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Schlein si candida a guida Pd, ‘Parte una storia nuova’

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Alle spalle, la parete grezza di un locale romano in stile rimessa. Davanti, un leggìo in ferro. Seduto di fronte, in semicerchio, il pubblico. Elly Schelin ha scelto una scenografia spartana per lanciare la candidatura alla guida del Partito democratico. L’annuncio è arrivato con una frase a prova di fraintendimento. “Insieme a voi voglio diventare la segretaria del nuovo Pd”, ha scandito fra gli applausi del pubblico, che ha intonato Bella Ciao. Il derby emiliano romagnolo per la conquista del Nazareno è ora ufficiale: il governatore Stefano Bonaccini contro la sua ex vicepresidente, Schlein.

Ma in corsa c’è anche Paola De Micheli. Ed è attesa la decisione del sindaco di Pesaro Matteo Ricci. “Parte da noi una storia nuova”, ha esordito Schlein, che ha tracciato le “sfide cruciali: diseguaglianze, clima e precarietà”. E che ha insistito sul cambiamento: “Serve un rinnovamento forte del gruppo dirigente per scardinare le logiche di cooptazione correntizia. Non esisteranno mai gli schleiniani. Questo Paese fa fatica a pensare che una donna possa farsi strada senza essere strumento di altro, dimostreremo il contrario”. Però, in sala, pochi hanno resistito alla tentazione di scovare nel pubblico i volti Pd. Ce n’erano diversi, anche il vicesegretario Peppe Provenzano, Laura Boldrini, Cecilia D’Elia e Marco Furfaro.

E c’era il coordinatore di Articolo Uno, Arturo Scotto. Presenze che non sono tutte endorsement. A Schelin guarda la sinistra del partito, ma ancora non ci sono indicazioni ufficiali: “Ho trovato tanti punti in comune – ha chiarito Provenzano – Ma non è questo il momento di ridurre tutto a dire chi sta con chi”. E non è passato inosservato l’arrivo della deputata Michela Di Biase, moglie di Dario Franceschini: Schlein “potrà dare un utilissimo contributo”, ha detto. Schlein ha parlato soprattutto di Pd, del suo Pd: “Prenderò la tessera”. Quando ha guardato fuori, ha lanciato attacchi a Giorgia Meloni: “Non ce ne facciamo niente di una premier donna che non aiuta le altre donne”. Ed è andata al contrattacco di Matteo Renzi: “Dice di avermi portato al Parlamento europeo. Gli ricordo che furono 50 mila preferenze a farlo. Renzi ha il merito di aver spinto me e tanti altri fuori dal Pd”. Il leader di Iv ha replicato a “Mezz’ora in Più”.

“Molti hanno goduto del fatto che con me vincevano, il Pd aveva il 40,8%. Schlein avrà preso le preferenze ma se non trovava un pazzo che la candidava, che lanciava la rottamazione, non andava al Parlamento europeo”. Nell’intervento, Schlein ha lanciato diversi messaggi. Per esempio, in una sola frase ha messo dentro una stoccata al sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che ha minacciato di lasciare il Pd se vincerà lei, e ha lanciato un amo ad Andrea Orlando che, dalla sinistra Pd ancora senza candidato, ha chiesto al partito una “critica all’attuale fase di sviluppo del capitalismo”: “Non siamo qua per una resa dei conti – ha detto Schlein – Sono disponibile ad accettare ogni esito del congresso e a lavorare dal giorno dopo per l’unità. Non è una sfida da leggere nella divisione fra riformismo e radicalità, c’è un campo comune: come cambiare il modello di sviluppo neoliberista che si è rivelato insostenibile”.

Ma Schlein ha parlato anche a chi, come Bonaccini, guarda a una riforma sulle autonomie: “Il disegno di Calderoli – ha detto la deputata – affonda le radici nel progetto leghista di secessione, va rigettato”. Il programma di Schlein si basa su “giustizia sociale e climatica” e contiene “salario minimo, reddito di cittadinanza, difesa dell’universalità della sanità pubblica, più scuola pubblica e nidi…”. Per rappresentare il percorso, Schlein ha scelto amministratori locali e professionisti impegnati nell’ecologia e nella lotta al gap di genere. Sono saliti sul palco la presidente del municipio 8 di Milano Giulia Pelucchi, l’assessora all’Ambiente di Mola di Bari Elvira Tarsitano, il sindaco di Arquata del Tronto Michele Franchi, una manager che ha sviluppato un’app sulla differenziata, Noemi de Santis, l’architetta Michela Vailati, e l’ex presidente provincia di Bergamo, Matteo Rossi.

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Ancora un Commissario: per il granchio blu e per la peste suina

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Parola mantenuta sul decreto di sostegno all’agricoltura preannunciato, a metà marzo a Roma, dal ministro Francesco Lollobrigida alla Conferenza organizzativa della Cia-Agricoltori Italiani, e frutto della collaborazione di più ministeri, – a partire da Difesa, Ambiente, Salute, Turismo – , nonché di ulteriori confronti con tutte le organizzazioni di rappresentanza del settore primario. Oggi ha preso forma in dodici articoli e verrà presentato la prossima settimana in Consiglio dei ministri. Al traguardo di un working in progress reso noto in più occasioni dallo stesso ministro Lollobrigida, ma senza fornire i dettagli sulle misure di aiuto “per rispetto – ha detto – del Cdm dove verrà discusso”. L’obiettivo dichiarato, durante la 75/ma assemblea di Fruitimprese, è quello di affrontare non solo le situazioni critiche ma anche per mettere in campo una strategia volta a migliorare i controlli del settore e altre questioni che riguardano “un mondo che deve essere protetto, salvaguardato e promosso”, ha sottolineato Lollobrigida.

Stando all’ultima bozza del provvedimento, il dl Agricoltura di prossimo varo prevede aiuti alle imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina ma anche dal proliferare del granchio blu per cui arriva un commissario straordinario nazionale in carica fino al 2026, o per i produttori colpiti dalla “moria dei kiwi”, oltre a nuovi interventi per arginare la peste suina e il rafforzamento del contrasto alle pratiche sleali. E per limitare l’uso del suolo agricolo si dispone che “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’istallazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”. La società “Sistema informatico nazionale per lo sviluppo dell’Agricoltura – Sin Spa” viene incorporata nell’Agenzia per le erogazione in Agricoltura, Agea.

Inoltre per far fronte alla complessa situazione epidemiologica derivante dalla diffusione delle Peste suina africana (Psa) i piani di contrasto al proliferare dei cinghiali lungo l’intera Penisola verranno attuati anche mediante il personale delle Forze armate, previa frequenza di specifici corsi di formazione e mediante l’utilizzo di idoneo equipaggiamento. Sarà coinvolto un contingente di massimo 177 unità, e per un periodo non superiore a 12 mesi, con spese a carico, viene precisato nel testo, del Commissario straordinario preposto al contrasto Psa.

Il decreto guarda anche al settore pesca e dell’acquacoltura per contenere gli effetti della crisi economica conseguente alla diffusione del granchio blu. Le imprese della comparto che nel 2023 hanno subito una riduzione del volume d’affari, pari almeno al 20 per cento rispetto all’anno precedente, previa autocertificazione potranno avvalersi della sospensione per 12 mesi delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale, cambiali agrarie comprese. “In questo provvedimento – ha sottolineato Lollobrigida uscendo da Palazzo Chigi – ci saranno alcune delle cose che avevamo garantito. Sul granchio blu abbiamo fatto molto, e bisogna fare ancora di più: bisogna avere una strategia di carattere italiano ed europeo non solo per arginare i danni che vengono provocati ma anche per trovare una soluzione definitiva”.

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Pichetto: norme per il nucleare entro la legislatura

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Entro questa legislatura, il governo Meloni vuole varare tutta la normativa necessaria per reintrodurre il nucleare in Italia. Questo perché i primi reattori a fissione di 4/a generazione, quelli su cui punta l’esecutivo, dovrebbero andare in produzione alla fine del decennio. E per quella data, il governo vuole avere pronto il quadro giuridico per installarli e farli funzionare. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha annunciato i suoi obiettivi in una intervista a Radio 24. Alla domanda del giornalista se entro la legislatura potrà essere cambiato il quadro legislativo sul nucleare, Pichetto ha risposto “sì. Io ce la metto tutta. Questo è il mandato del governo e del Parlamento”.

Il ministro ha spiegato più volte che non vuole tornare alle grandi centrali, come in Francia, ma puntare sugli “small modular reactors”, il nucleare di 4/a generazione: in pratica, motori di sommergibili chiusi dentro cilindri di metallo, economici e facili da costruire e da gestire. Quattro moduli da 100 megawatt, installati insieme, forniscono l’elettricità di una centrale a gas. Secondo Pichetto, potrebbero essere direttamente i consorzi industriali a farsi la “loro” centrale. Ma i tempi per avere i piccoli reattori modulari, ha spiegato oggi il ministro, “sono 2, 3, 4 anni, il prodotto non c’è ancora.

Si parla di avere le condizioni di produzione di questi piccoli reattori alla fine di questo decennio. Vuol dire che in questa legislatura dobbiamo avere tutto a posto” dal punto di vista giuridico. Pichetto il 27 aprile ha incaricato il giurista Giovanni Guzzetta di di costituire un gruppo di lavoro per ridisegnare tutta la normativa sul nucleare in Italia, in vista del ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese. La questione non è secondaria.

Dopo l’abbandono del nucleare nel 1987, nel nostro Paese non c’è più una disciplina sulle autorizzazioni degli impianti e sul loro funzionamento. E non ci sono neppure le fondamentali normative sulla sicurezza. Senza leggi e regolamenti, non si possono riaprire le centrali. Il ceo di Newcleo, la principale società italiana per il nucleare, Stefano Buono, giorni fa fa ha dichiarato che “se il quadro normativo verrà stabilito rapidamente, potremmo prevedere di dispiegare i primi Small Modular Reactors in Italia entro il 2033”. Ma il rinnovo delle regole non è l’unico problema.

Gli italiani hanno detto no al nucleare due volte, con i referendum del 1987 e del 2011. Il governo sostiene che questi no non sono più validi, perché si riferiscono alle grandi centrali di 3/a generazione, e non agli small modular reactors. Ma l’opposizione all’atomo resta forte nel Paese: l’opposizione di sinistra è contraria, e così gli ambientalisti, convinti che il nucleare sia inutile e costoso, e che occorra invece puntare sulle rinnovabili. In caso di ritorno all’atomo, un nuovo referendum è un’ipotesi tutt’altro che improbabile, e dall’esito incerto. E poi c’è la questione del deposito nazionale delle scorie nucleari, mai realizzato da decenni, per le fortissime opposizioni popolari. Pichetto ha detto che punta a individuare il sito entro la legislatura, fra le 51 ipotesi individuate dalla Sogin (la società pubblica per lo smantellamento delle centrali), in Piemonte, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.

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Europee, nelle liste tanti soprannomi e troppi (20) giornalisti

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Non c’è solo “Giorgia”. Nelle liste per le europee i soprannomi o “detti” sono una valanga: si va da Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, detta “Letizia Moratti” (FI) a Domenico Lucano detto “Mimmo” (Avs), da Alessandro Cecchi Paone detto “Cecchi” o “Pavone” (Stati Uniti d’Europa), a Sergio De Caprio detto “Capitano Ultimo” detto “Capitano” e “Ultimo” (Libertà), fino allo scrittore Nicolai Verjbitkii conosciuto come Nicolai Lilin e così segnato nelle liste Pace, Terra, Dignità. Nelle liste dei papabili per l’Europarlamento compaiono una ventina di giornalisti, in particolare nel centrosinistra. FdI oltre a Giorgia Meloni detta “Giorgia”, schiera anche Piergiacomo Sibiano detto “Piga” e Salvatore Deidda detto “Sasso”.

Forza Italia e Noi Moderati candidano, tra gli altri, Antonio Cenini detto “Cenno”, Francesca Salatiello detta “Fra” e – dulcis in fundo – Edmondo Tamajo, detto “Tamaio”, ma anche “Di Maio”, “Edy”, “Edi” o ancora “Eddy”. Talvolta i soprannomi privilegiano la brevità, come nel caso di Suad Omar Sheikh Esahaq, candidata da Avs e detta “Su”. Altre volte prevengono possibili errori di scrittura, come per Giuliana Fiertler, detta “Firtler”, sempre in lista con Alleanza Verdi Sinistra. Tra i candidati di Stati Uniti d’Europa, ci sono: la senatrice Raffaella Paita detta “Lella”, Muharem Saljihu detto “Marco”, Gerardo Stefanelli, detto “Stefano”, e Alessandrina Lonardo Mastella detta “Sandra Mastella” (la moglie di Clemente).

Azione di Carlo Calenda schiera, tra gli altri, Gianni Palazzolo detto “Giangiacomo”, il M5s Giusy Esposito che diventa “Giusi” e Daniela Gobbo che si trasforma in “Daniela Varedo”. Nel Pd la prima a segnarsi anche con un altro nome – quello con cui è conosciuta ai più – è la segretaria, Elena Ethel Schlein detta “Elly”. Oltre a lei, anche Brando Maria Benifei, “Brando” o “Bonifei”, Marco Pacciotti detto “Paciotti” o “Marco” e Giuseppina Picierno detta “Pina”. La Lega presenta Susanna Ceccardi detta “Susanna” o “Susi” e Claudio Borghi detto “Borghi Aquilini”.

Gran parte dei giornalisti che competono per l’Europarlamento sta nelle liste del centrosinistra. In Pace, Terra, Dignità, oltre al promotore Michele Santoro, compare il vignettista Vauro Senesi detto “Vauro”, Raniero La Valle, che negli anni Sessanta fu direttore dell’Avvenire d’Italia e Fiammetta Cucurnia (ex Repubblica). Il Pd schiera la nota giornalista Lucia Annunziata, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Sandro Ruotolo, Donatella Alfonso, Teresa Bartoli e Lidia Tilotta. Nelle liste Stati Uniti d’Europa compaiono: Eric Jozsef, corrispondente di Libération, Alessandro Cecchi Paone e Marco Taradash. Con Avs ci sono diversi freelance, con Azione di Carlo Calenda la giornalista ucraina Nataliya Kudryk. Il M5s presenta Gaetano Pedullà, che per la corsa a Bruxelles ha lasciato la direzione de La Notizia.

Tra i candidati di Forza Italia-Noi Moderati, compare la freelance Laura D’Incalci, in quelle della Lega il giornalista campano Luigi Barone. Anche in Fratelli d’Italia alcuni candidati hanno avuto esperienze giornalistiche, ma mai come attività primaria. Sfogliando le liste ci si imbatte anche in strane omonimie e cognomi illustri. Il primo è il caso Roberto Mancini, che non è l’ex allenatore della nazionale ma un candidato di Pace, Terra, Dignità. Il secondo è quello di Giovanna Giolitti, pronipote dello statista Giovanni Giolitti, che corre con FdI. Il partito di Meloni presenta anche Vincenzo Sofo, europarlamentare passato dalla Lega a Fratelli d’Italia e sposato con Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen.

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