Collegati con noi

Cronache

Strage bus Avellino, Pisani: troppa pressione mediatica, tutto sarà più chiaro al processo di appello

Pubblicato

del

“Sono certo che la posizione del mio assistito, il proprietario del bus e titolare della società, Gennaro Lametta, si chiarirà in appello” sostiene l’avvocato Sergio Pisani che, ferma restando il rispetto per una sentenza, quand’anche emessa in un contesto difficile e con forti pressioni non solo mediatiche per i 40 morti, spiega che “la lettura dell’assoluzione di Autostrade per l’Italia è un po’ affrettata”. Per Pisani non è un processo facile “perchè occorre maggiore serenità nell’analisi delle prove” e perchè “sembra un processo referendum su Autostrade”.

 

Un processo che autostrade ha vinto: sono stati assolti l’amministratore delegato Castelluccio ed il condirettore generale Mollo per i quali erano stati chiesti 10 anni di carcere!

“Guardi che i due assolti avevano doveri di riqualificazione del tratto autostradale non di manutenzione. I responsabili della manutenzione, anche se con pene più miti, sono stato tutti condannati. Non direi proprio che ne esce bene Autostrade. E poi non è detto che pm non faccia appello alle assoluzioni o agli sconti di pena. Il processo va avanti”.

Perchè dice che la posizione di Lametta si chiarirà in appello?

“Perchè in questo processo il giudice aveva a disposizione perizie e documentazione che scagionavano Lametta che forse non ha valutato con grande attenzione perchè pesava molto il numero delle vittime della strage. Parliamo di 40 vite umane. Il gudice ha voluto dare un segnale. E l’ha fatto. L’incidente c’è stato perchè al bus si sono rotte le trasmissioni, e dunque l’autista, il fratello del mio assistito, anche lui morto nell’incidente, non è più riuscito a controllarlo. Ma se ci fosse stata una buona manutezjoje e sicurezza del tratto autostradale oggi non saremmo qui a parlar dei 40 morti ma di un bilancio molto meno drammatico, fase feriti se quelle barriere avessero retto all’urto ed impedito che il mezzo precipitasse da una altezza di 30 metri”.

Tocca aspettare l’appello. E che cosa ne pensa delle proteste dei familiari delle vittime e delle minacce al giudice.

“Guardi, le proteste quando non sono violente sono cose che possono essere accettate, anzi sono anche accettabili. Non ho sentito minacce al giudice. Ho sentito solo urla di disappunto. Non ingigantirei oltremodo la situazione. La tensione che è naturale si è stemperata subito. Parliamo di persone che hanno perso i loro affetti più cari”.

Advertisement

Cronache

Il caso Cipriani scuote il pre-conclave: accuse di abusi e tensioni in Vaticano

Pubblicato

del

In Vaticano, archiviata la vicenda Becciu, un nuovo caso scuote le giornate che precedono il prossimo conclave. Al centro dell’attenzione c’è Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo emerito di Lima, accusato di abusi sessuali e già sanzionato da Papa Francesco, ma che nonostante tutto continua a partecipare alle riunioni ufficiali dei cardinali.

Non potrà entrare nella Cappella Sistina in caso di conclave — ha superato gli 80 anni — ma la sua presenza e il ruolo attivo nelle congregazioni generali, dove si delinea il profilo del futuro Papa, sta provocando sconcerto, in particolare tra i cardinali latinoamericani. Le sanzioni papali, che prevedevano anche il divieto di indossare le insegne cardinalizie o rilasciare dichiarazioni pubbliche, sembrano di fatto ignorate da Cipriani, che continua ad aggirarsi tra i confratelli in abiti cardinalizi.

Primo Maggio senza congregazioni, ma con intensi conciliaboli

In questo clima di tensione, oggi, Primo Maggio, è saltato l’incontro ufficiale in Aula del Sinodo. Tuttavia, la mattinata libera ha favorito colloqui informali tra cardinali: un’opportunità preziosa per discutere lontano dai riflettori delle congregazioni. Uno dei temi più discussi, secondo fonti vaticane, è proprio la controversa presenza di Cipriani.

Le finanze vaticane e le eredità delle riforme di Francesco

Parallelamente, un altro tema preme nelle conversazioni riservate: la situazione economica della Santa Sede. Il rosso operativo del 2021 era stato di 77,7 milioni di euro e secondo alcuni prelati, la situazione non sarebbe migliorata negli anni successivi.

Tra gli interventi di ieri:

  • Il cardinale Reinhard Marx ha parlato delle sfide di sostenibilità economica;

  • Il cardinale Kevin Farrell del comitato per gli investimenti;

  • Il cardinale Christoph Schönborn ha relazionato sulla “banca vaticana”;

  • Fernando Vergez Alzaga ha fornito aggiornamenti sui lavori di ristrutturazione;

  • Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha esposto le attività caritative.

Secondo fonti interne, la Curia romana punta a proseguire le riforme di Francesco, mantenendo le bonifiche avviate, in particolare dentro lo Ior e nella gestione patrimoniale. Il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, viene indicato come possibile guida di questa missione risanatrice.

Curiosità e anomalie: il “ringiovanimento” del cardinale Njue

Infine, tra le note curiose, si segnala l’assenza del cardinale John Njue, di Nairobi, che un anno fa risultava ringiovanito nell’Annuario Pontificio: il suo anno di nascita era stato aggiornato dal 1944 al 1946, permettendogli in teoria di partecipare al conclave. Ma problemi di salute lo hanno comunque escluso.

Continua a leggere

Cronache

Chiara Ferragni diventa azionista di maggioranza, ma il brand è in crisi: “Un tentativo disperato”

Chiara Ferragni rileva le quote del suo marchio, ma secondo Selvaggia Lucarelli si tratta di una manovra per salvare un’azienda in crisi. La vera minaccia? La bancarotta.

Pubblicato

del

Chiara Ferragni ha annunciato con entusiasmo sul suo profilo Instagram di essere diventata azionista di maggioranza della Chiara Ferragni Brand, definendolo “un nuovo inizio”, “un gesto di responsabilità” e “la scelta di rimettere le mani sulla mia storia”. Ma dietro la patina da storytelling motivazionale si nasconde, secondo quanto ricostruisce Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Selvaggia Lucarelli, una verità ben più amara: una crisi finanziaria profonda, seguita al crollo reputazionale legato al cosiddetto Pandorogate.

Il passaggio di quote, che ha visto Ferragni rilevare le partecipazioni di Paolo Barletta e quasi interamente anche quelle di Pasquale Morgese (rimasto con uno simbolico 0,2%), è stato reso possibile da un aumento di capitale da 6,4 milioni, sborsati direttamente dall’influencer. Una mossa orchestrata non da Ferragni in prima persona, ma dall’amministratore unico di Fenice, Claudio Calabi, esperto in ristrutturazioni aziendali, con il supporto dell’avvocato Giuseppe Iannaccone.

Un’operazione di salvataggio, non un rilancio

Secondo Lucarelli, questa non è una storia di emancipazione, ma di autosalvataggio: Ferragni è oggi l’unica disposta a investire nel suo marchio, perché nessun altro lo ritiene appetibile. “È come dire che un ristoratore è diventato il cliente numero uno del proprio locale perché gli altri non ci vogliono più venire”, scrive la giornalista.

Le perdite del 2024 superano i 10 milioni di euro, e Ferragni sta attingendo al proprio patrimonio personale per tenere in piedi l’azienda. Ma, tra la casa acquistata a City Life per 14 milioni, le spese legali, lo stile di vita sfarzoso e la gestione di una vita privata pubblica, i fondi potrebbero non bastare a lungo. Voci non confermate parlano di una possibile messa in vendita della casa, ipotesi smentita dal suo staff.

Il nodo delle licenze e la reputazione in frantumi

Il punto più critico riguarda però le licenze del brand: aziende come Safilo e Pigna chiedono conto delle perdite legate al marchio e ora i negoziati sono affidati a Calabi. In questo quadro, la comunicazione pubblica dell’influencer — ancora improntata a viaggi, look, sondaggi su Instagram — appare fuori fase e dannosa.

“Chi la aiuta le suggerisce il basso profilo, ma lei continua a vivere come se niente fosse accaduto”, osserva Lucarelli. E avverte: la vera minaccia è la bancarotta.

Un cambio di passo è ancora possibile?

Il grande punto interrogativo è sul futuro. Non basta l’apparizione in seconda fila alle sfilate o una copertina su Elle Romania. Servirebbe, scrive Lucarelli, una vera rivoluzione strategica e personale: niente più immagine da eterna adolescente digitale, ma un’autentica trasformazione in imprenditrice.

“Per risollevarsi”, conclude, “Chiara Ferragni avrebbe bisogno di iniziare a pensarsi oberata, e non più semplicemente ‘libera’ come da slogan sanremese”.

Continua a leggere

Cronache

il giornalista Marc Innaro e la censura Rai: Russia demonizzata, Europa marginale

Pubblicato

del

Marc Innaro (foto Imagoeconomica in evidenza), storico corrispondente Rai da Mosca e oggi inviato dal Cairo, torna a parlare in un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, affrontando con lucidità e tono critico le tensioni tra l’Occidente e la Russia, il suo allontanamento da Mosca e la crescente russofobia nelle istituzioni europee.

Dal 1994 al 2000 e poi dal 2014 al 2022, Innaro ha raccontato la Russia da dentro, cercando – come lui stesso dice – di “corrispondere” la realtà e il punto di vista di Mosca. Una scelta giornalistica che gli è costata accuse di filoputinismo e, di fatto, l’interruzione della sua esperienza russa da parte della Rai, ufficialmente per motivi di sicurezza legati alla nuova legge russa contro le “fake news”.

Ma Innaro contesta apertamente questa versione: “Quella legge valeva per i giornalisti russi, non per gli stranieri accreditati. Commissionai persino uno studio legale russo-italiano che lo dimostrò. Nessuno mi ascoltò”. A detta sua, la vera censura arrivava “non dai russi, ma dagli italiani”.

Nato, Ucraina e verità scomode

Un episodio televisivo emblematico segnò la sua posizione pubblica: una cartina sull’allargamento della Nato a Estmostrata in diretta al Tg2 Post, che gli offrì l’occasione per dire: “Ditemi voi chi si è allargato”. Una verità storica, sottolinea, che rappresenta “la versione di Mosca” e che fu raccontata anche da Papa Francesco, quando parlò del “latrato della Nato alle porte della Russia”.

Da lì in poi, dice Innaro, cominciò l’isolamento. Non gli fu consentito di intervistare Lavrov né di andare embedded con i russi nel Donbass, mentre altri inviati Rai furono autorizzati a farlo con le truppe ucraine, anche in territorio russo.

“La Russia non vuole invadere l’Europa”

Secondo Innaro, la narrazione di Mosca come minaccia globale è costruita ad arte: “La Russia è un Paese immenso con 145 milioni di abitanti. Come può voler invadere un’Europa da 500 milioni?”. L’obiettivo russo, dice, è sempre stato chiaro: la neutralità dell’Ucraina e il rispetto per le minoranze russofone.

Nel commentare le dichiarazioni dei vertici Ue e Nato, come quelle di Kaja Kallas o Mark Rutte, Innaro osserva che “alimentare la russofobia non aiuta a risolvere nulla” e ricorda che è grazie al sacrificio sovietico se l’Europa è stata liberata dal nazifascismo.

“L’Europa doveva includere la Russia”

La guerra, secondo Innaro, “diventa sempre più difficile da fermare”, anche per il consenso interno a Putin. Ma l’errore strategico dell’Occidente, dice, è stato non costruire una nuova architettura di sicurezza con la Russia dopo la Guerra Fredda: “Abbiamo più in comune con i russi che con altri popoli. Ma ora i 7/8 del mondo si riorganizzano e l’Europa resta ai margini”.

Un’analisi lucida e controcorrente, che rimette in discussione molte certezze del racconto dominante.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto