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Esteri

Mosca arma le navi del Mar Nero con missili cruise

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Le forze armate ucraine stanno avanzando con rapidità verso sud, dove ora incontrano debole resistenza nelle retrovie russe, mentre si avvicinano a una seconda linea fortificata delle truppe di Mosca, che si ritiene sia più debole rispetto alla prima. Lo scrive il think-tank Istituto per lo Studio della Guerra (Isw), confermando che il fronte del sud è sempre più caldo. Oltre al conflitto di terra, c’è l’appendice del Mar Nero, dove Mosca ha schierato una nave lanciamissili equipaggiata con otto missili da crociera Kalibr. E poi ha fatto volare un Mig per intercettare un drone Usa, che si sarebbe avvicinato troppo al confine russo.

Lungo il fronte meridionale i partner della Nato avevano consigliato a Kiev di concentrare i suoi sforzi offensivi. Ora, secondo quanto dichiarato da un comandante ucraino alla Reuters, ripreso dall’Isw, passato l’ostacolo più duro, le sue truppe hanno incontrato nelle retrovie solo “gruppi logistici” russi e ora le cose sono “più facili”, anche se, secondo Isw, ad attendere i soldati ucraini c’è una seconda linea fortificata, che però appare più facile da penetrare rispetto alla prima. Gli esperti ritengono che, per lo meno i campi minati siano meno densi rispetto a quelli precedenti, il cui attraversamento è costato molto in termini di perdite umane, di equipaggiamento, energia e tempo. I russi, da parte loro, starebbero ridispiegando ai lati del fronte unità di élite trasferite da Kreminna, nel Donetsk, e da Robotyne, più a ovest in Zaporizhzhia, sguarnendo altri punti del fronte.

Un blogger militare russo il 25 agosto ha scritto che le truppe di Kiev stavano attaccando le retrovie russe a Verbove, che si trova circa 18 chilometri a sud di Orikhiv, dove passa la linea fortificata e minata russa già penetrata. Immagini geolocalizzate analizzate sempre il 25 agosto, secondo l’Isw, indicano che da quelle retrovie i soldati ucraini stanno avanzando anche in direzione nord-ovest, come su Novoprokopivka, che si trova 12 km a sud di Orikhiv, da dove sono avanzate per altri 1,5 chilometri. Da questa posizione, la strada principale porta verso Melitopol e la Crimea. Da parte loro i russi continuano a premere ad est, in parte per allargare il territorio-cuscinetto da loro controllato, in parte forse per creare un diversivo rispetto al fronte sud. Kiev rivendica di aver contenuto gli attacchi nemici su Lyman, Bakhmut e Avdiivka, nel Donetsk, denunciando che i russi “hanno bombardato pesantemente le aree popolate lungo l’intera linea del fronte”.

Fra le direttrici di Lyman e quella di Kupyansk, nella regione di Kharkiv, i russi hanno dislocato al momento rispettivamente 48 mila e 45 mila soldati, concentrando ben 110 mila uomini sulle aree ‘calde’ del fronte orientale. Intanto un caccia russo si è alzato in volo per intercettare un drone da ricognizione americano sul Mar Nero che si avvicinava allo spazio aereo di Mosca. Sul fronte caldo dell’export di cereali ucraini si registra la partenza di una seconda nave bloccata nel porto di Odessa attraverso un corridoio temporaneo istituito dopo il fallimento dell’accordo con la Russia. Intanto l’Ucraina piange uno dei suoi top gun, ‘Juice’, al secolo Andriy Pilshchykov, 30 anni, morto venerdì insieme ad altri due piloti ucraini in uno scontro fra due jet da addestramento L-39 Albatros, durante un’esercitazione lontana dal fronte, nell’oblast nord-occidentale di Zhytomyr. Al pilota ha dato il suo tributo il presidente Volodymyr Zelensky, definendolo “un ufficiale ucraino, uno di quelli che hanno aiutato molto il nostro Paese”, che “non dimenticherà mai chi ha difeso il suo cielo libero”. Pilshchykov, si era guadagnato la sua fama prendendo parte ai combattimenti su Kiev durante la fase iniziale dell’invasione russa. I tre, fa sapere l’aeronautica di Kiev, “erano piloti esperti” e svolgevano missioni sulle zone a est e su Zaporizhzhia.

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Esteri

Portava aiuti a Gaza, colpita la nave di una ong

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E’ finito tra le fiamme e il rischio di colare a picco nel Mediterraneo il tentativo di portare aiuti umanitari della nave Conscience, con a bordo 16 uomini tra equipaggio e attivisti intenzionati a violare il blocco navale imposto da Israele alla Striscia. Nella notte tra giovedì e venerdì l’imbarcazione dell’organizzazione filo-palestinese Freedom Flotilla Coalition è stata colpita da droni mentre si trovava in acque internazionali al largo di Malta. Nel porto dell’isola si sarebbe dovuta imbarcare anche Greta Thunberg, che ha stigmatizzato l’offensiva come ‘crimine di guerra’. L’esplosivo ha causato un incendio sull’imbarcazione, uno squarcio nello scafo e la messa fuori uso del generatore. La nave, che era partita dalla Tunisia giorni fa, ha lanciato un Sos a cui ha risposto Malta inviando un rimorchiatore.

Le autorità marittime del La Valletta hanno dichiarato che non ci sono state vittime, l’incendio è stato spento, l’imbarcazione non rischia di affondare e i passeggeri hanno rifiutato di essere portati a riva. La Freedom Flotilla ha attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele: “Gli ambasciatori israeliani devono essere convocati e rispondere delle violazioni del diritto internazionale, tra cui il blocco in corso e il bombardamento della nostra nave civile in acque internazionali”. Da Gerusalemme non nessun commento. Mentre il canale di notizie saudita Al Arabiya ha riferito che la spedizione era stata organizzata da Hamas e che le persone a bordo avevano in programma di attaccare le truppe dell’Idf avvicinandosi alla costa di Gaza. L’impiego di droni di piccole dimensioni, difficilmente rilevabili con i radar standard, non lascia una ‘firma elettronica’ significativa, impedendo così l’attribuzione a chi li ha lanciati.

Da Roma e Bruxelles, però, le opposizioni hanno definito ‘un crimine’ l’attacco alla Conscience: Pd, Avs, M5s chiedono al governo Meloni e all’Ue di intervenire condannando l’aggressione. Ankara, memore della strage della Freedom Flotilla del 2010 che vide la morte di 9 attivisti e decine di feriti, ha affermato che “saranno fatti tutti gli sforzi per rivelare il prima possibile i dettagli dell’attacco e portare gli assalitori davanti alla giustizia”. Intanto la Croce Rossa ha dichiarato che l’intervento umanitario a Gaza è “sull’orlo del collasso totale”. Israele ha chiuso i valichi il 2 marzo, sostenendo che Hamas aveva dirottato gran parte degli aiuti entrati durante la tregua di 6 settimane, e che i 25mila camion entrati hanno consegnato aiuti sufficienti per un periodo prolungato. Ora l’Idf, secondo indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni, ha pianificato di modificare radicalmente la distribuzione: stop all’ingrosso e all’immagazzinamento degli aiuti, le organizzazioni internazionali e gli appaltatori privati consegneranno cibo alle singole famiglie di Gaza.

Ogni nucleo familiare avrà un rappresentante che riceverà cibo in una zona di sicurezza dell’esercito nel sud della Striscia. Il piano, che intende aggirare Hamas, non è ancora stato approvato dal governo israeliano, ma l’urgenza che i valichi vengano aperti è stata sottolineata dal ministro della Difesa Israel Katz. Degli ostaggi ancora a Gaza, infine, ha parlato giovedì sera Donald Trump, rivelando di aver appreso che ci sono meno di 24 rapiti ancora in vita, come aveva fatto intendere nei giorni scorsi la moglie del premier israeliano, Sara Netanyahu.

Il governo nel frattempo sta affrontando la forte pressione della comunità drusa, compresi centinaia di riservisti e soldati, che chiede di proteggere i ‘fratelli’ che vivono in Siria, attaccati e uccisi – accusano – dai jihadisti. Dopo una violenta protesta drusa la sera prima nel nord di Israele, nelle prime ore del mattino l’Idf ha bombardato la zona del palazzo presidenziale a Damasco. “Questo è un messaggio chiaro al regime siriano. Non permetteremo alle truppe siriane di spostarsi a sud di Damasco o di rappresentare una minaccia per la comunità drusa”, hanno avvertito Netanyahu e Katz. La presidenza siriana ha risposto che il raid rappresenta una “pericolosa escalation”.

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Russia, creiamo una ‘zona cuscinetto’ in regione ucraina di Sumy

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Il ministero della Difesa russo sostiene che le sue truppe stiano creando nella regione ucraina di Sumy quella che definisce “una zona di sicurezza”. Lo riporta l’agenzia Interfax. Le dichiarazioni di Mosca non sono al momento verificabili. L’annuncio arriva dopo che le autorità russe hanno detto di aver ripreso per intero il controllo della regione russa di Kursk, che confina con quella ucraina di Sumy, e dove la scorsa estate i soldati ucraini avevano lanciato un’offensiva a sorpresa. Kiev respinge le affermazioni di Mosca sostenendo di avere ancora dei capisaldi nella regione di Kursk, dove però ha perso gran parte dei territori di cui si era impossessata l’anno scorso.

Pochi giorni fa, il governatore della regione di Sumy, Oleg Hryhorov, aveva dichiarato che le truppe russe stavano cercando di creare una zona cuscinetto nell’oblast dell’Ucraina nordorientale ma, a suo dire, senza “alcun successo significativo”. Allora il governatore ucraino sosteneva che quattro villaggi di confine – Zhuravka, Veselivka, Basivka e Novenke – si trovassero in una “zona grigia” a causa degli attacchi russi, ma non fossero sotto il controllo dei soldati del Cremlino. Il mese scorso, il ministero della Difesa russo sosteneva invece di aver preso Zhuravka e Basivka, cosa che le autorità ucraine negano.

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Rubio: serve svolta nei colloqui su Ucraina al più presto

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deciderà quanto tempo gli Stati Uniti dedicheranno alla risoluzione del conflitto ucraino, quindi una svolta nei negoziati “è necessaria molto presto”. Lo ha affermato a Fox News il segretario di Stato americano Marco Rubio. Le posizioni di Russia e Ucraina “si sono già avvicinate, ma sono ancora lontane l’una dall’altra – ha ricordato – ed è necessaria una svolta molto presto. Allo stesso tempo, ha proseguito Rubio, è necessario accettare il fatto che “l’Ucraina non sarà in grado di riportare la Russia alle posizioni che occupava nel 2014”. La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tammy Bruce, ha dichiarato durante un briefing che gli Stati Uniti restano impegnati a lavorare per risolvere il conflitto, “ma non voleremo in giro per il mondo per mediare negli incontri che si stanno attualmente svolgendo tra le due parti. Ora – ha sottolineato – è il momento per le parti di presentare e sviluppare idee concrete su come porre fine a questo conflitto. Dipenderà da loro”.

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