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Crisi umanitaria Ucraina, aiuti e volontari: ecco la mappa della solidarietà

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Evacuazioni, materiali di prima necessita’ e sanitari, pasti e ricoveri, trasferimenti, triage e formazione medica, corsi di supporto psicologico per famiglie e bambini. E’ un’offerta varia ed enorme quella che il mondo del volontariato e delle ong sta fornendo al popolo ucraino, direttamente in patria ed ancora di piu’ ai confini con centinaia di dipendenti e volontari.

CROCE ROSSA ITALIANA: e’ impegnata in missioni umanitarie dall’Italia per l’invio di aiuti alla Croce Rossa ucraina ed ha compiuto una missione di evacuazione di oltre 80 civili fragili da Leopoli: complessivamente sono stati impiegati finora 138 operatori e 56 mezzi. Sul campo sono coinvolti gli oltre 10mila volontari della Croce Rossa ucraina che ha 200 comitati locali e si stima che ad oggi abbia aiutato piu’ di 300mila persone. Nei Paesi confinanti con l’Ucraina sono inoltre operative le diverse Societa’ nazionali di Croce Rossa.

CARITAS ITALIANA: Il 21 e il 22 marzo ha organizzato due voli umanitari da Varsavia attraverso i quali sono arrivati in Italia circa 400 profughi accolti in 20 diocesi. Complessivamente ha fatto evacuare oltre 9.000 persone. Ha una estesa rete di centri di prima accoglienza e rifugio nelle diverse citta’ ucraine, rivolta sia alle persone di transito ma anche alle tante persone che non vogliono lasciare il paese. Vengono forniti generi di prima necessita’ e supporto psico-sociale. E’ stato attivato il servizio di accompagnamento e trasporto delle persone, affinche’ possano raggiungere localita’ sicure.

CARITAS UCRAINA: ha assistito dall’inizio del conflitto piu’ di 100.000 persone. Circa 1.500 i pasti caldi vengono distribuiti ogni giorno. Ha organizzato alloggi che accolgono giornalmente circa 1500 sfollati interni. A Kiev, Zhytomyr e Ternopil in particolare hanno creato rifugi resistenti ai bombardamenti.

CARITAS SPES: opera attraverso i suoi 34 Centri in collaborazione con le parrocchie romano-cattoliche, e dall’inizio del conflitto ha fornito assistenza a oltre 145.000 persone.

CARITAS POLONIA: fornisce circa 2600 posti di accoglienza. Ha garantito un alloggio sicuro a 800 minori tra orfani e bambini con varie disabilita’. Ha allestito inoltre diverse “Tende della Speranza”, centri di ristoro e accoglienza.

CARITAS MOLDAVIA: ha allestito un Centro per fornire alloggio e cibo ai rifugiati con circa 130 posti e avviato un programma di sostegno psicologico nei Centri per i profughi con il coinvolgimento di 111 psicologi volontari.

UNHCR: ha 117 membri del personale in Ucraina. Nei paesi limitrofi ci sono 157 persone sul campo. Ha dispiegato in Ungheria, Moldova, Polonia e Romania esperti di coordinamento e protezione, compresi i coordinatori di emergenza per la protezione contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale ed e’ presente su tutti i confini: Polonia, Ungheria, Moldavia, Slovacchia e Romania.

UNICEF: ha numerosi operatori sul campo per distribuire aiuti essenziali e 47 team mobili per offrire protezione e servizi psicosociali ai bambini. Oltre i confini sta allestendo i “Blue Dots”, spazi a misura di bambino. A Kharkiv ha allestito spazi di supporto in 29 stazioni della metropolitana, equipaggiati con materiali didattici. Nei paesi confinati ha allestiti i Blue Dots, dotati di Spazi a misura di bambino.

MEDICI SENZA FRONTIERE: ha inviato kit chirurgici, traumatologici, farmaci per malattie croniche e per afflussi di massa di pazienti a supporto degli ospedali ucraini, fornito formazione al personale delle strutture sanitarie sulla gestione di afflusso di massa di pazienti e inviato i propri team alle frontiere dei paesi limitrofi. Msf ha portato nel paese 120m3 di forniture mediche d’emergenza, un terzo a Kiev via treno.

SAVE THE CHILDREN: In Romania e’ in 9 valichi di frontiera e in 5 centri di accoglienza per richiedenti asilo e 2 campi per rifugiati ed ha fornito supporto con i suoi interventi a circa 15.000 persone di cui 8.000 bambini. Ha attivato Spazi a Misura di Bambino e spazi dedicati a mamme e neonati. In Lituania lavora in tutti e 5 i Centri per la Registrazione dei rifugiati dove ha allestito Spazi a Misura di Bambino che hanno accolto piu’ di 2.500 bambini.

AB.BI- ASSOCIAZIONE AMICI DEI BAMBINI: opera in Ucraina tramite la Fondazione di beneficenza ucraina “Drusie Ditiei Ukraina” (Amici dei Bambini Ucraina), a favore dei minori accolti negli istituti del paese. In cooperazione con la “Rete ucraina per i diritti dei bambini” fornisce assistenza in loco e di evacuazione verso i paesi limitrofi.

TERRE DES HOMES: con il partner polacco, Polish Medical Mission distribuisce materiali medici, anche in ospedali pediatrici. In Polonia, a Kobyłka, ha avviato un servizio di prima accoglienza e supporto psicosociale per mamme e bambini. La Federazione Internazionale Terre des Hommes e’ presente in Ungheria, Romania e Moldavia per assistenza ai minori.

ACTIONAID: In Polonia e’ sui punti di confine di Dorohusk, Hrebenne e Zosin, lavora per dare sostegno a 3.500 famiglie, in particolare alle donne sole con figli, oltre alla prevenzione delle violenze e abusi lavorano nel supporto psicosociale e legale. In Romania, nelle localita’ di Tulcea, Isaccea, Sirat, con un programma di contrasto della tratta e della violenza di genere si occupa della prevenzione nei punti di ingresso alla frontiera.

INTERSOS: e’ in Ucraina, Polonia e Moldavia per garantire cure mediche, protezione e sostegno psicosociale, soprattutto a donne e bambini. Un team di emergenza e’ a Leopoli per In supportare un ospedale oncologico e alcuni rifugi. E’ operativa a Vinnytsia, a 100 km da Zhytomyr, con attivita’ di protezione e assistenza sanitaria. Dal 3 marzo e’ in Polonia al confine con l’Ucraina nel punto medico nel centro di Korczowa, un centro commerciale trasformato in struttura di accoglienza con circa 2.000 posti.

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Zelensky finisce nella lista dei ricercati di Mosca

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La foto segnaletica è precedente alla guerra, scattata quando indossava ancora camicia e giacca, senza la barba e la mimetica che dal febbraio 2022 sono diventate simbolo del suo ruolo di guida della resistenza ucraina. In una mossa a sorpresa, Volodymyr Zelensky è finito sulla lista dei ‘most wanted’ del ministero dell’Interno russo, dopo che nei suoi confronti è stato aperto un non meglio specificato procedimento penale. Nel database infatti il presidente ucraino, nemico numero uno dello zar Vladimir Putin, è ricercato ai sensi di “un articolo” del codice penale russo. Quale sia resta un mistero, mentre il ministero degli Esteri ucraino ha liquidato la faccenda come l’ennesima “prova della disperazione della macchina statale e della propaganda russa, che non ha altre scuse degne di nota da inventare per attirare l’attenzione”.

Secondo Kiev, l’unico mandato d’arresto “del tutto reale e soggetto a esecuzione in 123 Paesi del mondo” è quello emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin con l’accusa di crimini di guerra. E sui media ucraini corre l’ipotesi che l’inserimento di Zelensky nella lista dei ricercati nasca proprio dal desiderio di vendetta per quel mandato internazionale, uno schiaffo senza precedenti mai digerito dallo zar. Oltre a Zelensky, il ministero dell’Interno russo ha emesso un ordine di arresto anche per l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko e l’ex ministro ad interim della Difesa e attuale rettore dell’Università nazionale di difesa dell’Ucraina, Mikhail Koval. Anche per loro mancano i reati contestati, così come avvenuto in altri ordini di arresto nei mesi scorsi. Dall’inizio dell’invasione, sono diversi infatti i politici e personaggi pubblici stranieri inseriti nella lista nera di Mosca che conta decine di migliaia di voci.

L’anno scorso, i russi hanno dichiarato ricercati l’allora capo delle forze armate Valery Zaluzhny e l’allora comandante delle forze di terra Oleksandr Syrsky, oggi a capo dei militari di Kiev. E proprio a seguito dell’ordine di arresto emesso contro Putin è finito nell’elenco dei ricercati anche Rosario Aitala, il giudice italiano responsabile di quel mandato. A febbraio, è stato aggiunto il nome della premier estone Kaja Kallas insieme a quelli di altri funzionari dei paesi baltici. Per loro la motivazione è stata resa nota ma suona draconiana: “Falsificazione della storia”. Mentre la Russia mischia la guerra con la giustizia interna, lo scontro prosegue in Ucraina, dove il tempo stringe per Zelensky che chiede “decisioni tempestive e adeguate sulla difesa aerea dell’Ucraina, fornitura tempestiva di armi ai nostri soldati”.

Secondo il leader ucraino, “solo questa settimana i terroristi hanno compiuto più di 380 attacchi contro le nostre città e regioni”. Un uomo è morto e cinque persone sono rimaste ferite negli attacchi di Mosca dell’ultima giornata sulla martoriata Kharkiv mentre le forze di Kiev continuano ad attaccare le regioni russe di confine: cinque feriti nell’ultimo raid su Belgorod. Nel frattempo giungono raccapriccianti resoconti delle politiche portate avanti dai russi nei territori del Donbass, dove anche i neonati innocenti sono vittime della guerra: il capo dell’amministrazione militare del Lugansk, Artem Lysogor, ha annunciato che da lunedì prossimo le madri che partoriscono negli ospedali della regione dovranno dimostrare la cittadinanza russa di almeno uno dei genitori del neonato affinché quest’ultimo possa essere dimesso dall’ospedale. Una norma – sottolinea il think tank americano Isw – che rappresenta una palese violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.

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Xi lunedì da Macron a Parigi per blandire l’Ue

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Il presidente cinese Xi Jinping torna in Europa per la prima volta in cinque anni in un tour segnato dalle inedite tappe di Francia, Ungheria e Serbia. La visita avviene quando Pechino preme per evitare che si apra anche un fronte commerciale con l’Ue dopo quello con gli Usa, mentre l’atteggiamento di Bruxelles verso la Cina si sta irrigidendo per i casi di spionaggio, le accuse di campagna di disinformazione, il rafforzamento delle relazioni bilaterali e il sostegno della leadership comunista alla Russia nella guerra all’Ucraina, e il dossier di Taiwan.

La prima tappa sarà a Parigi per i 60 anni di relazioni ufficiali bilaterali. Lunedì incontrerà il presidente Emmanuel Macron e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Assente il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, malgrado le pressioni dell’Eliseo per un vertice congiunto, si recherà in Lituania e Lettonia. Nella recente telefonata con il consigliere diplomatico di Macron, Emmanuel Bonne, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha lanciato un appello chiedendo a Parigi di spingere l’Ue “a perseguire una politica positiva e pragmatica verso la Cina” sulla visione comune di “indipendenza e autonomia” (dagli Usa) e di opposizione “a divisione del mondo e scontro tra campi”, nel resoconto dato da Pechino.

“La leadership cinese è abbastanza chiara su ciò che vuole – ha notato Abigael Vasselier, a capo delle relazioni estere di Merics, think tank tedesco focalizzato sulla Cina, in un briefing online -. Pechino non può permettersi di avere sempre più restrizioni sul mercato europeo, ma allo stesso tempo non ha un’offerta per l’Europa in questo momento”.

E la ragione è dovuta “alla vicinanza delle elezioni presidenziali Usa”, ha notato Francois Godement dell’Istitut Montaigne, in un forum dell’Atlantic Council. Xi, in altri termini, ha come priorità l’attività di lobbying contro le indagini anti-sovvenzioni dell’Ue, a partire da quelle sui veicoli elettrici che hanno preso di mira i produttori Byd, Saic e Geely, accusati di non aver fornito informazioni sufficienti. Pechino ha esportato verso l’Ue e-car per 11,5 miliardi di dollari nel 2023, in base alle stime di Rhodium Group, e il varo di dazi sarebbe un duro colpo.

Per altro verso, Xi punterà a stabilizzare le relazioni bilaterali, in una fase di rapporti Usa-Ue molto stretti dopo la guerra di Vladimir Putin all’Ucraina, per evitare una saldatura transatlantica anche sul fronte commerciale. La frustrazione Ue verso Pechino è massima: una delle richieste di lunga data – di Macron e Scholz (che poche fa settimane era a Pechino) – alla Cina era di fare pressione su Putin per chiudere il conflitto contro Kiev.

“A due anni dall’inizio della guerra, gli europei hanno capito che questo non accadrà”, ha notato Vasselier. Anzi, sta avvenendo il contrario: Russia e Cina rafforzano i legami militari anche su Taipei. “Vediamo, per la prima volta, che si esercitano insieme in relazione a Taiwan”, ha detto Avril Haines, a capo del National Intelligence, durante l’audizione di giovedì al Congresso americano. Dopo la Francia, Xi andrà in Serbia (7-8 maggio), dove avrà colloqui con il presidente Aleksandar Vucic.

I due Paesi hanno una lunga amicizia, soprattutto dal 1999, quando la Nato bombardò l’ambasciata della Repubblica popolare a Belgrado, causando tre vittime cinesi. I leader commemoreranno i fatti di 25 anni fa, con prevedibili stoccate a Nato e Occidente.

Il presidente cinese sarà poi a Budapest (8-10 maggio), dove il premier Viktor Orban è al potere da 14 anni con posture sempre più autoritarie. L’Ungheria si divide tra Ue-Nato e legami diplomatici e commerciali con le autocrazie. Orban era l’unico leader Ue al forum Belt and Road Initiative di ottobre 2023: vide Xi e Putin, rafforzando il ruolo dell’Ungheria di ‘gate europeo’ della Repubblica popolare, confermato dal maxi-impianto di batterie per veicoli elettrici da 8 miliardi di dollari del colosso cinese Catl.

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Hamas avverte: l’intesa solo con la fine della guerra

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Le trattative al Cairo per una tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi restano ancora in bilico e nulla è dato per scontato, dopo che Hamas ha gelato i colloqui al termine di una giornata che aveva visto spiragli positivi su una possibile intesa. L’ottimismo filtrato dalla capitale egiziana – con i mediatori che parlavano di “progressi significativi” – si è attenuato in serata, quando un alto funzionario israeliano ha frenato gli entusiasmi accusando il gruppo palestinese di “vanificare gli sforzi” per l’intesa insistendo sulla precondizione di mettere fine alla guerra.

Un alto funzionario di Hamas ha infatti sottolineato che il gruppo “non accetterà in nessuna circostanza” una tregua a Gaza che non includa esplicitamente la fine completa dell’offensiva sulla Striscia. E ha accusato il premier israeliano Benyamin Netanyahu di “ostacolare personalmente” gli sforzi per raggiungere un accordo di tregua a causa di “interessi personali”. Da parte sua, lo Stato ebraico – hanno avvertito da Gerusalemme – “non accetterà in nessun caso la fine della guerra come parte di un accordo per il rilascio dei propri ostaggi”. Il nodo resta quindi sempre lo stesso, ma la delegazione di Hamas arrivata al Cairo continua a discutere lo schema generale dell’intesa con i mediatori egiziani e del Qatar.

Nelle informazioni contraddittorie sull’andamento dei colloqui, Barak Ravid del sito Axios aveva riferito della possibilità di Hamas di portare a termine la prima fase dell’accordo (il rilascio umanitario di ostaggi) senza un impegno ufficiale da parte di Israele a porre fine alla guerra. Secondo il quotidiano saudita Asharq, in cambio la fazione palestinese avrebbe solide garanzie dagli Stati Uniti sul cessate il fuoco, il completo ritiro dell’Idf dalla Striscia dopo le prime due fasi dell’intesa e la promessa che l’esercito israeliano non continuerà i combattimenti dopo il definitivo rilascio dei circa 130 ostaggi ancora a Gaza. Ma Israele ha continuato per tutto il giorno a invitare alla prudenza.

Una fonte dello Stato ebraico ha sottolineato che si “sta aspettando con ansia di vedere la posizione finale di Hamas, ma che le informazioni non sono ancora arrivate”. Poi ha insistito sostenendo che “alla luce dell’esperienze passate, anche se Hamas dice che sta seguendo lo schema, i piccoli dettagli e le riserve che presenterà potrebbero far naufragare l’accordo”. Per questo finora nessuna delegazione di Israele si è recata in Egitto, dove andrà – è stato spiegato – solo “se ci sarà una risposta da parte di Hamas che abbia un orizzonte per i negoziati”. Anche Benny Gantz, il ministro del Gabinetto di guerra, ha invitato alla pazienza confermando che i palestinesi ancora non hanno dato una risposta definitiva ai mediatori.

Il segretario di Stato Usa Antony Blinken – dopo aver bocciato di nuovo l’intenzione di Israele di entrare a Rafah che comporterebbe “danni inaccettabili” – ha osservato che al momento “Hamas è l’unico ostacolo al cessate il fuoco a Gaza”. Mentre uno dei consiglieri del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, Taher Nunu, ha riaffermato che “qualunque accordo da raggiungere deve includere la completa e totale fine dell’aggressione e il pieno ritiro dell’occupazione da Gaza”. Nella ridda di notizie riguardanti la possibile intesa, il quotidiano saudita Asharq – ripreso dai media israeliani – ha ipotizzato che Israele sia disposto anche a rilasciare Marwan Barghouti, il leader palestinese di Fatah condannato a vari ergastoli per terrorismo. A patto che vada a Gaza e non in Cisgiordania.

Ma di un tema così spinoso in Israele non c’è alcuna conferma ufficiale. Fatto sta che le pressioni internazionali affinché l’accordo si faccia, dopo Israele, si stanno concentrando su Hamas. Il Qatar, ha rivelato Times of Israel, sarebbe pronto ad accettare la richiesta degli Usa di espellere da Doha la leadership di Hamas, tra cui Haniyeh stesso, se i leader della fazione continuassero a rifiutare l’intesa. Una richiesta, ha fatto sapere il Washington Post, consegnata da Blinken il mese scorso.

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