sta espandendo anche ad aree prima meno frequentate come quelle del Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (20mila esemplari) e in Valle d’Aosta dove i cinghiali si sono spinti fino a quote che superano i 2mila metri. Pesante la situazione in Emilia Romagna dove solo nel Reggiano si stimano almeno 50mila esemplari; “dramma” sul fronte seminativi (specie per mais e girasole) in Umbria con una popolazione stimata di circa 150mila cinghiali. Sei milioni di euro i danni in Basilicata e 5 in Piemonte.

Qui la superficie danneggiata nel 2023 è stata di 34.432 ettari. Colpiti anche l’Abruzzo (i capi superano ampiamente le 100mila unità) con 4,5 milioni di euro di risarcimenti richiesti nel 2022, il Molise (40mila cinghiali) e la Campania (stimati danni per circa oltre 4 milioni di euro). Critica la situazione in Sardegna soprattutto a ridosso delle aree protette mentre in Sicilia non ci sono territori immuni e salgono i costi per la difesa, come i recinti elettrici. In Liguria da tempo i cinghiali si sono spinti fino alla costa e tanti i danni non solo alle colture ma anche ai tipici muretti a secco. Nelle Marche il 75% dei danni in agricoltura da fauna selvatica è causato dai cinghiali. Tra risarcimenti alle aziende agricole e da incidenti stradali la Regione spende circa 2 milioni di euro all’anno.

Risarcimenti, lamentano gli agricoltori, che arrivano spesso dopo molti anni e solo in minima parte. “Non coprono mai il valore reale del prodotto distrutto, con la conseguenza – rileva Coldiretti – che molti rinunciano a denunciare”. Cinghiali e fauna selvativa anche causa di incidenti, 170 nel 2023, ricorda l’associazione agricola, secondo l’analisi su dati Asaps, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente. A questo si aggiunge l’allarme della peste suina africana, non trasmissibile all’uomo, che i cinghiali, ricorda Coldiretti, rischiano di diffondere nelle campagne mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e con essi un settore che, tra produzione e indotto, vale circa 20 miliardi di euro e dà lavoro a centomila persone. Da qui la richiesta dalle Assemblee Coldiretti “di mettere un freno immediato alla proliferazione dei selvatici, dando la possibilità agli agricoltori di difendere le proprie terre. Mancano, infatti, i piani regionali straordinari di contenimento”.

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