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Economia

Governo scommette su ripresa, 39 miliardi anti-crisi

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Una scommessa per la ripresa: il governo vara in una maratona notturna la legge di Bilancio per i prossimi tre anni e impegna buona parte delle munizioni, in tutto 39 miliardi, per tamponare la crisi e proteggere famiglie e imprese in attesa che passi la seconda ondata dell’epidemia. Il Paese “e’ ancora sospeso” ammette il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ma la manovra “e’ ambiziosa” e punta cogliere le “prospettive concrete di una ripresa economica e sociale forte”, assicura con ottimismo. E mette da parte una prima dote di due miliardi e mezzo per la futura riforma dell’Irpef, mentre scattera’ gia’ meta’ 2021 l’assegno unico per i figli. Ci sono le nuove protezione per lavoratori e tessuto produttivo, dalle nuove settimane di Cig a carico dello Stato (per 5 miliardi) al nuovo fondo Covid da 4 miliardi, e la conferma di misure gia’ introdotte quest’anno, dal taglio del cuneo in busta paga (2 miliardi) agli sgravi per i dipendenti del Mezzogiorno (quasi 6 miliardi). Da sole queste 4 misure assorbono quasi la meta’ delle risorse a disposizione, 24 miliardi in deficit e 15 grazie alle risorse europee del Recovery Fund. Scuola e sanita’ sono le altre due voci ‘pesanti’, rispettivamente con 6,1 e 4 miliardi: “mai piu’ tagli” garantisce Gualteri, spiegando che le risorse europee – che sul fronte degli investimenti saranno affiancate da una dote di 50 miliardi fino al 2035 – andranno ad arricchire la dote per medici, infermieri, terapie intensive, medicina del territorio e vaccini, mentre le opposizioni con ironia si chiedono perche’ esultare, come fa il ministro Roberto Speranza, per un risultato da 4 miliardi quando ci sarebbero a disposizione i 37 miliardi del Mes, che il governo continua a non chiedere. Anche il rinvio via decreto legge delle cartelle al 2021, che pure M5S e Iv vantano come grande vittoria, non e’ che “il minimo sindacale” come dice Maria Stella Gelmini, mentre la Lega gia’ chiede di cancellarle tout court. Qualche spazio per le richieste delle opposizioni si potra’ trovare in Parlamento, dove la manovra, pero’, potrebbe non arrivare prima dell’inizio di novembre. Il disegno di legge, infatti, e’ stato approvato con la classica formula “salvo intese”, dopo avere raggiunto un’intesa politica che ha portato anche al rinvio a luglio di plastic e sugar tax. Ora pero’ bisognera’ scrivere le norme che in parte potrebbero essere anticipate anche in un altro decreto, quello per la proroga della Cig Covid intanto da meta’ novembre fino alla fine dell’anno per chi l’ha gia’ esaurita, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Prima del varo il governo vedra’ di nuovo, mercoledi’, i sindacati che gia’ lamentano le troppe poche risorse per il rinnovo dei contratti pubblici – 400 milioni che portano a una “dote robusta” di 3,8 miliardi, secondo il ministro della P.a. Fabiana Dadone . Per Cgil, Cisl e Uil rimane pero’ indispensabile prorogare gli ammortizzatori fino alla fine dell’emergenza e, soprattutto, mantenere il blocco generalizzato dei licenziamenti. Nello schema del governo, invece, il divieto di licenziamento rimarra’ solo legato alla Cig Covid, cosi’ come avviene con gli ammortizzatori ordinari. L’esecutivo crede infatti nella ripresa del mercato del lavoro e, per aiutare le assunzioni stabili, propone “zero contributi” per tre anni per chi assume under 35, come rivendica il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, che porta in manovra un pacchetto di misure che include anche l’estensione dei contratti di espansione e la proroga di Ape social e opzione donna. Anche il ministro della Cultura Dario Franceschini ottiene, come richiesto, la proroga della spendibilita’ del bonus vacanze fino a giugno del prossimo anno e incassa anche l’ok a spendere le risorse avanzate per sostenere il turismo, mentre il titolare degli Esteri Luigi Di Maio porta a casa il rifinanziamento per 1,5 miliardi del piano per l’export. Per le imprese arrivano anche il rafforzamento del piano Transizione 4.0, nuovi fondi per le garanzie di Sace e del Fondo per le Pmi, il rifinanziamento della nuova Sabatini.

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Economia

Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Economia

Bhp offre 36 miliardi per il rame di Anglo American

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Scossone nel mondo delle materie prime. Bhp, il primo gruppo mondiale, un gigante da 120 miliardi di sterline di capitalizzazione di Borsa, sta cercando di mettere le mani su un altro colosso del settore, Anglo American, ingolosito dalle sue miniere di rame, metallo reso sempre più ricercato e costoso dal ruolo centrale che riveste nei processi di transizione energetica e di elettrificazione. La multinazionale con sede a Melbourne, in Australia, ha inviato ad Anglo American una proposta di fusione attraverso uno scambio azionario che valuta la concorrente 31,1 miliardi di sterline (36 miliardi di euro), incluse le partecipazioni nelle controllate quotate Anglo American Platinum e Kumba (ferro), di cui è prevista la distribuzione agli azionisti di Anglo American prima della fusione.

L’offerta, che valuta le azioni 25,08 sterline l’una, ha fatto impennare il titolo alla Borsa di Londra, salito del 16,1% a 25,6 sterline, sopra il prezzo offerto da Bhp. Segno che la proposta degli australiani potrebbe non bastare: secondo gli analisti di Jefferies serviranno almeno 28 sterline ad azione per avviare “serie discussioni” e “ben più di 30” nel caso in cui si facessero sotto altri pretendenti. Il cda di Anglo American ha fatto sapere che sta analizzando l’offerta, che Bhp dovrà confermare o ritirare entro il 22 maggio. Ma non è questo l’unico ostacolo che Bhp si troverà ad affrontare. Anzitutto l’operazione passerà al setaccio delle autorità antitrust di diversi Paesi – dall’Australia, al Sudafrica, al Cile – alla luce del rafforzamento della posizione di Bhp in alcuni mercati, a partire da quello del rame, di cui diventerebbe da terzo a primo produttore mondiale, con una quota di mercato di circa il 10% e una produzione annua superiore ai due milioni di tonnellate.

In secondo luogo occorrerà convincere il governo sudafricano, dove si trovano un quinto degli asset di Anglo American e che controlla il primo azionista del gruppo, il fondo pensione Pic. Il ministro delle Risorse minerarie, Gwede Mantashe, ha già chiarito all’Ft di non vedere di buon occhio l’operazione avendo avuto un’esperienza “non positiva” con Bhp in occasione dell’acquisizione di Billiton nel 2001, tradottasi in un impoverimento per l’industria mineraria del Paese. Pic ha dichiarato che valuterà l’offerta ma ha precisato che le nuove opportunità dovranno tener conto del ruolo “fondamentale” che il settore minerario riveste per l’economia sudafricana e i suoi stakeholder e della “sostenibilità a lungo termine”. Oltre ad “aumentare l’esposizione alle materie prime del futuro” integrando “gli asset di livello mondiale nel rame di Anglo American”, Bhp ha detto di essere interessata alle attività nei metalli ferrosi e nel carbone metallurgico australiano mentre gli altri asset, inclusa la quota nel produttore di diamanti De Beers, saranno sottoposti a “revisione strategica” e dunque potrebbero essere messi sul mercato a valle dell’acquisizione.

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