Collegati con noi

Esteri

Zelensky, ‘Mosca vuole creare un Maidan 3 per rimuovermi’

Pubblicato

del

Mosca sta cercando di seminare divisione nella società ucraina, creando “caos” nel Paese per rimuovere il presidente Volodymyr Zelensky: lo ha detto lo stesso leader ucraino, come riporta l’agenzia di stampa Bloomberg citata dai media internazionali. “La nostra intelligence dispone di informazioni che provengono anche dai nostri partner”, ha affermato Zelensky, parlando di un piano di disinformazione noto internamente come ‘Maidan 3’, in riferimento alla piazza centrale di Kiev che è stata il punto focale delle rivolte del 2004 e del 2014 (quest’ultima, in particolare, ha avuto un ruolo nel rovesciare l’allora presidente Viktor Yanukovich, sostenuto dalla Russia).

“Maidan è un colpo di Stato per loro, quindi l’operazione è comprensibile”, ha commentato Zelensky, ribadendo che il governo ucraino non si farà influenzare da qualcosa che “assomiglia a un conflitto congelato”. In precedenza, il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale Oleksiy Danilov aveva affermato che i servizi di Mosca (Fsb) vogliono lanciare un progetto politico filorusso in Ucraina e Zelensky aveva detto che Mosca sta investendo ingenti fondi in operazioni di disinformazione per dividere l’unità della comunità internazionale nel suo sostegno all’Ucraina.

Advertisement

Esteri

Kiev annuncia l’arrivo dei ‘primi istruttori francesi’

Pubblicato

del

I primi militari francesi metteranno ufficialmente piede in Ucraina in tempi brevi. Ad annunciarlo è stato il capo delle forze armate di Kiev, Alexander Syrsky, che ha reso noto un accordo con Parigi per l’invio di “istruttori”. Ma è inevitabile che, dopo gli scenari per uno schieramento di truppe occidentali più volte evocato dal presidente Emmanuel Macron, la notizia alimenti i timori di uno scontro diretto tra la Nato e Mosca, accompagnandosi all’invito insistentemente rivolto dal segretario generale Jens Stoltenberg ai Paesi membri di dare il via libera all’Ucraina per colpire il territorio russo con i missili da loro forniti. Sono “già stati firmati i documenti che consentiranno presto ai primi istruttori francesi di visitare i nostri centri di formazione e di familiarizzare con le infrastrutture e il personale”, ha scritto su Telegram Syrsky, riferendo di un incontro in video collegamento tra i ministri della Difesa dei due Paesi.

“Difenderemo l’Ucraina quanto a lungo sarà necessario e con l’intensità che sarà necessaria, la pace non può essere la capitolazione di Kiev”, ha affermato Macron, senza fare riferimento all’annuncio ucraino. Mentre una portavoce del ministero della Difesa di Parigi, interrogata, si è mantenuta vaga. L’invio in Ucraina di “istruttori militari è una pista sulla quale continuiamo a lavorare con gli ucraini, in particolare per comprendere le loro esatte necessità”, si è limitata a dire. Parlando a Sofia, invece, Stoltenberg ha ribadito che l’Ucraina ha il diritto di colpire la Russia con missili di Paesi Nato, lamentando che Kiev attualmente “ha le mani legate a causa delle restrizioni all’uso delle armi” fornite dall’Occidente. Quando ancora la notizia dei militari francesi non era stata resa nota, e quindi riferendosi solo alle parole di Stoltenberg, il Cremlino aveva accusato la Nato di essere caduta in “uno stato di estasi militare”, essendo ormai “coinvolta direttamente” nel conflitto e intenta ad “innalzare il livello dell’escalation”. Ma le parole del segretario generale hanno provocato reazioni opposte all’interno della stessa Unione europea.

La Lituania, tra i convinti sostenitori della linea più dura verso Mosca, si è dichiarata favorevole all’uso dei missili occidentali contro la Russia, rilanciando l’accusa a Mosca di preparare “sabotaggi e azioni terroristiche in Europa”, come aveva scritto tre settimane fa il Financial Times citando servizi d’intelligence occidentali. Decisamente contraria l’Italia: “Non tocca a Stoltenberg decidere sull’uso delle armi, non è una sua competenza”, ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, assicurando che l’Italia vigilerà perché le armi fornite a Kiev non vengano usate contro il territorio russo. Anche il premier spagnolo Pedro Sanchez, che con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato a Madrid un accordo bilaterale di sicurezza e promesso aiuti militari per 1,1 miliardi di euro, ha detto che non è previsto un uso di tali armi al di fuori dell’Ucraina. Intanto, l’Ungheria del premier Viktro Orban, che tre giorni fa aveva denunciato preparativi per “l’entrata in guerra dell’Europa”, ha posto il veto al 14/o pacchetto di sanzioni della Ue contro la Russia. La Polonia, nel frattempo, ha annunciato restrizioni alla circolazione dei diplomatici russi nel Paese come risposta a quella che ha definito “la guerra ibrida contro l’Europa” di Mosca.

E quest’ultima ha annunciato che risponderà con misure che faranno “molto dispiacere” la dirigenza “russofoba” di Varsavia. Sul campo, il ministero della Difesa di Mosca ha annunciato la conquista di altri due villaggi ucraini: Netaylovo, nella regione di Donetsk, e Ivanovka, in quella di Kharkiv. Ma la Russia continua a subire attacchi di droni ucraini anche in profondità sul suo territorio. Una persona è morta e altre tre sono rimaste ferite a seguito dell’esplosione provocata da un velivolo senza pilota che si è schiantato su una stazione di servizio nella città di Livny, nella regione di Oryol. Mentre fonti dell’intelligence di Kiev citate dai media hanno detto che un altro drone ha percorso ben 1.800 chilometri per andare a colpire una stazione radar di rilevamento di bersagli a lungo raggio nella regione russa di Orenburg. Secondo il capo dell’amministrazione militare della regione di Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina, tre persone sono state uccise e sei sono rimaste ferite in un attacco russo ad un autolavaggio.

Continua a leggere

Esteri

L’Ue vara la legge per l’industria green, sì al nucleare

Pubblicato

del

Costruire un’industria a zero emissioni per rispondere alla domanda, sempre più alta, di tecnologie pulite. Da Bruxelles arriva il via libera definitivo al ‘Net-Zero Industry Act’, la prima legge che vincola il continente a produrre tra i suoi confini il 40% del fabbisogno annuo di materiali clean-tech necessari alla transizione green entro il 2030 e a raggiungerne il 15% del valore di mercato su scala globale. Una risposta made in Europe di Bruxelles – sempre più stretta tra la concorrenza cinese e il maxi piano di sussidi statunitensi da 370 miliardi di dollari, l’Inflation Reduction Act (Ira) – che eleva anche il ruolo del nucleare.

“La domanda” di tecnologie green “è in crescita in Europa e nel mondo, e ora siamo in grado di soddisfarne una parte maggiore con un’offerta europea”, ha sintetizzato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promotrice un anno fa del Piano industriale per il Green Deal, di cui il ‘Net-Zero Act’ è pilastro centrale. Il regolamento contempla un elenco di tecnologie strategiche che godranno di permessi accelerati e potranno ricevere finanziamenti Ue. E tra loro – dopo lunghi mesi di negoziati dominati dal braccio di ferro tra Parigi e Berlino – trova un posto di rilievo anche l’atomo, determinando la vittoria della linea francese. Insieme alle tecnologie per la fissione nucleare e al ciclo del combustibile nucleare, nell’elenco figurano anche i pannelli solari, le pale eoliche onshore e le tecnologie per le energie rinnovabili offshore; batterie e stoccaggio dell’energia, ma anche pompe di calore e idrogeno. Sul regolamento, per quanto innovativo, pesa tuttavia il nodo delle risorse: il Net-Zero Act non dispone di alcun nuovo impegno finanziario da parte dell’Ue.

Di fatto, Bruxelles si limita a incoraggiare i governi a utilizzare i proventi ricavati dal nuovo mercato Ue del carbonio, il sistema Ets di scambio delle emissioni che traduce in pratica il principio ‘chi inquina paga’. Non solo industria green. Con le elezioni europee ormai alle porte, accelera anche l’impegno della presidenza belga dell’Ue per chiudere quanti più dossier possibili del Green Deal. Dal Consiglio Ue – riunito in formato Agricoltura – è arrivato l’ok anche alle nuove norme sull’ecodesign per la progettazione ecocompatibile dei prodotti, che tra le altre cose introducono un divieto di distruzione dei vestiti invenduti e un passaporto digitale per le informazioni degli stessi prodotti. I ministri hanno confermato l’accordo con l’Eurocamera che secondo Roma – unica al tavolo ad astenersi – non ha garantito di raggiungere un testo equilibrato a tutela dell’l’ambiente tenendo conto delle esigenze manifatturiere.

L’Italia si è invece espressa favorevolmente alla stretta sulle fughe di metano provenienti dai settori energetici: dal petrolio al gas, passando per il carbone e il biometano. I Paesi hanno confermato l’intesa politica raggiunta a novembre con l’Eurocamera per costringere le compagnie energetiche a rilevare e riparare regolarmente le perdite di metano derivate dalle loro attività, comprese le importazioni. Una stretta con cui Bruxelles punta ad accelerare la lotta al cambiamento climatico, dal momento che il metano è un potente gas serra con una maggiore capacità di intrappolare calore rispetto alla CO2, e dunque un impatto sul surriscaldamento di oltre 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica su un periodo di 20 anni.

Continua a leggere

Esteri

Scoppia il caso Orban, Ue stanca dei veti su tutto

Pubblicato

del

L’Ucraina è il caso più emblematico e sensibile. Ma non è il solo. Budapest, con i suoi veti, ormai sta paralizzando la politica estera dell’Unione Europea – si fanno gli esempi della Georgia, dell’Armenia, persino di Gaza – e la stanchezza, al Consiglio Affari Esteri, si è trasformata in aperta ostilità, c’è chi dice per la prima volta. “Abbiamo avuto una discussione animata, le legittime obiezioni nazionali devono essere proporzionali: gli aiuti militari a Kiev non possono essere presi in ostaggio da altre questioni”, ha commentato l’alto rappresentante Josep Borrell confermando essenzialmente le indiscrezioni trapelate dalla sala consigliare. Al centro dello scontro l’opposizione di Budapest ad erogare i finanziamenti – 5 miliardi di euro – del nuovo Fondo per l’Ucraina, creato all’interno del Fondo Europeo per la Pace (Epf). Oltre che tre tranche di rimborsi da 500 milioni ciascuna. Gran totale: 6,5 miliardi.

La motivazione? Pare le condizioni sfavorevoli per le aziende ungheresi in Ucraina. “La posizione ungherese sta diventando apertamente pro-russa, non si può più parlare di approccio transazionale” spiega una fonte bene informata. “Serve trovare una soluzione pratica”, dice, sollevando l’ipotesi di una ‘investitura’ del Consiglio Europeo. Anche perché il primo di luglio la presidenza di turno passerà all’Ungheria e diversi Stati membri, a questo punto, temono che i dossier più spinosi (per Budapest) possano finire su un binario morto, magari persino con un occhio alle esigenze di un certo Donald Trump e della sua campagna per tornare alla Casa Bianca. La ministra tedesca degli Esteri, Annalena Baerbock, ha intimato apertamente all’Ungheria di “rimuovere il veto”, sottolineando che “l’Europa è forte quando è unita”. “Non possiamo accettare che un solo Paese, che pure aveva sottoscritto la misura pochi mesi fa al Consiglio Europeo, blocchi ora questo aiuto cruciale per l’Ucraina”, le ha fatto eco l’omologa belga Lahbib.

“Siamo contrari al veto, vogliamo avanzare”, ha confermato anche il ministro italiano Antonio Tajani. Ma Budapest punta i piedi e annuncia pure il veto al 14esimo pacchetto sanzioni, perché contrario agli “interessi energetici nazionali”. “Il ministro Szijjártó è inutile, ripete la propaganda del suo capo e basta, serve parlare direttamente con Orban”, è l’analisi di un’altra fonte altolocata che rende bene l’idea di quanto i toni ormai siano ben poco diplomatici. I numeri d’altra parte stanno diventando imbarazzanti. Il lituano Gabrielius Landsbergis ha calcolato che “il 41% delle decisioni collettive” dell’Ue sull’Ucraina è stato bloccato da Budapest. “Sul Fondo di assistenza per Kiev ho sette atti legislativi fermi ed è un ritardo che si conta in vite umane”, ha stigmatizzato Borrell.

Che ha poi chiesto agli Stati membri – ma si rivolgeva in realtà a uno solo – di non fermare i decreti sull’uso degli extraprofitti russi per dare aiuti militari all’Ucraina (circa altri 2,8 miliardi), tanto più che Budapest ha già ricevuto un’esenzione su entrambi i capitoli. Insomma, la sfiducia dei 26 (forse con la sola eccezione della Slovacchia) è ormai palpabile.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto