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Hamas pubblica il video di un ostaggio di 86 anni

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Arye Zalmanovich ha 86 anni, problemi di salute e necessita di cure mediche. Quel sabato nero del 7 ottobre è stato preso in ostaggio da Hamas nel kibbutz di Nir Oz. Ed è lui il protagonista dell’ultimo video diffuso dai miliziani palestinesi, che continuano così lo stillicidio di immagini strazianti che mostrano i rapiti israeliani giocando con le speranze di familiari e amici. Alcune si sono già spezzate, come quelle di Ida, che ha salutato per l’ultima volta la figlia Noa Marciano, soldatessa 19enne rapita e trovata uccisa vicino all’ospedale Shifa di Gaza City. Per la ragazza si sono tenute le esequie proprio oggi dopo che il suo corpo è stato recuperato dall’esercito israeliano. Giovedì il cadavere di un’altra donna ostaggio era stato rinvenuto vicino all’ospedale della Striscia. Di altre decine, centinaia di persone in mano ai miliziani palestinesi non si hanno notizie certe, mentre da oltre un mese i parenti non smettono di chiedere risposte al governo di Benyamin Netanyahu.

Da 4 giorni, a migliaia marciano verso Gerusalemme per far sentire la loro voce e chiedere una soluzione che riporti a casa i propri cari. “Oggi chiediamo perdono per non essere riusciti a salvarti. Tu ti sei presa cura di noi e noi non ci siamo presi cura di te”, è stato il messaggio della madre di Noa, che parla di un dolore “diventato il dolore dello Stato”. Anche della diciannovenne era stato diffuso un video di Hamas che prima la mostrava in vita, 4 giorni dopo il suo rapimento. Ma ad un certo punto le immagini si interrompevano, mostrando il cadavere della ragazza e la tragica verità di un destino che ora si teme per gli altri rapiti. Secondo Hamas, l’esercito israeliano ha trafugato 130 salme dall’ospedale di Al Shifa di Gaza City, dove si era segnalata anche una fossa comune, probabilmente con l’obiettivo di identificare possibili ostaggi tra i cadaveri. Le speranze continuano ad essere riposte nelle voci di un possibile accordo che riporti a casa i prigionieri.

Fonti citate da Al Arabiya hanno parlato per l’ennesima volta di un’intesa “imminente” per lo scambio di 50 ostaggi nella Striscia con 50 donne e minori detenuti nelle carceri israeliane, nell’ambito di una tregua di tre giorni. Ma il consigliere della sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha chiarito che “non c’è alcun accordo” da annunciare, mentre secondo l’ambasciatore israeliano in Russia, Alexander Ben Zvi, Hamas avrebbe “interrotto di sua iniziativa” il dialogo sulla questione dopo l’assedio allo Shifa. Nonostante l’instabilità dei negoziati, il lavoro per una soluzione mediata prosegue. E i familiari degli ostaggi lottano per essere ascoltati: domani sera la loro marcia arriverà davanti all’ufficio di Netanyahu a Gerusalemme sotto lo slogan ‘Portateli a casa adesso’. Il comitato delle famiglie degli ostaggi ha riferito che sempre domani incontrerà Benny Gantz, mentre da giorni chiede di poter vedere il premier e altri membri del gabinetto di guerra.

La disperazione di chi non conosce la sorte dei propri cari spinge anche a gesti quasi irrazionali: nove nonni sono arrivati in moto al confine con la Striscia di Gaza per chiedere di essere scambiati con i loro nipoti. “Prendete noi”, hanno gridato verso la Striscia. Ma il loro messaggio è diretto anche al governo: “Dobbiamo fare di tutto per riportarli a casa. Come anziani, siamo pronti a pagare un prezzo”.

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‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Kiev, più di 30 località sotto il fuoco russo nel Kharkiv

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Sono ancora in corso i combattimenti nella regione di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina, dove più di 30 località sono sotto il fuoco russo e quasi 6.000 residenti sono stati evacuati, secondo il governatore regionale. “Più di 30 località nella regione di Kharkiv sono state colpite dall’artiglieria nemica e dai colpi di mortaio”, ha scritto Oleg Synegoubov sui social network.

Il governatore ha aggiunto che dall’inizio dei combattimenti sono stati evacuati da queste zone un totale di 5.762 residenti. Le forze russe hanno attraversato il confine da venerdì per condurre un’offensiva in direzione di Lyptsi e Vovchansk, due città situate rispettivamente a circa venti e cinquanta chilometri a nord-est di Kharkiv, la seconda città del Paese.

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Insulti sui social tra Netanyahu e il leader colombiano Petro

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Scambio di insulti, sui social, tra il presidente colombiano, Gustavo Petro, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha detto che il suo Paese non avrebbe preso “lezioni da un antisemita che sostiene Hamas”, dopo che Petro, pochi giorni fa, aveva chiesto alla Corte penale internazionale dell’Aja di emettere un ordine d’arresto nei confronti di Netanyahu. “Signor Netanyahu, passerai alla storia come un genocida”, ha risposto a sua volta il leader progressista colombiano, smentendo di appoggiare Hamas in quanto “sostenitore della democrazia repubblicana, plebea e laica”. “Sganciare bombe su migliaia di bambini, donne e anziani innocenti non fa di te un eroe. Ti poni al fianco di coloro che hanno ucciso milioni di ebrei in Europa. Un genocida è un genocida, non importa se ha una religione o no. Cerca almeno di fermare il massacro”, ha postato Petro.

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