Collegati con noi

Salute

C’è la scienziata napoletana Mina Massaro nel team Usa che ha creato l’occhio artificiale con cellule umane

Pubblicato

del

Un occhio artificiale da fantascienza è stato creato in miniatura su un chip grazie a un modello 3D fatto con cellule umane che riproducono gli strati più superficiali, ovvero la cornea e la congiuntiva. Lubrificato da lacrime artificiali e protetto da una palpebra gelatinosa che si apre e si chiude, in futuro potrebbe essere usato al posto di modelli animali per studiare disturbi come l’occhio secco e per testare nuovi farmaci. A indicarlo è lo studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine dal gruppo di ricerca di Dongeun Huh presso l’Università della Pennsylvania a Philadelphia. Nel gruppo di ricerca coordinato dal coreano Dongeun Huh hanno lavorato e sono dunque autori della creazione dell’occhio artificiale scienziati del calibro di Jeongyun Seo,  Woo Y. Byun, Farid Alisafaei, Andrei Georgescu, Yoon-Suk Yi, Vivek B. Shenoy, Vivian Lee, Vatinee Y. Bunya e infine ma non per ultima Mina Massaro-Giordano, origini napoletane, americana di adozione e formazione scientifica, condirettrice del “Penn Dry Eye and Ocular Surface Center of Clinical Ophthalmology presso lo Scheie Eye Institute of Philadelphia”. Mina Massaro-Giordano è considerata, per le sue ricerche e i suoi studi, una delle maggiori esperte al mondo della sindrome dell’occhio secco. La scienziata italiana spiega che “l’organo, realizzato su un chip, è dotato di cornea, congiuntiva e lacrime artificiali e, in futuro, potrebbe essere usato al posto di modelli animali per studiare disturbi come l’occhio secco e per testare nuovi farmaci.”
La patologia dell’occhio secco è tanto grave quanto frequente, purtroppo spesso sottovalutata o non diagnosticata ad una prima osservazione clinica.

La scienziata. Mina Massaro, scienziata dell’Università di Pennsylvania

Patologia che la scienziata italiana Massaro-Giordano sta contribuendo a combattere. La strada è ancora lunga, ma non siamo all’anno zero. Anche grazie a questo “occhio artificiale”.  Ultimo di una serie di organi su chip, il modello della superficie dell’occhio umano riesce per la prima volta a simulare la complessa struttura multicellulare dell’organo che fa da barriera nei confronti dell’ambiente esterno. I ricercatori, guidati da Dongeun Huh, lo hanno sviluppato riproducendo la geometria e la composizione cellulare degli strati più esterni dell’occhio. Innanzitutto hanno coltivato cellule derivate dalla cornea e dalla congiuntiva in un’interfaccia aria-liquido che ha permesso di ricreare la superficie oculare. Questa è stata poi inserita all’interno di una piattaforma in cui è stata esposta a fluidi lacrimali e allo scorrimento di una palpebra artificiale fatta di idrogel che imita il battito spontaneo delle palpebre. Grazie a questa piattaforma, i ricercatori hanno approfondito le dinamiche e gli effetti biologici del batter d’occhio, ma non solo: hanno perfino sviluppato un modello che riproduce il disturbo dell’occhio secco, utilizzandolo per testare un farmaco.

L’obiettivo futuro sarà quello di affinare il sistema per poterlo usare come alternativa alla sperimentazione animale nello screening di nuovi farmaci, anche se serviranno ulteriori indagini per validarne il corretto funzionamento, come sottolineano gli stessi ricercatori. Per simulare davvero la complessità dell’occhio umano, bisognerà poi migliorare ulteriormente questo modello artificiale arricchendolo con nuovi elementi, come i vasi sanguigni, le terminazioni nervose e le cellule del sistema immunitario.

Advertisement
Continua a leggere

In Evidenza

Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

Pubblicato

del

Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

Continua a leggere

Salute

Una vita più lunga di 5 anni con le giuste abitudini

Pubblicato

del

Quando si tratta di longevità, il patrimonio genetico è importante. Lo stile di vita, però, lo è altrettanto, ed è in grado di compensare gli svantaggi derivanti da una cattiva predisposizione genetica. Anche le persone che hanno un profilo genetico che le espone a un maggior rischio di morte prematura, infatti, possono ribaltare la sorte e guadagnare oltre 5 anni di vita aderendo a stili di vita sani: non fumare, evitare l’alcol, avere una corretta alimentazione, svolgere attività fisica. A questo risultato è giunto uno studio internazionale pubblicato sulla rivista BMJ Evidence- Based Medicine. La ricerca ha coinvolto oltre 350 mila persone, classificandole sulla base del loro profilo genetico e dello stile di vita.

La prima scoperta a cui sono giunti i ricercatori è che le abitudini hanno un peso maggiore della genetica sull’aspettativa di vita: le persone con stili di vita dannosi avevano un rischio di morte prematura (prima dei 75 anni) del 78% più alto rispetto a quelli con stili di vita sani. La genetica, invece, aumenta solo del 21% le probabilità di morte precoce. Le cose si complicano notevolmente quando una persona con profilo genetico negativo ha stili di vita non sani: il tal caso il rischio di morire prima di compiere i 75 è più che doppio. Ciò che è più importante, però, è che quando una persona con una cattiva genetica aderisce a stili di vita sani il suo rischio si riduce del 54%.

Tradotto in anni, ciò equivale a 5,2 anni di vita guadagnati. “Le politiche di sanità pubblica per favorire stili di vita sani potrebbero costituire un potente complemento all’assistenza sanitaria e diminuire l’impatto dei fattori genetici sulla durata della vita umana”, scrivono i ricercatori. Nelle stesse ore in cui veniva pubblicato lo studio, un’altra ricerca – in tal caso condotta dall’Ufficio europeo dell’Oms – ha confermato che, per quel che riguarda gli stili di vita, la pandemia ha avuto un effetto distruttivo, soprattutto nei bambini.

La ricerca ha mostrato che, durante la pandemia, per il 35% dei piccoli tra 7-9 anni è aumentato il tempo trascorso a guardare la Tv, a usare videogiochi o social media; per il 28% si è ridotto il tempo trascorso nelle attività all’aperto. È inoltre raddoppiata, passando dall’8 al 16%, la percentuale di bambini percepiti in sovrappeso dai genitori. Per alcuni aspetti, le cose sono andate anche peggio in Italia, che è stato uno dei Paesi in cui si è più ridotto il tempo trascorso fuori (-40%) e si è registrato un più ampio aumento del sovrappeso percepito dai genitori, passato dal 10 al 25%. È anche calato il consumo di frutta e verdura e aumentato quello di snack dolci e salati. “Non possiamo permetterci di ignorare queste tendenze: nella nostra Regione, 1 bambino su 3 è in sovrappeso o obeso e già il consumo di frutta e verdura è basso”, ha detto Kremlin Wickramasinghe, esperto dell’Oms Europa. “Spero che questo rapporto faccia scattare l’allarme”.

Continua a leggere

Salute

Borotalco al cancro, J&J propone 6,5 mld di dollari per chiudere le cause sul cancro

Pubblicato

del

Il colosso farmaceutico americano Johnson & Johnson ha presentato un piano per porre fine alle cause civili sul talco accusato di provocare il cancro in base al quale è disposto a pagare circa 6,5 ;;miliardi di dollari. “Questo piano è il culmine della nostra strategia di risoluzione consensuale annunciata in ottobre”, ha spiegato Erik Haas, vicepresidente degli affari legali di J&J, citato in un comunicato stampa. “Da quella data, il gruppo ha lavorato con gli avvocati che rappresentano la stragrande maggioranza dei ricorrenti per trovare una soluzione a questa controversia, che anticipiamo con questo piano”, ha detto. Secondo il piano, J&J ha accettato di pagare circa 6,475 miliardi di dollari in venticinque anni per reclami relativi a problemi ovarici (99,75% dei reclami attuali).

Gli altri disturbi riguardano il mesotelioma, soprannominato ‘cancro da amianto’, e vengono trattati separatamente. Il piano proposto prevede un periodo di tre mesi durante il quale i ricorrenti saranno informati della sua esistenza. Sarà convalidato se il 75% lo accetterà. Il gruppo precisa che gli avvocati dei ricorrenti che hanno collaborato al suo sviluppo “lo appoggiano”. Il talco è accusato di contenere amianto e di provocare il cancro alle ovaie. Cosa che l’azienda continua a smentire, anche se l’ha ritirato dal mercato nordamericano. Haas ha denunciato in questo senso la “distorsione degli studi scientifici”. Una sintesi degli studi pubblicati nel gennaio 2020 e riguardanti 250.000 donne negli Stati Uniti non ha trovato un legame statistico tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di cancro alle ovaie.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto