Tre giorni di inferno: trascinata in isolamento in una cella di polizia, lasciata con una sola coperta, spogliata del cappotto, con la luce sempre accesa, senza poter dormire, senza poter lavarsi nemmeno durante il suo periodo di ciclo mestruale, e senza alcuna possibilità di difendersi. Niente di meno che “una tortura” come accadeva solo “nel Medioevo” e come non dovrebbe succedere “oggi in Europa”, dove “vige ancora la presunzione di innocenza”. A poco meno di un mese dall’ultima volta, il tandem tutto ellenico di avvocati di Eva Kaili è tornato al Palais de Justice di Bruxelles determinato a rivelare ai giornalisti il trattamento shock che la politica ellenica, alla quale in sei settimane di detenzione è stato concesso di vedere la figlia di 23 mesi solo due volte, avrebbe subito la scorsa settimana. Tutte accuse presentate anche davanti ai giudici della Camera di consiglio per chiedere la scarcerazione della politica ellenica, senza tuttavia sortire l’esito sperato: Kaili dovrà restare in carcere – salvo diversa procedura d’appello – almeno per un altro mese. Già nell’aria dalla vigilia dell’udienza, lo scenario avverso per l’ex vicepresidente dell’Eurocamera era in parte atteso dai legali – il greco con radici belghe André Risopoulos e l’istrionico ateniese Mihalis Dimitrakopulos.
Decisi tuttavia a continuare anche “nel lungo termine” la difesa della posizione di “assoluta innocenza” della loro assistita, estranea ai fatti di corruzione e a loro dire anche a qualunque tipo di “collaborazione con Pier Antonio Panzeri”. Che, hanno attaccato, con il suo accordo da pentito con la giustizia belga non sta facendo altro che “comprarsi un futuro” e cercare di proteggere moglie e figlia in attesa dell’esito dei due ricorsi presentati contro la loro consegna in Belgio. L’anima della strategia difensiva di Eva Kaili, hanno evidenziato i due, è che “non deve essere lei la persona che con la detenzione dura paga il prezzo più alto” di una vicenda che non la vede scritturata con un ruolo da protagonista. Ma la posizione della procura federale belga resta, su stessa ammissione di Risopoulos e Dimitrakopoulos, “fermamente negativa” nella sua convinzione che ancora “esistano tutti i rischi” validi per la custodia cautelare, dalla fuga all’inquinamento delle prove.
E a provare l’intransigenza del giudice istruttore Michael Claise ne sarebbero prova i tre giorni di isolamento e sofferenza “mai vista prima”, da mercoledì 11 gennaio a venerdì 13 gennaio, inflitti a Kaili e descritti passo a passo ai giornalisti sulle scale dell’ingresso principale del tribunale di Bruxelles. E’ stata la stessa Eva Kaili, ha tuonato Dimitrakopoulos, a chiederci di rendere pubblici questi fatti “perché la trasparenza è l’anima della giustizia”. Per ora il tandem legale ellenico ha deciso di non sporgere a sua volta denuncia, precisando a più riprese di “credere” ancora nella correttezza del sistema giudiziario belga. In queste sei settimane di carcere, hanno riferito, comunque la politica ha “sempre risposto in modo specifico e completo alle domande che le sono state poste”. Ma per lei nessun accordo da pentito è stato messo su un piatto d’argento. Il successo fin qui è tutto di Claise: per almeno un altro mese Kaili resterà dietro le sbarre, senza poter rivedere la figlia per almeno altri dieci giorni.