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Clan dei casalesi e gestione criminale dei rifiuti, processo all’ex ministro Landolfi: parla il pentito Giuseppe Valente e sono tanti “non ricordo” e “non so”

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Chi parla in videoconferenza è il collaboratore di giustizia Giuseppe Valente. Il pentito viene ascoltato nel corso di un processo che si sta celebrando dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. A giugno scorso il pm della Dda di Napoli Simona Belluccio  ha chiesto la condanna  a tre anni e sei mesi  per l’ex ministro della Telecomunicazioni Mario Landolfi, ex esponente di An e Pdl, imputato per corruzione e truffa con l’aggravante mafiosa, ovvero per aver agevolato il clan dei Casalesi. Queste le accuse contestate all’eco deputato. Ma che cosa dice in video conferenza il collaboratore di giustizia?  “Ci fu una riunione  nello studio di Mario Landolfi a Mondragone (Caserta)  in cui venne deciso che la consigliera Maria D’Agostino si doveva dimettere dopo la nota prefettizia.  Erano presenti i consiglieri comunali, il sindaco Ugo Conte e Landolfi oltre me.  E’ stato Mario Landolfi  successivamente in una telefonata a darmi il consenso sulle dimissioni del consigliere comunale Massimo Romano”. Quale rilevanza abbiano queste propalazioni del collaboratore di giustizia è  da vedere.  All’ex deputato viene però contestato un singolo fatto avvenuto nel 2004 a Mondragone, quando Landolfi avrebbe fatto dimettere il consigliere comunale di opposizione Massimo Romano per far entrare in Consiglio una persona che avrebbe aiutato l’allora sindaco Ugo Conte, di centro-destra, a tenere la maggioranza; queste manovre avvennero ad un mese dalle elezioni comunali e servirono a non far cambiare maggioranza nel Ce4 (il consorzio che si occupava di rifiuti), facendo in modo, per la Dda, che i clan di camorra potessero continuare a gestirlo di fatto tramite appunto il centro-destra. Il pm chiese per Landolfo l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per l’altro reato contestato, quello di favoreggiamento.

Durante il dibattimento Landolfi rinunciò  alla prescrizione, che sarebbe scattata entro pochi mesi.   Landolfi nell’udienza di oggi in tribunale  ha replicato alle accuse di Valente affermando in una dichiarazione spontanea dinanzi al collegio che “la riunione nella mia segreteria non fu nulla di segreto, vide la partecipazione di tutti i gruppi di maggioranza e serviva solo a preparare il consiglio comunale che aveva all’ordine del giorno solo due punti : la nota del prefetto sulla presunta ineleggibilità  di Maria d’Agostino e l’approvazione del bilancio. Fu fatta al mio studio per un fatto logistico”.

Diciamo che l’udienza, per come si è svolta, ha visto il collaboratore di giustizia esivbirsi in tanti “non so” e “non ricordo”, intervallati da molte contraddizioni logiche. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Valente era l’ex presidente del Consorzio rifiuti Caserta4 risultato infiltrato dalla camorra casalese. Valente, le cui dichiarazioni contribuirono a far condannare per concorso esterno in camorra l’ex sottosegretario del Pdl Nicola Cosentino, è stato sentito una seconda volta al processo Landolfi dopo essere già venuto a testimoniare nel 2016; allora la difesa dell’ex parlamentare e l’accusa (sostituto della Dda di Napoli Simona Belluccio) si erano accordati per l’acquisizione delle dichiarazioni rese da Valente alla Dda e in altri processi, soprattutto quello a carico di Cosentino, dove Valente parlò per quasi dieci udienze. Ora il processo è slittato al 9 dicembre per controesame di Valente e la sentenza è prevista per 23 dicembre.

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Guida ubriaco, si scontra con 3 moto e muore centauro, arrestato

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E’ risultato positivo all’alcol test il conducente della Fiat Punto che oggi si è scontrato con tre moto lungo la statale 108 bis “Silana di Cariati” che porta a Lorica. Nell’urto un centauro 37enne di Settingiano (Catanzaro) è morto, e altri due sono rimasti gravemente feriti. Dopo i risultati, i carabinieri della Compagnia di Cosenza hanno arrestato l’uomo, un 41enne, con l’accusa di omicidio stradale e lo hanno posto ai domiciliari.

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Scossa di terremoto di magnitudo 3.1 fa tremare il Vesuvio, molta paura ma nessun danno

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Un terremoto di magnitudo 3.1 della Scala Richter ha colpito alle 5,55 alle pendici del Vesuvio. L’evento sismico, che ha avuto luogo a una profondità di circa 400 metri, è stato distintamente avvertito dagli abitanti delle zone circostanti, in particolare nei piani alti degli edifici.

Gi esperti hanno definito la scossa come un evento “inusuale” e hanno confermato che non ci sono stati segnali di un incremento dell’attività vulcanica. L’epicentro del terremoto è stato localizzato vicino al Monte Somma, una zona storicamente monitorata per la sua vicinanza con il vulcano.

La comunità locale ha reagito con una comprensibile apprensione, ma, fortunatamente, non sono stati segnalati danni a persone o strutture. Le autorità locali nelle prossime ore decideranno se mantenere aperte le scuole. Intanto c’è da rassicurare  la popolazione sulla gestione dell’evento.

Ieri, alle 5,45, dall’altra parte di Napoli, in un’altra area vulcanica, nei Campi Flegrei, c’è stata una scossa di magnitudo 3.9. Anche in quel caso paura tanta ma nessun danno.

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“Due uomini dei servizi segreti vicino l’auto di Giambruno”, le rivelazioni del Domani

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Due uomini fuori dalla villetta di Giorgia Meloni, la notte tra il 30 novembre e l’1 dicembre. Armeggiavano attorno all’auto dell’ex compagno, Andrea Giambruno, mentre la premier era in missione a Dubai. Nell’episodio, però, non sono stati coinvolti “appartenenti ai Servizi” e la sicurezza della premier “non è mai stata posta a rischio”. Così il sottosegretario Alfredo Mantovano interviene dopo che un articolo apparso oggi sul Domani ha riferito sull’allarme scattato in quella occasione. Nella ricostruzione del quotidiano, un’auto si avvicina alla villetta nel quartiere Torrino.

Scendono due uomini, accendono una torcia o un telefonino e si mettono a trafficare attorno alla macchina di Giambruno. A sorvegliare la scena c’è però una volante della Polizia appostata in servizio di vigilanza. Un agente scende e chiede conto ai due dei loro movimenti. Gli uomini si identificano come “colleghi” senza però mostrare documenti di riconoscimento e si allontanano. Sull’accaduto viene stilato un rapporto che finisce alla Digos; vengono avvertiti – sempre secondo l’articolo del Domani – il capo del Polizia, Vittorio Pisani, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Mantovano e la stessa premier.

Sarebbe stata informata anche la procura della Capitale. Inizialmente i sospetti ricadono su due uomini dell’Aisi, l’Agenzia d’intelligence per la sicurezza interna, che fanno parte della scorta di Meloni. I due vengono quindi trasferiti all’Aise, l’agenzia che invece si occupa dell’estero. In seguito però le indagini dell’Aisi scagionano gli 007 che quella notte – e lo testimonierebbero le celle telefoniche – si trovavano altrove.

I due potrebbero essere stati banalmente ladri alla ricerca di qualcosa nell’auto di Giambruno. Il fatto, secondo il quotidiano, avrebbe influito anche sulla nomina del nuovo direttore dell’Aisi, sbarrando la strada ad uno dei papabili, Giuseppe Del Deo, alla guida del gruppo dell’Agenzia che ha investigato sul caso. Mantovano non entra nei dettagli della vicenda, ma si limita a rivelare di averne dato notizia il 4 aprile nella sua audizione al Copasir, dove ha chiarito che “gli accertamenti svolti per la parte di competenza dell’intelligence hanno consentito con certezza di escludere il coinvolgimento di appartenenti ai Servizi, e che la sicurezza del presidente Meloni non è mai stata posta a rischio”.

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