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Macron,non escluso un futuro invio di truppe in Ucraina

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Il presidente francese Emanuel Macron non esclude un invio di truppe occidentali in futuro in Ucraina e da subito si impegna per la fornitura “di missili e bombe di media e lunga gittata a Kiev”: a due anni dall’invasione russa Macron riunisce una ventina di leader occidentali nella Conferenza dei paesi alleati per il sostegno all’Ucraina. Una riunione che finisce poco prima di mezzanotte. Nessuna decisione, invece, sulla fornitura dei “Rafale” francesi, i caccia sui quali si discute da mesi ma per i quali Parigi si limita a proseguire ad assicurare una “formazione” agli ucraini.

Al termine della lunga riunione, alle presenza del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del ministro degli Esteri britannico David Cameron, del capo del governo spagnolo, Pedro Sanchez e di altri leader – per l’Italia il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli – Macron ha preso la parola per annunciare che “l’obiettivo da perseguire è evitare che la Russia vinca questa guerra”. Per fare questo, non deve essere “più escluso” in futuro l’invio di truppe occidentali nel paese invaso: “Oggi non c’è un consenso per inviare in maniera ufficiale, assumendosene la responsabilità, delle truppe di terra. Ma in prospettiva, nulla deve essere escluso. Faremo tutto quello che serve affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.

L’altra decisione è quella di creare una “coalizione” per “fornire missili e bombe di media e lunga portata” a Kiev: si tratta di una “nona coalizione che si aggiunge alle 8 già esistenti, incaricata degli attacchi in profondità e dunque con missili e bombe di media e lunga gittata. Organizzeremo questa coalizione – ha assicurato – a partire da questa sera”. All’Eliseo, per questa conferenza che giunge due giorni dopo la prima riunione virtuale del G7, guidata da Kiev dalla premier Giorgia Meloni e alla quale il presidente francese non ha partecipato, il presidente francese aveva chiamato tutti a serrare le fila per gli aiuti a Kiev, esortando ad una “riscossa”. “Oggi – aveva detto Macron ricevendo gli ospiti – è in gioco la sicurezza di noi tutti”.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, era apparso allarmato sia per la lentezza degli invii di armi dall’Ue sia per il braccio di ferro sugli aiuti in corso negli Usa. “Milioni di ucraini saranno uccisi se il Congresso americano non approverà il piano di aiuti voluto dal presidente Biden”, ha detto oggi il capo dello stato ucraino. Macron, da parte sua, ha ricordato l’escalation di Mosca, “che si è purtroppo manifestata con la morte di Alexei Navalny”. “Sul fronte ucraino – ha continuato – le posizioni sono sempre più dure e noi sappiamo che la Russia prepara nuovi attacchi, in particolare per spaventare l’opinione pubblica ucraina”. “La Russia – ha continuato il presidente francese – non può e non deve vincere questa guerra”, non solo per la sua sicurezza, ma anche “per garantire la sicurezza collettiva di noi tutti, oggi e domani”. Prima ancora di partecipare a distanza alla conferenza, Zelensky aveva alzato la voce con gli alleati: “Dei milioni di proiettili che l’Unione europea ci ha promesso, purtroppo non è arrivato il 50%, ma il 30%”.

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Kiev, nonostante l’escalation per ora non serve evacuare Kharkiv

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“Nonostante l’escalation al confine, non ci sono motivi per evacuare la città di Kharkiv in questo momento. Sappiamo chiaramente quali forze il nemico sta utilizzando nel nord del nostro territorio regionale. Certo, gli attacchi russi possono aumentare, ma al momento non c’è alcuna minaccia per il centro regionale”. Lo ha dichiarato ai media nazionali il governatore della regione dell’Ucraina orientale Oleg Sinegubov.

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Baidu, la direttrice delle pubbliche relazioni e i suoi video choc per i dipendenti bullizzati

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Nel mondo delle pubbliche relazioni, dove il carisma e la gentilezza sono spesso percepiti come requisiti fondamentali, Qu Jing, ex direttore delle public relations di Baidu, ha scosso l’opinione pubblica con dichiarazioni che delineano un panorama lavorativo spietato. Le sue parole, trasmesse tramite una serie di video su Douyin, il TikTok cinese, hanno evidenziato un approccio impietoso alla gestione del personale: nessun fine settimana libero, lavoro fino a 50 giorni consecutivi e minacce di licenziamento permanente.

Queste dichiarazioni hanno rapidamente acceso un dibattito acceso sui social media cinesi, dove molti hanno criticato il suo stile di leadership, considerandolo inappropriato e dannoso per l’immagine aziendale. Nonostante il tentativo di ritrattare e scusarsi per le affermazioni fatte, il danno era già stato arrecato, culminando in un calo del 2% delle azioni di Baidu in borsa e nella successiva rimozione di Qu Jing dal suo ruolo.

Il caso di Qu Jing non è un’eccezione nel settore tecnologico cinese, noto per la sua “cultura del lavoro” estremamente esigente. Infatti, la famosa pratica “996” – lavorare dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni alla settimana – è stata pubblicamente elogiata da figure di spicco come Jack Ma di Alibaba, che la descrive come una “benedizione” per il settore hi-tech.

Tuttavia, la reazione pubblica alle parole di Qu Jing sottolinea una crescente sensibilità alle questioni di equilibrio tra vita lavorativa e personale e ai diritti dei lavoratori in Cina. Mentre il settore continua a prosperare sull’innovazione e il duro lavoro, i metodi di gestione del personale e la cultura aziendale stanno diventando sempre più il centro del dibattito pubblico.

La vicenda ha evidenziato la tensione tra le aspettative tradizionali di sacrificio personale e le richieste di un ambiente di lavoro più umano e rispettoso dei diritti individuali. In un’epoca in cui l’opinione pubblica può influenzare significativamente la percezione e il successo di un’azienda, Baidu e altre compagnie tecnologiche potrebbero dover riconsiderare non solo come motivano e gestiscono il loro personale, ma anche come comunicano i loro valori al mondo esterno.

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L’Onu rilancia l’adesione della Palestina, ira Israele

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L’Onu rilancia la membership piena della Palestina e scatena l’ira di Israele. L’Assemblea Generale ha adottato a maggioranza dei due terzi una risoluzione che migliora lo status palestinese garantendogli diversi diritti aggiuntivi, ma non quello di voto. “La Palestina è qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite in conformità con l’articolo 4 della Carta”, si legge nel testo, che invita il Consiglio di Sicurezza a “riconsiderare favorevolmente la questione”.

Il via libera del Cds (dove gli Usa il mese scorso hanno posto il veto) è infatti condizione necessaria per un’eventuale approvazione piena da parte dell’Assemblea. Ma la risoluzione approvata prevede comunque alcuni privilegi aggiuntivi per la Palestina, ad esempio quello di essere seduti tra gli Stati membri in ordine alfabetico, oppure di presentare proposte, emendamenti e sollevare mozioni procedurali in Assemblea (non concessi all’altro Stato osservatore non membro, la Santa Sede, né all’Unione Europea).

I palestinesi non avranno invece il diritto di voto, né potranno presentare la propria candidatura per i principali organi Onu come il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc) o il Consiglio per i Diritti Umani. La risoluzione è stata approvata a larghissima maggioranza, con 143 sì, 9 no e 25 astensioni, tra cui l’Italia e altri Paesi europei come Germania, Gran Bretagna, Albania, Bulgaria, Austria, Croazia, Finlandia, Olanda e Svezia. Mentre i nove che hanno votato contro sono Stati Uniti, Israele, Ungheria, Repubblica Ceca, Argentina, Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea. Il ministro degli Esteri dello Stato ebraico Israel Katz ha bollato la mossa come una “decisione assurda”: “Il messaggio che l’Onu manda alla nostra regione in sofferenza è che la violenza paga”, ha tuonato, parlando di “un premio ai terroristi di Hamas”. L’ambasciatore Gilad Erdan ha rincarato la dose sottolineando che “questo giorno rimarrà ricordato nell’infamia. Avete aperto le Nazioni Unite ai nazisti moderni”, ha denunciato, parlando di uno “Stato terrorista palestinese che sarebbe guidato dall’Hitler dei nostri tempi”.

“State facendo a pezzi la Carta Onu con le vostre mani”, ha detto ai Paesi che hanno votato a favore, passando simbolicamente alcune pagine del documento in un tritacarte. Gli Stati Uniti, invitati da Tel Aviv a fermare immediatamente i finanziamenti all’organizzazione internazionale, hanno spiegato che il loro voto contrario “non riflette l’opposizione allo Stato palestinese”. “Siamo stati molto chiari nel sostenerlo e nel cercare di portarlo avanti in modo significativo – ha affermato l’ambasciatore Robert Wood -. Si tratta invece di un riconoscimento del fatto che la statualità potrà derivare soltanto da un processo con trattative dirette tra le parti. Resta la nostra opinione che le misure unilaterali alle Nazioni Unite e sul campo non porteranno avanti questo obiettivo”.

Anche l’Italia, come ha sottolineato il rappresentante permanente, l’ambasciatore Maurizio Massari, “condivide l’obiettivo di una pace globale e duratura che potrà essere raggiunta solo sulla base di una soluzione a due Stati”, ma ritiene che “tale risultato debba essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti”. “Dubitiamo che l’approvazione della risoluzione odierna contribuirà all’obiettivo di una soluzione duratura al conflitto. Per questo motivo abbiamo deciso di astenerci”, ha aggiunto Massari spiegando la posizione italiana. Il delegato palestinese Ryad Mansour, da parte sua, ha affermato che “votare per l’esistenza della Palestina non è contro nessuno Stato, ma è un investimento nella pace”. “La nostra bandiera sventola alta e orgogliosa in tutto il mondo – ha aggiunto – ed è diventata un simbolo di chi crede nella libertà”.

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