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Commissione anticamorra, il presidente Zinzi: accendere un faro sulle emergenze della Campania

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Con 38 voti su 51, lo scorso 8 febbraio il capogruppo della Lega in Consiglio regionale della Campania Gianpiero Zinzi è stato eletto presidente della commissione speciale Anticamorra e beni confiscati. Venerdì scorso sono state istituite cinque sottocommissioni, legate alle principali emergenze del territorio campano. Fra queste spicca quella che si occuperà di “Terra dei Fuochi, ecomafie e Bonifiche”. Si prova così a colmare il vuoto derivante dalla scelta del consiglio regionale di non rinnovare la commissione speciale Terra dei Fuochi, presieduta durante l’ultima legislatura proprio da Zinzi. Il neo presidente chiarisce a Juorno che la questione ambientale deve restare centrale negli obiettivi della Regione Campania, a prescindere dall’esistenza di una commissione dedicata. E promette: “lavoreremo insieme per mantenere alta l’attenzione sulle emergenze del territorio”.

Presidente Zinzi, come nasce la scelta di istituire cinque sottocommissioni?

È una scelta dettata dalla volontà di renderci operativi: la nostra è una commissione speciale, che svolge una funzione di controllo sulle attività della giunta; a mio avviso però, dato il tema di cui si occupa, ha anche una funzione di carattere sociale. Ha il compito non scritto di aprirsi alle nostre comunità, lavorando dentro e fuori dal palazzo. Partiamo dall’ottimo lavoro svolto dall’ultima commissione anticamorra per provare a fare di più e se possibile meglio. All’unanimità in commissione abbiamo ritenuto di partire da cinque focus centrali per il nostro territorio. 

Quali?

Il primo è il tema della Terra dei Fuochi. Io ho presieduto la commissione speciale ecomafie, terra dei fuochi e bonifiche durante l’ultima legislatura, abbiamo fatto un grande lavoro. Siccome il consiglio non l’ha riproposta, in commissione anticamorra abbiamo ritenuto di colmare un vuoto. La seconda sottocommissione tratta l’influenza della criminalità organizzata sulle attività connesse alle dipendenze: droga, ludopatia, azzardopatia. C’è poi un focus sul tema dei beni confiscati, elemento centrale nelle attività di una commissione di controllo. La quarta è legata al mondo dell’informazione e alle sempre più frequenti notizie di minacce e intimidazioni ai giornalisti; abbiamo fatto riferimento inoltre alla necessità di promuovere questo messaggio di legalità attraverso il coinvolgimento delle scuole e, se possibile, il supporto degli enti locali. L’ultima sottocommissione si concentrerà sull’attività predatoria della criminalità organizzata su imprese, attività produttive, artigiani e commercianti in difficoltà durante la pandemia. 

Per quale motivo la commissione speciale Terra dei Fuochi non è stata riproposta?

Terra dei Fuochi resta una priorità per il consiglio a prescindere dalla presenza di una commissione. Non esisteva una commissione ecomafie prima della decima legislatura, e quindi nella scorsa legislatura il consiglio ha voluto porre l’accento, in questa ci abbiamo pensato noi con l’istituzione di una sottocommissione. È un tema centrale, intanto perché noi vogliamo una Regione a vocazione ambientale, e perché sia così le emergenze vanno affrontate. Penso al tema delle ecoballe e all’abbandono incontrollato dei rifiuti, sono problemi che la Giunta Regionale si era prefissata di risolvere, ma ad oggi non è stato così. A prescindere dall’esistenza o meno di una commissione dedicata, la questione Terra dei Fuochi deve restare centrale negli obiettivi della Regione Campania. E noi faremo di tutto per tenere alta l’attenzione e i riflettori accesi. 

Che cosa può fare di concreto la commissione anticamorra?

Le commissioni consiliari non hanno un ruolo esecutivo, che spetta alla giunta, né potere di spesa, questa è una precisazione doverosa. La commissione Terra dei Fuochi della scorsa legislatura non aveva potere di spostare uno spillo, però credo abbia svolto un’importante funzione di stimolo. Stiamo stati attenti, ad esempio, a sbloccare un bando di 7 milioni di euro per la videosorveglianza e la riqualificazione delle aree colpite da sversamento incontrollato dei rifiuti. Noi dobbiamo provare a contemperare il ruolo di legislatori con un impegno concreto in commissione, accendendo i riflettori sulle emergenze del territorio.

Durante l’ultima legislatura lei è stato presidente proprio della commissione Terra dei Fuochi, che cosa ha imparato da quell’esperienza?

L’aspetto più importante che porto con me di questi cinque anni è la capacità di fare squadra in consiglio, lavorando alle priorità e alle emergenze che riguardano la Regione. Nessuno risolve i problemi da solo, una cosa che dovrebbe imparare il presidente della nostra Regione. Al netto di quello che si vuole comunicare, il messaggio dell’uomo solo al comando non funziona. Serve un lavoro di squadra che coinvolga anche i territori. Le emergenze sono di tutti e soprattutto colpiscono i cittadini, per cui ci vuole grande impegno e senso di responsabilità. Noi proseguiremo l’esperienza della commissione Terra dei Fuochi: ogni settimana eravamo in sopralluogo in un’area diversa, dove esisteva un’emergenza ambientale su cui accendere i riflettori. È in questa maniera che continueremo a lavorare.

Uno dei risvolti della crisi socio-economica è il rischio che la camorra acquisisca le imprese che non riescono a riaprire, in che modo monitorerà questo aspetto? Qual è l’antidoto?

Aprendo anzitutto un dialogo con le associazioni di categoria. Bisogna, anche in questo caso, fare squadra e non far sentire soli gli imprenditori che oggi vivono la pandemia con grande difficoltà economica. Questo è il primo elemento da cui partire. Poi la Regione Campania, così come accadde durante la prima ondata, dovrà mettere a terra un piano di sostegno alle imprese. La Regione dovrà intervenire stando accanto alle attività produttive e agli imprenditori. 

L’assegnazione dei beni confiscati è un altro tasto dolente, come si può migliorare e rendere più efficiente l’iter?

L’assegnazione dei beni confiscati è una prerogativa dello Stato, in particolare dell’agenzia che gioca un ruolo centrale. La Regione Campania deve però sensibilizzare i territori e mettere i Comuni nelle condizioni di poter utilizzare i beni con finalità di utilità sociale e in modo funzionale alle esigenze delle singole comunità. Noi andremo sicuramente in questa direzione. C’è tanto lavoro da fare, ma siamo partiti col piede giusto, con grande impegno e consapevolezza della funzione che andiamo a svolgere.  

Fra le prime questioni affrontate dalla sua commissione vi è quella legata a murales e altarini della camorra, come si interverrà?

Siamo stati l’unica istituzione, al di fuori della prefettura, a prendere una posizione netta. La commissione anticamorra e beni confiscati del consiglio regionale della Campania ha chiesto alle autorità preposte di svolgere un’attività di rimozione dei murales e degli altarini, per dare un segnale importante. Spesso ciò che facciamo è molto più rilevante per il significato e per il messaggio che veicoliamo, piuttosto che per il gesto in sé. Io ritengo che in questo caso il messaggio fosse necessario per imprimere una svolta. E su questo noi siamo stati tempestivi nel prendere una posizione doverosa. 

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Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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Zelensky: da Meloni una posizione chiara, la apprezzo

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“Oggi a Roma ho incontrato la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Abbiamo discusso dell’importanza delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina e degli sforzi per ripristinare la pace e proteggere le vite umane”. Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. “46 giorni fa l’Ucraina – scrive – ha accettato un cessate il fuoco completo e incondizionato e per 46 giorni la Russia ha continuato a uccidere il nostro popolo. Pertanto, è stata prestata particolare attenzione all’importanza di esercitare pressioni sulla Russia”. Ed ha aggiunto: “Apprezzo la posizione chiara e di principio di Giorgia Meloni”.

Il leader ucraino ha aggiunto di aver “informato” la premier italiana “degli incontri costruttivi tenuti dalla delegazione ucraina con i rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania a Parigi e Londra. C’è una posizione comune: un cessate il fuoco incondizionato deve essere il primo passo verso il raggiungimento di una pace sostenibile in Ucraina”.

(la foto in evidenzaè di Imagoeconomica)

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