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Politica

Tentazione Casellati per Salvini, tensione a sinistra

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Spunta Elisabetta Casellati, nella partita del Quirinale. E attorno al suo nome esplodono sospetti e tensioni, a destra come a sinistra. Il profilo del presidente del Senato e’ una tentazione, per Matteo Salvini: provare a eleggere un presidente della Repubblica di centrodestra, alla quarta votazione, con i voti del Movimento 5 stelle. Ma a destra c’e’ il rischio che la coalizione non tenga e sorge il dubbio che una parte dei centristi e dei ‘governisti’ di Fi e Lega voglia mandare Salvini a sbattere, incassando una sconfitta che ne minerebbe la leadership. A sinistra c’e’ la paura, alimentata “dall’ambiguita’ di Giuseppe Conte”, che una parte del M5s possa convergere su Casellati e, nel segreto dell’urna, possano votare per lei anche alcuni Dem ma a quel punto, avverte il Pd, non solo finirebbe la coalizione di centrosinistra, ma anche l’alleanza il governo. Portando verso il voto anticipato. Nelle nebbie che avvolgono la seconda votazione, l’ipotesi di un’elezione al Colle di Mario Draghi sembra piu’ lontana, ma non ancora tramontata. Il nome di Pier Ferdinando Casini, il piu’ “politico” di tutti, e’ pienamente in campo., soprattutto come alternativa all’ipotetico “rischio” Casellati Torna a circolare l’ipotesi Giuliano Amato, seppur poco gradita tra i leghisti. E risale con forza la quotazione del Mattarella bis, vera speranza dei peones che tifano stabilita’, se la situazione si dovesse del tutto avvitare e anche Salvini si convincesse con gli altri leader a chiedere al presidente di contraddire se stesso. Ognuna di queste ipotesi potrebbe essere in campo dalla quarta o dalla quinta votazione. Tutto dipendera’ dallo sviluppo delle prossime ore. La giornata serve al centrodestra a prendere tempo e rivendicare un “diritto di prelazione”, con i nomi di Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio, al centrosinistra a evitare di spaccarsi subito. E’ il lavoro di Enrico Letta, che in mattinata gioca di sponda con Matteo Renzi, per bloccare il nome di Franco Frattini, possibile punto di saldatura tra Salvini e Conte, bocciato in quanto troppo ‘filorusso’ mentre esplodono le tensioni al confine con l’Ucraina. La tentazione diventa per il centrosinistra contrapporre una terna di centrosinistra a quella degli avversari: Letta lo preannuncia a Tajani. Ma al termine di un tesissimo vertice durato due ore tra il segretario Pd, il leader M5s e Roberto Speranza si riesce a tenere una linea unitaria: vengono bocciati i tre nomi (Moratti tentava alcuni 5 Stelle) e si chiede un vertice con i leader del centrodestra per provare a ragionare su una soluzione unitaria. L’auspicio e’ che Salvini, Tajani e Meloni depongano a loro volta le armi e non si contino nella terza votazione, chiedendo ai loro gruppi di scrivere sulle schede il nome di Nordio. A quel punto nel centrosinistra dovrebbero a loro volta decidere se votare un nome come Andrea Riccardi, affrontando il rischio di contarsi, o continuare con le schede bianche. La tensione e’ alle stelle, in vista del quarto voto. Anche per l’asse gialloverde, ostentato da Conte: dal Pd trapela una fortissima irritazione, il M5s diventa una polveriera, dilaniato dall’ipotesi di convergere sul presidente del Senato. C’e’ chi tira in ballo anche il Pd, ipotizzando una trattativa per eleggere un Dem al posto di Casellati. C’e’ chi cita Matteo Renzi e l’idea che possa trattare per fare lui il presidente. Veleni. I contiani assicurano che e’ tutto sotto controllo, che il M5s restera’ unito e in ogni caso non si andra’ a votare, perche’ un governo si riuscira’ a fare. Ma i dimaiani si mostrano preoccupati. E anche tra i Dem sale il nervosismo perche’ Dario Franceschini e Goffredo Bettini lavorano apertamente per Casini, mentre Andrea Orlando e Lorenzo Guerini tengono una linea mediana. E si torna a Draghi. Il premier, che continua a tenere contatti riservati ad ampio raggio e trascorre la sua giornata al lavoro a Palazzo Chigi, viene descritto amareggiato. Raccontano che con Salvini non ci sarebbe intesa sul futuro premier e i futuri ministeri, che non ci si starebbe trovando d’accordo su questo. “Con Draghi al Quirinale le elezioni anticipate sono sicure, con un altro presidente no”, dicono fonti leghiste. Mentre chi lavora per Draghi scommette che con un presidente che non sia Amato o Mattarella il governo salterebbe entro febbraio. Ma l’ipotesi Casini e’ ancora forte: c’e’ chi dice che su di lui possa anche convergere Silvio Berlusconi, se gli balenasse la prospettiva di diventare in un futuro senatore a vita. Non tutto pero’ dipende da fattori interni, da leader traballanti e un Parlamento fuori controllo: c’e’ anche il fattore esterno, la crisi che ancora morde, l’Ue che avverte sulla tenuta dei conti, lo spettro di una guerra con la Russia. A quel punto, ragiona un draghiano, potrebbe apparire evidente l’insensatezza di bruciare insieme Draghi e Mattarella. E si potrebbe tornare al nome del premier, o andare in ginocchio dall’attuale presidente.

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Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

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Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

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Meloni, 650 milioni per la sicurezza e i salari crescono

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Di fronte alle morti sul lavoro “il cordoglio, ne siamo consapevoli, non basta”. Giorgia Meloni, in maniche di camicia, si affaccia via social dalle sale di Palazzo Chigi per annunciare un nuovo intervento per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Con un video diffuso proprio mentre i suoi ministri, compresa la titolare del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa raccontano il Consiglio dei ministri appena finito, la premier prende la parola con un oramai consueto videomessaggio. E’ la vigilia del primo maggio e il governo, dopo i provvedimenti degli scorsi anni, vuole dare un segnale ma stavolta si limita alle dichiarazioni di intenti. Anche perché, prima di “agire”, ci sarà un confronto con le parti sociali. Serve una “un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia”, dice la presidente del Consiglio, usando quasi le stesse parole che pronuncia la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, unica a commentare accogliendo positivamente l’invito (via web) di Meloni.

La mattina dell’8 maggio ci sarà l’incontro per “raccogliere anche i suggerimenti” delle parti sociali “e rafforzare le misure che abbiamo previsto”. Sul tavolo ci potrebbe essere anche la proposta elaborata dalla commissione ad hoc del ministero della Giustizia, di riconoscere un “benefit penale” alle imprese virtuose. Era stata la stessa premier a preannunciare nuovi interventi ma non sono arrivati testi in Consiglio dei ministri. “Prima serve la concertazione”, dice anche Calderone proprio mentre scorrono i contenuti del video della premier, che annuncia ulteriori “650 milioni” che sono stati trovati “con l’Inail”, che portano la dote per la sicurezza sul lavoro a circa 1,2 miliardi. Risorse che potrebbero non bastare, tanto che si sarebbe alla ricerca di qualche centinaio di milioni in più, ma che intanto serviranno “per potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese in base alla loro condotta in materia di sicurezza con particolare attenzione al mondo agricolo”, spiega Meloni, sottolineando l’importanza della “formazione dei lavoratori”.

Si renderà anche “strutturale” l’assicurazione Inail per studenti e docenti. Di fronte alle morti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, dice ancora la premier citando Sergio Mattarella. Meloni dà ragione al presidente della Repubblica, mettendo in fila quanto fatto fin qui dall’esecutivo, a partire dalla patente a punti che ora vale per l’edilizia ma, assicura Calderone, dovrebbe essere poi estesa “ad altri settori”. Le opposizioni, scettiche, puntano il dito soprattutto sul passaggio che Meloni fa sull’aumento dei salari. Quelli “reali crescono in controtendenza rispetto al passato” e c’è una dinamica che è “migliore non peggiore rispetto al resto d’Europa” dice la premier facendo un confronto tra “2013-2022” e quello che sta accadendo, da “ottobre 2023” quando la “tendenza” è cambiata”.

“Scopre l’acqua calda” perché ci sono stati dei rinnovi contrattuali ma con “i prezzi al consumo” saliti del “19,7%” tra “2021 e 2024” e un “aumento delle retribuzioni contrattuali dell’8,6%” il divario è “spaventoso”, fa i calcoli la responsabile Lavoro dei dem Cecilia Guerra. “La realtà è che le famiglie italiane non reggono l’aumento del costo della vita, come ha sottolineato il presidente Mattarella”, va all’attacco anche il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia mentre la segretaria, Elly Schlein accusa Meloni di raccontare “un paese che non c’è”. Basta “decreti spot” dicono i capigruppo di Camera e Senato del M5s Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, che stigmatizza l’ipotesi di “benefit penale”. Ci sono i dati Istat che mostrano stipendi ancora a “-8% sul 2021”, la incalza anche Giuseppe Conte, ricordando anche “il 9% dei lavoratori full time in povertà” rilevati da Eurostat. “Meloni – ironizza il leader M5s – è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk”.

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Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

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Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

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