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La Libia ripiomba nel caos, ora ha di nuovo due premier

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Nel gioco del caos, la Libia ha fatto un passo indietro alla casella precedente e ora ha di nuovo due premier: il parlamento insediato a Tobruk ha infatti incaricato all’unanimita’ l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha di formare un nuovo governo che prenda il posto di quello imbullonato a Tripoli sotto la guida di Abdel Hamid Dbeibah e sempre appoggiato dall’Onu. Dbeibah, pur sfiduciato dall’assemblea e oggetto di un attentato-avvertimento nelle ultime ore, ha gia’ annunciato che non intende dimettersi e vuole cedere il potere solo a chi verra’ scelto attraverso elezioni. Il tutto mentre in serata si segnalavano movimenti di milizie, in particolare un dislocamento da Zawia a Tripoli, che lasciano temere una quarta guerra civile libica. Bashagha, patron di milizie ed uno degli esponenti di Misurata, ‘la Sparta di Libia’ nota per la sua bellicosita’ e potenza, era in pole position per un alto incarico in Libia fin dai tempi della conferenza di Berlino del gennaio 2020: del resto, e’ uomo che conosce le milizie libiche occidentali essendo stato miliziano egli stesso. Nella corsa alla guida del governo organizzata dall’Onu, i grandi elettori scelti dalle Nazioni unite nel marzo scorso gli avevano preferito un altro misuratino: Dbeibah, uomo d’affari legato alla Turchia ma ben visto anche a Mosca, aveva preso il posto dell’esausto Fayez al-Sarraj. Dopo aver lanciato vari segnali che questo sarebbe avvenuto, il parlamento guidato – e pilotato – dal cirenaico Aqila Saleh ha votato “all’unanimita’ la fiducia a Fathi Bashagha come capo del governo”, secondo l’annuncio fatto dal portavoce dell’assemblea senza fornire cifre dei votanti: i presenti erano fra i 140 e i 147 e da un video dei lavori in aula si desume che Saleh abbia sbrigativamente fatto varare la nomina “per acclamazione” dopo che l’unico rivale si era ritirato (negando poi pero’ di averlo fatto). Una blindatura della nomina e’ arrivata dal pronto avallo che il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che controlla militarmente l’est del Paese, ha fatto annunciare al portavoce del suo esercito: “La leadership accoglie e sostiene la decisione del Parlamento libico”, ha scandito Mismari in una dichiarazione-video palesando un presumibile accordo dietro le quinte che fino a qualche mese fa sarebbe sembrato inconcepibile: Bashagha fra l’altro e’ stato portavoce del Consiglio militare di Misurata, la citta’ che – assieme ai consiglieri militari e ai droni turchi – ha consentito a Tripoli di respingere i 14 mesi di assalto portati invano dalle milizie di Haftar a cavallo tra il 2019 e il 2020. La comunita’ internazionale pero’, almeno a livello Onu, scommette ancora su Dbeibah: “Si'”, ha risposto il portavoce del Palazzo di Vetro Stephane Dujarric alla domanda se le Nazioni Unite continuino a riconoscere Dbeibah come primo ministro ad interim. Dbeibah comunque non vuole farsi da parte e in un recente discorso alla nazione ha annunciato che “continuera’ a lavorare fino a quando il potere non sara’ trasferito ad un’autorita’ eletta” tramite elezioni che vorrebbe a giugno. Un ‘consiglio’ a ripensarci gli e’ arrivato la notte precedente al voto in parlamento: mentre tornava a casa, la sua auto blindata e’ stata raggiunta da colpi di arma da fuoco esplosi da persone a bordo di una Toyota Camry senza targa, come ha precisato il ministero dell’Interno riferendo che nessuno e’ rimasto ferito. Una circostanza che in Libia non crea molto scalpore, ma che sicuramente e’ un segnale. Il Paese del resto e’ instabile dal 2011, quando la primavera araba e gli aerei della Nato fecero cadere l’altrimenti inamovibile dittatore Muamar Gheddafi. E ora torna ad avere due governi, come e’ stato fra il 2014 e l’anno scorso.

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Xi vuole “lavorare con Parigi per risolvere crisi Ucraina”

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In un articolo su Le Figaro all’inizio della sua visita in Francia, Xi Jinping ha espresso l’intenzione di “lavorare con la Francia e l’intera comunità internazionale” per “risolvere la crisi” in Ucraina.

“Ci auguriamo che la pace e la stabilità ritornino rapidamente in Europa e intendiamo lavorare con la Francia e l’intera comunità internazionale per trovare buone strade per risolvere la crisi” in Ucraina, ha scritto il presidente cinese in un articolo sul quotidiano Le Figaro.

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Le accuse del Financial Times: la Russia prepara sabotaggi violenti in Europa

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Mosca sta preparando attentati contro le infrastrutture europee, mettendo a rischio anche la vita di civili. E’ l’allarme lanciato oggi dal Financial Times proprio nel giorno in cui le truppe russe continuano ad avanzare sul campo di battaglia ucraino. Il giornale della City sottolinea che sono state diverse agenzie di intelligence europee ad aver avvisato i loro rispettivi governi sulle nuove minacce russe, anche sulla base di diverse indagini in corso. Secondo le fonti citate dal quotidiano inglese, “la Russia ha già iniziato a preparare più attivamente in segreto attentati dinamitardi e attacchi incendiari per danneggiare le infrastrutture sul territorio europeo, direttamente e indirettamente, senza preoccuparsi apparentemente di causare vittime civili”.

Sebbene gli attacchi degli agenti del Cremlino in Europa siano stati finora sporadici, per il giornale, “aumentano le prove di uno sforzo più aggressivo e concertato”. Una convinzione che trapela da tantissimi esponenti dell’intelligence europea, da quella tedesca a quella inglese, dai servizi francesi, svedesi a quelli cechi e estoni. In particolare, il Ft menziona il capo dei servizi di sicurezza interna tedesca, Thomas Haldenwang, il quale il mese scorso – in una conferenza – ha affermato che il rischio di atti di sabotaggio è “aumentato in modo significativo”.

La Russia, ha aggiunto, ora sembra a suo agio nell’eseguire operazioni sul suolo europeo “con un alto potenziale di danno”. Haldenwang era intervenuto pochi giorni dopo l’arresto di due cittadini russo-tedeschi a Bayreuth, in Baviera, accusati di aver complottato per attaccare siti militari e logistici in Germania per conto della Russia. Un caso simile era accaduto anche nel Regno Unito: a fine aprile, ricorda l’articolo, due uomini sono stati accusati di aver dato fuoco a un magazzino contenente aiuti per l’Ucraina. Per la procura inglese, hanno agito anche loro su mandato di Mosca.

Stessa storia, in Svezia: i servizi di sicurezza di Stoccolma stanno indagando su una serie di recenti deragliamenti ferroviari e sospettano che siano atti di sabotaggio appoggiati da uno Stato ostile. La Russia, inoltre, ha tentato di distruggere i sistemi di segnalamento delle ferrovie ceche, aveva detto il mese scorso, sempre all’Ft, il ministro dei Trasporti ceco. Secondo il servizio di sicurezza interna estone inoltre, sono stati gli uomini dell’intelligence russa ad aver attaccato a febbraio le auto del ministro degli Interni e quelle di alcuni giornalisti. Anche il ministero della Difesa francese ha messo in guardia quest’anno su possibili azioni di sabotaggio da parte della Russia contro siti militari.

“La conclusione ovvia è che c’è stato un reale incremento dell’attività russa”, ha commentato Keir Giles, consulente senior del think tank Chatham House. Un alto funzionario governativo europeo ha inoltre dichiarato al giornale che attraverso i servizi di sicurezza della Nato sono state condivise informazioni su una “chiara e convincente azione russa”, coordinata e su larga scala. Ora, ha concluso, è giunto il momento di “aumentare la consapevolezza e l’attenzione” sulla minaccia della violenza russa sul suolo europeo. Infine, appena giovedì scorso la Nato ha diffuso una nota in cui si affermava che i Paesi alleati sono “profondamente preoccupati” per le recenti “attività ostili” della Russia, di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca.

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Zelensky finisce nella lista dei ricercati di Mosca

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La foto segnaletica è precedente alla guerra, scattata quando indossava ancora camicia e giacca, senza la barba e la mimetica che dal febbraio 2022 sono diventate simbolo del suo ruolo di guida della resistenza ucraina. In una mossa a sorpresa, Volodymyr Zelensky è finito sulla lista dei ‘most wanted’ del ministero dell’Interno russo, dopo che nei suoi confronti è stato aperto un non meglio specificato procedimento penale. Nel database infatti il presidente ucraino, nemico numero uno dello zar Vladimir Putin, è ricercato ai sensi di “un articolo” del codice penale russo. Quale sia resta un mistero, mentre il ministero degli Esteri ucraino ha liquidato la faccenda come l’ennesima “prova della disperazione della macchina statale e della propaganda russa, che non ha altre scuse degne di nota da inventare per attirare l’attenzione”.

Secondo Kiev, l’unico mandato d’arresto “del tutto reale e soggetto a esecuzione in 123 Paesi del mondo” è quello emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin con l’accusa di crimini di guerra. E sui media ucraini corre l’ipotesi che l’inserimento di Zelensky nella lista dei ricercati nasca proprio dal desiderio di vendetta per quel mandato internazionale, uno schiaffo senza precedenti mai digerito dallo zar. Oltre a Zelensky, il ministero dell’Interno russo ha emesso un ordine di arresto anche per l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko e l’ex ministro ad interim della Difesa e attuale rettore dell’Università nazionale di difesa dell’Ucraina, Mikhail Koval. Anche per loro mancano i reati contestati, così come avvenuto in altri ordini di arresto nei mesi scorsi. Dall’inizio dell’invasione, sono diversi infatti i politici e personaggi pubblici stranieri inseriti nella lista nera di Mosca che conta decine di migliaia di voci.

L’anno scorso, i russi hanno dichiarato ricercati l’allora capo delle forze armate Valery Zaluzhny e l’allora comandante delle forze di terra Oleksandr Syrsky, oggi a capo dei militari di Kiev. E proprio a seguito dell’ordine di arresto emesso contro Putin è finito nell’elenco dei ricercati anche Rosario Aitala, il giudice italiano responsabile di quel mandato. A febbraio, è stato aggiunto il nome della premier estone Kaja Kallas insieme a quelli di altri funzionari dei paesi baltici. Per loro la motivazione è stata resa nota ma suona draconiana: “Falsificazione della storia”. Mentre la Russia mischia la guerra con la giustizia interna, lo scontro prosegue in Ucraina, dove il tempo stringe per Zelensky che chiede “decisioni tempestive e adeguate sulla difesa aerea dell’Ucraina, fornitura tempestiva di armi ai nostri soldati”.

Secondo il leader ucraino, “solo questa settimana i terroristi hanno compiuto più di 380 attacchi contro le nostre città e regioni”. Un uomo è morto e cinque persone sono rimaste ferite negli attacchi di Mosca dell’ultima giornata sulla martoriata Kharkiv mentre le forze di Kiev continuano ad attaccare le regioni russe di confine: cinque feriti nell’ultimo raid su Belgorod. Nel frattempo giungono raccapriccianti resoconti delle politiche portate avanti dai russi nei territori del Donbass, dove anche i neonati innocenti sono vittime della guerra: il capo dell’amministrazione militare del Lugansk, Artem Lysogor, ha annunciato che da lunedì prossimo le madri che partoriscono negli ospedali della regione dovranno dimostrare la cittadinanza russa di almeno uno dei genitori del neonato affinché quest’ultimo possa essere dimesso dall’ospedale. Una norma – sottolinea il think tank americano Isw – che rappresenta una palese violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.

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