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Esteri

Boris Johnson promette la Brexit come regalo di Natale

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La Brexit come regalo di Natale, per poi “dar forma a una nuova Gran Bretagna” e “scatenarne tutto il potenziale”. E’ l’ottimismo – fondato o meno che sia – la cifra del manifesto elettorale del Partito conservatore illustrato oggi da un Boris Johnson sempre piu’ favorito dai sondaggi a tre settimane scarse dal voto del 12 dicembre nel Regno Unito. Un messaggio semplice, con dettagli volutamente scarni sul resto del programma, che il primo ministro ha sintetizzato in meno di un quarto d’ora fra le ovazioni di una sala amica di sostenitori e notabili Tory nella periferica Telford, cuore di uno dei collegi in bilico delle West Midlands inglesi. Puntando tutto o quasi tutto sullo slogan “Get Brexit Done”, con una spruzzata di promesse di spesa, ma senza nuove tasse, e col mirino puntato alzo zero sul rivale laburista Jeremy Corbyn. Il manifesto di Telford si condensa in 59 pagine, 40 in meno dell’assai piu’ articolata piattaforma da 83 miliardi di sterline presentata nei giorni scorsi dal Labour all’insegna d’annunci di riforme radicali, giustizia sociale e fiscale, nazionalizzazioni. E trasuda personalismo fin dalla copertina, dominata dalla chioma bionda di Johnson all’opposto del richiamo collettivo al colore rosso scelto dal partito di Corbyn. “Le prossime elezioni saranno le piu’ cruciali nella memoria moderna”, esordisce Boris dal podio, “mai la scelta e’ stata cosi’ estrema”. Da un lato, nella sua narrativa, c’e’ la chance di una chiara vittoria conservatrice, con maggioranza assoluta alla prossima Camera dei Comuni, che significherebbe ratifica ipso facto dell’accordo di divorzio dai 27 prima di Natale e uscita dall’Ue entro la scadenza del 31 gennaio. Dall’altra l’unica alternativa realistica di un ‘hung Parliament’, un parlamento frammentato, e magari di una coalizione fra laburisti e indipendentisti scozzesi dell’Snp destinato a prolungare “l’incertezza e i rinvii” con due ipotetici referendum bis: sia sulla Brexit sia sulla secessione della Scozia da Londra. Un incubo, stando a Johnson, che irride “l’indecisione di monsieur Corbyn” (cosi’ lo chiama), la sua convinzione di poter negoziare un deal piu’ soft a Bruxelles e il suo impegno di sottoporlo poi a rivincita referendaria restando personalmente “neutrale” per lasciare l’ultima parola al popolo. “E’ un leader questo?”, ammicca a un certo punto, aizzando la platea. Il compagno Jeremy resta sotto tiro d’altronde anche sugli altri temi della campagna. Alla ricetta del Labour, bollata come “marxista”, il premier Tory risponde evocando a sua volta investimenti pubblici e la fine dell’austerity, ma in misura molto piu’ sfumata e con l’impegno “blindato” a escludere per i 5 anni della nuova legislatura aggravi fiscali su qualunque reddito, sui contributi assistenziali e sull’Iva. Non senza la promessa di stanziamenti da 6,3 miliardi di sterline per l’edilizia e l’ammodernamento ambientale delle case, mezzo miliardo per un fondo d’aiuto ai giovani “talenti”, risorse aggiuntive per sanita’ (Nhs), scuola e sicurezza nelle strade. Bene per l’affannato concorrente euroscettico Nigel Farage, che puo’ solo accusare Boris di avergli rubato le idee. Poca cosa di fronte alla diseguaglianze sociali d’Oltremanica nell’ottica della sinistra. L’economista Paul Johnson, guru dell’autorevole Institute for fiscal studies (Ifs), pare dal canto suo scettico: dubbioso sul fatto che il Labour possa attuare i propri piani alzando le tasse solo al 5% piu’ benestante del Paese, come stima Corbyn; ma ancor di piu’ sulla possibilita’ di Bojo e soci di realizzare i loro senza toccare affatto la leva fiscale. Intanto rimangono due giorni per iscriversi alla liste elettorali del Regno. Mentre un ultimo sondaggio condotto da Opinum per il progressista Observer regala al partito del premier un consenso record del 47%, con il Labour fermo al 28, i liberaldemocratici pro Remain di Jo Swinson in netto calo al 12 e il Brexit Party di Farage riassorbito addirittura a un misero 3% (dal trionfale 30 che ebbe alle elezioni europee di maggio): dati da prendere con le molle, visti i precedenti e le incognite collegio per collegio del sistema maggioritario britannico, ma certo incoraggianti per le speranze e la ‘hybris’ di Boris.

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‘Da banche Occidente in Russia 800 mln euro in tasse a Cremlino’

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Le maggiori banche occidentali che sono rimaste in Russia hanno pagato lo scorso anno più di 800 milioni di euro in tasse al Cremlino, una cifra quattro volte superiore ai livelli pre-guerra. Lo riporta il Financial Times sottolineando che le imposte pagate, pari allo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia per il 2024, sono un esempio di come le aziende straniere che restano nel Paese aiutano il Cremlino a mantenere la stabilità finanziaria nonostante le sanzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano, “le maggiori sette banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, OTP e Intesa Sanpaolo – hanno riportato profitti totali per oltre tre miliardi di euro nel 2023. Questi profitti sono stati tre volte maggiori rispetto al 2021 e in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese”.

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Sindaco Istanbul Ekrem Imamoglu contro Erdogan: Hamas è un gruppo terroristico

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Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, il principale rivale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, definisce Hamas “un gruppo terroristico” e afferma che la Turchia è stata “profondamente rattristata” dal massacro del 7 ottobre. Intervistato dalla Cnn, il primo cittadino della metropoli turca spiega che “qualsiasi struttura organizzata che compie atti terroristici e uccide persone in massa è da noi considerata un’organizzazione terroristica”, aggiungendo però che crimini simili stanno colpendo i palestinesi e invita Israele a porre fine alla sua guerra contro Hamas.

Il governo turco di Erdogan sostiene apertamente Hamas, ha duramente criticato l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza e ha chiesto un cessate il fuoco immediato. Il leader turco ha paragonato le tattiche del primo ministro Benyamin Netanyahu a quelle di Adolf Hitler e ha definito Israele uno “stato terrorista” a causa della sua offensiva contro Hamas a Gaza.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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