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Cronache

Pisani: La morte di Maradona? Forse per qualcuno valeva più da morto

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L’avvocato Angelo Pisani, storico legale di Diego Armando Maradona, rietine che ”non c’è solo negligenza dietro la morte di Maradona, bisogna scoprire i motivi e chi aveva interesse, forse qualcuno riteneva che valessse più da morto che da vivo o era impossibile gestirlo”. Ci sono troppi interrogativi che meritano risposte per le condizioni fisiche in cui era stato abbandonato e ridotto Maradona che certamente non ha ricevuto assistenza ed amore da parte di chi gli stava vicino. Presto si potrebbero scoprire tante altre tristi verità, occorre una condanna per chiunque risulterà responsabile/speculatore ed un risarcimento ultra milionario per gli eredi, familiari e tifosi del Pibe de oro privati dei loro affetti e amore per il campione.

“Si sapeva, ora è ufficiale nero su bianco, si entra nel vivo del Procedimento e la perizia del Tribunale argentino ha confermato tutto quello che io, uno dei tanti allontanato ad arte da Maradona e non visto da vicino anche causa periodo covid, avevo denunciato da quel triste 25 novembre di tre anni fa.

“Senza rispetto, senza professionalità, senza alcuna pietà e amore hanno prima abbandonato, indebolito fisicamente e poi lasciato morire Diego Armando Maradona che a tante persone e forse ai suoi amici nemici aveva aperto le porte di casa e affidato la sua vita. Ora i responsabili, non solo medici ed infermieri, ma tutti quell che saranno valutati anche tra assistenti vari e organizzatori, dovranno subire e scontare pene severe e pagare il più grande risarcimento danni mai calcolato nella storia per una vittima di responsabilità malasanità e disumana speculazione, sebbene neanche la condanna mondiale che si abbatterà sul clan di responsabili potrà mai restituire il campione del mondo ai suoi cari, amici, tifosi, familiari e figli”. Ad affermalo è Angelo Pisani, legale del campione argentino.

“La morte di Diego Armando Maradona – ricorda Pisani – poteva essere evitata ma, fingendo di assisterlo, scrutando le sue infinite potenzialità, senza curarlo per le patologie necessarie e pensando che potesse valere più da morto che da vivo, tanti falsi amici e per quanto dice la giustizia argentina medici traditori lo hanno abbandonato e lasciato morire, come si evince ora anche dalla perizia medica disposta dai giudici che indagano sulla morte del ‘Pibe de oro’.

Per ora A finire nel mirino dei magistrati, il neurochirurgo Leopoldo Luque e la psichiatra Agustina Cosachov, i medici che avevano in cura l’ex fuoriclasse e anche altri falsi amici e finti assistenti che, dovranno rispondere dell’accusa di omicidio colposo e altri reati per cui sono previste pene da otto a 25 anni di reclusione”.

“La commissione medica incaricata dai procuratori Laura Capra, Cosme Irribarren e Patricio Ferrari, coordinati dal procuratore generale John Broyard – aggiunge Pisani – si è riunita nove volte in questi mesi. Nella relazione – si legge su ‘Pagina 12′ che ne ha fornito alcuni passaggi – si evidenzierebbe che la morte di Maradona era evitabile e che c’e’ stata negligenza e mancanza di professionalità da parte di chi aveva il ruolo di assisterlo.

Dalla relazione medico legale si evince che proprio da chi aveva la responsabilità non è stato fatto nulla per assistere e curare Maradona. L’imputazione per Luque e Cosachov pare scontata, ma i due potrebbero non essere gli unici a dover far i conti con la giustizia.

Vanno valutate le posizioni di infermieri e assistenti o pseudo amici vari. I pubblici ministeri stanno valutando altre posizioni, per accertare chi avesse un certo controllo della situazione, e avesse scelto i medici e le cure per l’argentino.

La perizia choc quindi apre nuovi scenari: la morte di Maradona poteva essere evitata, il campione argentino sarebbe ancora in vita se solo avesse ricevuto assistenza dagli amici e collaboratori in uno a cure adeguate dai medici che lo hanno seguito”.

“Maradona – dice ancora Pisani – soffriva di insufficienza cardiaca, renale e di cirrosi, doveva essere assistito e curato somministrandogli bene anche i farmaci. I medici hanno inoltre confermato che la morte è stata causata proprio dalle malattie cardiache preesistenti. Nessuno si è interessato di assisterlo e curare il suo cuore non più funzionante a dovere perché, secondo la perizia, l’ex capitano della Nazionale non aveva controlli medici adeguati. Dalla perizia si evincono anche altre verità, che Diego è morto tra le 4.00 e le 6.00 della mattina del 25 novembre mentre dormiva. Anche questi dati sono di vitale importanza. Il paramedico della compagnia Más Vida, arrivato con la prima ambulanza al lotto 45 di San Andrés de Tigre, aveva certificato la morte intorno alle 13.15, dopo 45 minuti in cui hanno cercato di rianimarlo, sebbene il suo la mascella era già rigida e il suo corpo freddo. La data del decesso contraddice quindi le prime affermazioni che indicavano che Maradona si fosse alzato la mattina e rimette in discussione, soprattutto, la dichiarazione dell’infermiera Daiana Madrid. L’assistente, uno dei 7 imputati, deve ora chiarire perché ha mentito e rivelare se ha eseguito degli ordini. La perizia complica ulteriormente la posizione anche dei medici curanti di Maradona, Leopoldo Luque e Agustina Cosachov, come si definiscono nel fascicolo. Nessuno di loro ha notato i sintomi o li ha minimizzati”.

“In sede civile poi – conclude Pisani – i responsabili della morte di Maradona potranno essere anche chiamati a risarcire i danni dagli eredi e persone legate al campione. Ogni persona è uguale ad un altra, dal punto di vista patrimoniale la vita di Maradona ha lo stesso valore di qualsivoglia altro uomo quindi per il Danno non patrimoniale ogni erede, familiare e parti lese potrebbero vedersi riconosciuto un risarcimento pro quota secondo il grado di familiarità e rapporto personale.

Per i figli all’incirca 500mila, nel caso dei fratelli/sorelle 150mila ai nipoti 100mila e poi, perché no potrebbbe ipotizzarsi anche il danno per i fans/tifosi innamorati pazzi un fenomeno tutto maradoniano, conclude Pisani pensando al suo amico assolto dal fisco italiano troppo in ritardo.

In sede civile per la domanda di perdita patrimoniale gli eredi potranno chiedere ai responsabili somme incalcolabili se si considera che Maradona poteva guadagnare un milione di euro al giorno, anche circa 100 milioni l’anno e quanto abbiano potuto perdere proprio gli eredi morendo il campione 15/20 anni prima dell’età media prevista, si tratta insomma della causa di responsabilità professionale più preziosa del mondo con domanda risarcitoria di oltre mille milioni di euro comunque sempre nulla rispetto ai milioni di cuori e sogni violati. Nella perizia medico legale si legge che “nel decesso hanno inciso in maniera decisiva omissioni di soccorso e una generale negligenza nel trattamento e nelle cure riservate al paziente” e in qualità di medici responsabili della salute di Maradona, sono proprio i due specialisti in questione a rischio di imputazione. La lista però potrebbe essere più lunga, mentre la magistratura attenderà le valutazioni e le repliche dei periti di parte”.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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