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Euro mazzette, la Kaili accusa: i soldi trovati in casa erano di Panzeri

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“I soldi trovati erano di Antonio Panzeri”. Ad una manciata d’ore dall’udienza che la vedrà in tribunale a Bruxelles, Eva Kaili, attraverso il suo legale, prova a mettere giù uno schema di difesa. L’ex vicepresidente dell’Eurocamera, da un punto di vista politico, è il pezzo da novanta del Qatargate. Le sue dichiarazioni, in un modo o nell’altro, potrebbero imprimere una svolta ad un caso che rischia di allargarsi a macchia d’olio. E anche in vista dell’appuntamento di giovedì la Procura federale belga ha deciso di imporre una stretta sulle fughe di notizie rimbalzate in questi giorni, aprendo un’inchiesta ad hoc. “Le fughe di notizie alla stampa possono mettere a rischio il caso, ed è per questo che stiamo avviando un’indagine per violazione del segreto professionale”, ha affermato un portavoce della procura al quotidiano belga L’Echo. La tesi fornita dall’avvocato Michalis Dimitrakopoulos è sensibilmente diversa dalle dichiarazioni che Kaili avrebbe fatto agli inquirenti. L’esponente socialista, secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, ha ammesso di aver incaricato il padre di nascondere le mazzette di denaro e di essere a conoscenza dell’attività portata avanti dal marito, Francesco Giorgi, con l’ex eurodeputato Antonio Panzeri.

“La signora Kaili non ha mai ammesso di aver chiesto al padre di trasferire il denaro” ritrovato a casa sua “per nasconderlo”, ha replicato Dimitrakopoulos da Atene, sottolineando la totale estraneità della sua cliente con il caso. L’eurodeputata ellenica, ha spiegato, sostiene di essere stata informata del denaro quando il suo compagno è stato arrestato vicino al garage della loro casa. In quel momento ha cercato di trovare il proprietario del denaro, ovvero Panzeri, per consegnarglielo. “Un’opzione era quella di consegnare il suo compagno alla polizia, un’altra era quella di riportare il denaro al suo proprietario. Kaili non aveva l’obbligo di denunciare il marito secondo la legge europea”, ha precisato l’avvocato. Di certo, con il passare dei giorni l’inchiesta si complica. Tra gli eurodeputati si ripercorrono le votazioni non solo sul Qatar ma anche sull’altro Paese coinvolto nel caso, il Marocco. Rabat, in alcuni cablogrammi del 2014, definiva Panzeri “un amico” e delineava il suo ruolo per fare pressione su alcuni temi, come l’accordo agricolo Ue-Marocco o la questione del Sahara occidentale. Il numero di indagati non è cambiato ma il quadro potrebbe evolversi. Il quotidiano belga Le Soir, ad esempio, ha riportato nuove dichiarazioni rilasciate da Panzeri agli inquirenti, ai quali avrebbe indicato l’eurodeputato belga Marc Tarabella come destinatario dei suoi “regali”.

A tutto ciò si aggiunge l’interrogativo che in queste ore domina i corridoi brussellesi: la Commissione, in qualche modo, sapeva? Nelle carte dell’inchiesta dei servizi segreti belgi – i primi a muoversi, la scorsa estate – sarebbe ipotizzato un coinvolgimento di funzionari del Servizio di Azione Esterna. “Siamo consapevoli che ci sono indagini in corso, e che gli accadimenti sono seri. Va fatta chiarezza su cosa è successo ma non commentiamo a indagini in corso”, ha spiegato il portavoce dell’esecutivo europeo Peter Stano. L’inchiesta rischia di complicare non poco i rapporti tra Bruxelles e il Qatar al termine di un anno in cui l’importanza di Doha sul dossier energia si è impennata. E dopo il duro avvertimento lanciato da Doha nei giorni scorsi, a margine della conferenza di Baghdad, si è registrato un primo faccia a faccia, ai massimi livelli tra l’Ue e il Paese del Golfo.

Josep Borell ha infatti incontrato il ministro degli Esteri qatarino Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani. “Abbiamo concordato sulla necessità che le indagini facciano piena chiarezza”, ha twittato l’Alto Rappresentante europeo che sembra non aver fermato la procedura per la nomina di inviato Ue nel Golfo. In pole c’erano Dmitris Avromopoulos e Luigi Di Maio. Il primo, finito nel mirino per essere stato nel board di Fight Impunity, ha gridato al complotto. “Non esiste alcuna macchinazione sulla nomina”, è stata la netta replica di un alto funzionario europeo.

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Zelensky: parlerò con Putin solo con un piano Usa-Ue

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A quasi tre anni dall’inizio dell’invasione russa Volodymyr Zelensky è disposto a incontrare Vladimir Putin – e nessun altro russo – ma solo per presentargli il piano elaborato con Stati Uniti e Ue “insieme”, perché – ha ribadito il presidente ucraino – l’unità degli alleati è “un messaggio” per lo zar e la prima garanzia di sicurezza per Kiev. Al momento però, ha sottolineato Zelensky a Monaco prima di incontrare il vicepresidente americano JD Vance, “non vedo pronto un piano degli Stati Uniti”. “Vogliamo una pace duratura, che non porti un’altra guerra nell’Europa orientale in pochi anni”, gli ha assicurato il numero due della Casa Bianca nel faccia a faccia in Baviera.

La telefonata di Donald Trump a Putin ha di certo smosso le acque del conflitto in Ucraina e dato la stura a diverse ipotesi e previsioni di quello che potrebbe essere un accordo per il cessate il fuoco. Il tycoon ha riferito a Zelensky che anche “Putin vuole mettere fine alla guerra”, ma il leader ucraino non si fida: “Gli ho spiegato che è un bugiardo”, ha detto. Trump, al contrario, “è un uomo forte. E se sceglierà di stare dalla nostra parte, e non nel mezzo, potrà spingere Putin a fermare la guerra”, ha aggiunto Zelensky, riferendo che il presidente gli ha dato il suo numero di telefono personale. Il timore del leader ucraino è infatti quello di essere scavalcato e che un accordo con Mosca venga raggiunto senza tenere in considerazione le sue richieste.

Del resto, Washington avrebbe già messo sul piatto della trattativa l’esclusione di Kiev dalla Nato (“Gli Usa non ci hanno mai voluti”, ha constatato Zelensky) e la rinuncia ai confini precedenti il 2014, l’anno dell’annessione russa della Crimea. Ma, ha avvertito il leader di Kiev nel tentativo di convincere gli alleati, Putin va fermato perché non si accontenterà dell’Ucraina: secondo le sue fonti di intelligence, lo zar “sta preparando la guerra contro i Paesi della Nato l’anno prossimo”.

“Questo è quello che penso, non lo so, non ho il 100%” delle informazioni”, ha poi smussato. “Ma Dio ci benedica, fermeremo questo pazzo”. Prima di incontrare Zelensky, Vance ha a sua volta lanciato un monito a Putin: se Mosca non negozierà in buona fede, gli Usa useranno tutti i “mezzi di pressione” che hanno a disposizione, quelli economici, come le sanzioni, e quelli militari. L’Ucraina deve avere “l’indipendenza sovrana”, ha chiarito il vicepresidente al Wall Street Journal, senza escludere l’invio di truppe americane sul terreno. Dichiarazioni che hanno subito fatto drizzare le antenne al Cremlino che, ha fatto sapere, attende “spiegazioni ulteriori” sulle minacce di Vance. Anche l’Unione europea, spiazzata dall’accelerazione imposta dalla telefonata di Trump ma in qualche modo rabbonita da Vance (l’Ue sarà “ovviamente” coinvolta nei negoziati di pace), ribadisce “il sostegno costante e stabile” all’Ucraina.

“Accelereremo i lavori per la vostra adesione all’Ue”, hanno assicurato Ursula von der Leyen e Antonio Costa nell’incontro con il presidente ucraino. Mentre l’alto rappresentante Kaja Kallas ha fatto un passo avanti: “I 27 Paesi Ue, o altri Paesi, che si dicono a favore delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina ora devono anche dire se sono pronti a inviare truppe e quante”. In serata Zelensky rende noto un colloquio telefonico con Giorgia Meloni: “ho ringraziato l’Italia per il suo completo supporto all’Ucraina. L’ho informata dei miei recenti contatti con l’amministrazione statunitense”. Scrive su X e sottolinea.

La presidente del Consiglio, spiega una nota di Palazzo Chigi, “ha riaffermato il sostegno dell’Italia all’Ucraina e al popolo ucraino anche in vista dei futuri colloqui ed entrambi hanno concordato sull’importanza di mantenere uno stretto coordinamento con i partner europei e gli Stati Uniti”. Per Zelensky, “non importa da quale Paese vengano le forze”: il punto è che, senza l’adesione alla Nato, la vera garanzia di sicurezza per evitare il rischio di una nuova aggressione russa è rafforzare l’esercito ucraino, che dovrà raddoppiare le brigate e arrivare a contare “1,5 milioni di militari”, con il contributo economico degli alleati. “Poi, se volete venire e morire… prego”, ha risposto il presidente ucraino a una domanda in merito, gelando la platea dell’Hotel Bayerischer Hof. Sul piatto dei colloqui con gli Usa, ci sono poi quelle terre rare di cui l’Ucraina è ricca e che Trump vuole in cambio dei miliardi spesi per finanziare la guerra contro la Russia. Secondo i media ucraini, Kiev ha finalizzato una bozza di accordo per garantire agli Stati Uniti l’accesso alle riserve per un valore di 500 miliardi di dollari. “I Paesi che ci sostengono avranno priorità sugli investimenti”, ha assicurato Zelensky, avvertendo tuttavia che “non firmerà” qualsiasi cosa.

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Telefonata di Zelensky alla Meloni: Europa sia nei negoziati

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“Ho avuto una colloquio telefonico con la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e ho ringraziato l’Italia per il suo completo supporto all’Ucraina. L’ho informata dei miei recenti contatti con l’amministrazione statunitense, incluso il mio incontro con il Vicepresidente JD Vance e la mia chiamata con il Presidente Trump”. Lo riferisce Volodymyr Zelensky su X. Nel suo post Zelensky ha anche sottolineato: “L’Europa deve partecipare a pieno titolo ai negoziati di pace e agli sforzi per prevenire guerre future”.

“Abbiamo discusso del coordinamento con i partner su efficaci garanzie di sicurezza per l’Ucraina e possibili quadri per garantire la sicurezza a lungo termine. Ho sottolineato che la garanzia più forte e conveniente è l’adesione alla Nato. Finché l’Ucraina non riceverà un invito, è fondamentale che i nostri partner sostengano lo sviluppo del nostro esercito forte e moderno, dei sistemi di difesa aerea, delle capacità a lungo raggio e di una flotta capace. Ho anche sottolineato che prima di qualsiasi negoziazione, Europa, Stati Uniti e Ucraina devono coordinare una strategia di difesa e sicurezza unificata con un chiaro piano d’azione. L’Europa deve partecipare a pieno titolo ai negoziati di pace e agli sforzi per prevenire guerre future”, ha sottolineato.

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Von der Leyen, ‘le spese per la difesa fuori dal Patto’

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Gli Usa alzano la voce, l’Unione Europea capitola davanti alla realtà: i 27 dovranno spendere di più nel settore militare. Molto di più. La presidente dell’esecutivo blustellato, Ursula von der Leyen, si è presentata dunque alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco con un annuncio in tasca: “Abbiamo bisogno di un approccio coraggioso, proporrò dunque di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa”. Gli Stati membri, insomma, potranno mettere mano al portafoglio senza incorrere nelle ire di Palazzo Berlaymont. La mossa di von der Leyen ha incassato subito la “soddisfazione” di chi chiede da tempo lo scorporo delle spese per la difesa dai vincoli di bilancio, a cominciare da Giorgia Meloni. “Si tratta di un primo, fondamentale passo nella giusta direzione, che dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni”, ha comunicato Palazzo Chigi.

La possibilità che ogni singolo Paese spenda di più per conto proprio non basta, è il ragionamento di quelle capitali che hanno un alto debito e dunque minimo spazio di bilancio. La Commissione lo sa. “Abbiamo bisogno di un approccio europeo nel definire le nostre priorità di investimento, che consenta d’investire in progetti di difesa molto necessari e di comune interesse europeo”, ha aggiunto von der Leyen. L’obbligo di andare “oltre il 3% del Pil” – finalmente metabolizzato dopo la ministeriale Nato, in cui il capo del Pentagono Pete Hegseth ha terrorizzato gli alleati – genererà “centinaia di miliardi” di risorse da mettere a terra e sarà dunque imperativo che l’Ue trovi un modo per far fruttare gli investimenti, senza sprechi e duplicazioni.

Il Libro Bianco per la difesa – che verrà presentato fra circa un mese – sarà chiamato a proporre alcune soluzioni. Non ci saranno però assegni in bianco. “Naturalmente – ha detto von der Leyen – l’aumento delle spese avverrà in modo controllato e condizionato e proporremo anche un pacchetto più ampio di strumenti ad hoc per affrontare la situazione specifica di ciascun Paese, dall’attuale livello di spesa per la difesa alla situazione fiscale”. Al netto della svolta, si devono comprendere meglio i dettagli. Ci sono infatti due tipi di clausole di salvaguardia previste dal Patto di stabilità e crescita utilizzabili in questo caso. Da una parte quella “generale” – con una deroga per tutti all’applicazione delle regole – e dall’altra quella “nazionale”, dove in pratica ogni Paese fa per sé. Con le nuove regole, arrivate dopo il Covid, la clausola generale può essere attivata per una “grave recessione” e “quindi legalmente l’uso non sarebbe proprio appropriato”, affermano fonti a Bruxelles con un’approfondita conoscenza della materia. Più realistica appare invece l’attivazione della clausola nazionale. L’apertura di von der Leyen – seppure già ipotizzata dopo il ritiro informale dei leader sulla difesa – è destinata a generare più di un mal di pancia.

“Ci vorrà un po’ ai frugali per digerirla”, è stata la battuta di un diplomatico europeo. Si tratta pur sempre di una eccezione alle regole, è il ragionamento che si raccoglie del resto proprio tra i frugali, secondo i quali, considerate le attuali circostanze, consentirebbe però di far affrontare la spesa direttamente agli Stati, e sarebbe quindi preferibile rispetto all’idea di creare un fondo Ue. Una simile deroga al Patto necessiterà dell’approvazione in seno al Consiglio Ue. Ma anche all’interno dei singoli Paesi è destinata a fare rumore. In Italia, Fi e Fdi l’hanno applaudita con nettezza. I Verdi italiani hanno invece anticipato un argomento sul quale potrebbero convergere, con variabile convinzione, anche il M5S e il Pd. “E’ grave che l’Ue parli di investimenti pubblici solo per il riarmo e non per settori chiave come le crescenti emergenze sociali e ambientali e la transizione ecologica, dai quali dipende il presente e il futuro di cittadine e cittadini”, hanno sottolineato gli eurodeputati ecologisti.

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