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Politica

“Accelerare sul Recovery”, parte il confronto Italia-Ue

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Il cammino del piano di rilancio italiano e’ ufficialmente cominciato e guarda gia’ alla meta piu’ importante, cioe’ l’erogazione dei primi aiuti europei del Recovery fund in primavera. Ma anche se l’Italia si e’ preparata in anticipo con la bozza, e lavora gia’ al piano definitivo atteso a Bruxelles entro aprile, non e’ detto che gli sforzi per fare in fretta accelereranno l’arrivo dei fondi: l’iter di approvazione definitiva dell’accordo sul Next Generation EU, che comprende anche il Recovery fund, e’ ancora in alto mare, esposto alle liti tra istituzioni (Parlamento contro Consiglio) sui tagli alle poste del bilancio, e tra gli Stati membri (frugali contro Polonia e Ungheria) sullo stop ai fondi per chi viola lo stato di diritto. La cancelliera Angela Merkel, presidente di turno dell’Ue, continua a spingere per un accordo entro fine anno che salverebbe la tabella di marcia, ma tutto dipendera’ dai negoziati delle prossime due settimane. L’Italia intanto si porta avanti con il lavoro e consegna alla task force la prima bozza del piano di Recovery stesa seguendo le linee guida del Governo e le risoluzioni votate da Camera e Senato. Il premier Giuseppe Conte l’ha portata a Bruxelles assieme al ministro per gli Affari europei Enzo Amendola, dando il via a quel “dialogo informale” con la Ue che proseguira’ fino ad aprile, cioe’ fino all’approvazione dei piani da parte della Commissione europea. Amendola ha incontrato Ce’line Gauer, capo della Task force della Commissione per la Ripresa e la Resilienza e vice segretario generale della Commissione Ue, gettando le basi del confronto che nei prossimi mesi sara’ costante. “Ci aspettano mesi intensi di lavoro da qui alla presentazione del Piano di Rilancio nel 2021, ma il Governo arriva a Bruxelles forte del mandato del Parlamento”, ha detto il ministro. Conte avrebbe dovuto parlarne con la presidente Ursula von der Leyen a Roma martedi’, ma la visita e’ saltata per un nuovo isolamento a cui e’ costretta la presidente per un contagiato nel suo staff. L’obiettivo del governo e’ preparare un piano che risponda a tutte le caratteristiche richieste dalla Ue. Il commissario Paolo Gentiloni ricorda che il “valore aggiunto” del Next Generation EU e’ che “guarda in avanti”, cioe’ ha l’ambizione di “trasformare le economie, le societa’. Non dobbiamo tornare alla normalita’, ma dovremmo cercare di avere dei target che rendano le nostre societa’ piu’ sostenibili, competitive e inclusive”. L’Italia vuole essere all’altezza della sfida e nella bozza ha fissato i suoi target quantitativi, tra cui raddoppiare il tasso di crescita, aumentare gli investimenti al 3% del Pil, portare la spesa per ricerca e sviluppo dall’1,3% al 2,1%. Tocca all’Italia infatti, cosi’ come gli altri Paesi Ue, fissare nel Recovery plan i suoi obiettivi quantitativi e qualitativi. Saranno la partitura che scandira’ tempi ed erogazione dei fondi, perche’ ad ogni target raggiunto, il governo potra’ chiedere una nuova tranche di fondi. Ma intanto, gia’ all’approvazione definitiva del piano ad aprile, arrivera’ il 10% dei 209 miliardi che spettano a Roma. Per questo Amendola sottolinea che “e’ ora assolutamente necessario accelerare sul negoziato col Parlamento europeo in modo che possano partire al piu’ presto le ratifiche nazionali, perche’ non vi siano ritardi nella sua attuazione”. Ma nonostante gli appelli della Merkel a fare presto, il negoziato e’ in stallo. Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli parla con i leader Ue di negoziati “arenati”. “Sbloccarli e’ nelle vostre mani”, avverte, chiedendo di aggiornare il mandato negoziale della presidenza tedesca affinche’ possa aumentare le poste dei singoli programmi del bilancio Ue. Ipotesi che non piace a nessuno Stato membro. Un compromesso si potrebbe trovare spostando i tetti gia’ esistenti, ma servono ancora un paio di settimane di negoziati. Piu’ arduo e’ invece l’ostacolo sulla condizionalita’ legata allo stato di diritto: la Polonia minaccia di bloccare tutto se non verra’ annacquata l’attuale proposta, ma i Paesi del Nord non hanno alcuna intenzione di mediare.

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Stop braccio di ferro, Emiliano il 10/5 in Antimafia

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Il braccio di ferro tra Emiliano e l’Antimafia si è concluso: il presidente della Puglia sarà ascoltato in commissione parlamentare il prossimo 10 maggio, dunque nel primo giorno in cui il governatore si era reso disponibile. “È una data che avevo indicato, nella quale sono disponibile rispetto agli impegni istituzionali. Mi auguro che l’audizione possa contribuire a rasserenare gli animi. Ho sempre dato la mia disponibilità”, spiega il presidente pugliese. Ora, anche se la polemica sulla sua convocazione sembra essere chiusa, si annuncia un dibattito che riguarderà proprio il contenuto dell’audizione di Emiliano, mentre per l’8 maggio è invece convocato il procuratore generale di Bari, Roberto Rossi. Sulla convocazione dell’ex magistrato e numero uno della Regione c’è molta attesa, soprattutto da parte dei membri del centrodestra (e non solo).

I temi dei quesiti da porgli sono stati già in parte anticipati da alcuni parlamentari durante le scintille dei giorni scorsi con la commissione: solo alcuni giorni fa erano circolate indiscrezioni, mai confermate, su una possibile connessione tra la richiesta di dimissioni dell’ex commissario straordinario dell’agenzia regionale della Puglia, Alfonso Pisicchio, ora ai domiciliari, e l’inchiesta ancora segreta che lo riguardava. Nelle settimane precedenti avevano invece sollevato perplessità le dichiarazioni del governatore, il quale aveva detto di avere accompagnato anni fa l’attuale sindaco di Bari Antonio Decaro – allora assessore dell’ex giunta comunale di Emiliano – a casa della sorella di un boss di Bari per respingere una minaccia ricevuta. L’episodio era stato poi smentito dallo stesso Decaro. Dura era stata però la reazione della presidente della commissione Chiara Colosimo: “Le parole di Emiliano, vere, false o fraintese sono profondamente sbagliate.

Tutte le volte che uno subisce una minaccia, chiunque questi sia, deve denunciare”. Un confronto serrato, seppure a distanza, che si è rinnovato in questi giorni, quando ad accendere i contrasti è stata la scelta della data dell’audizione del presidente pugliese in Antimafia, preavvisato dalla commissione. La richiesta di convocazione riguarda appunto vicende e recenti inchieste sui rischi di infiltrazioni mafiose nel territorio pugliese e in particolare a Bari, gli stessi finiti anche al centro del dibattito politico in queste settimane anche dopo una serie di indagini e arresti. In una lettera già indirizzata agli uffici della stessa commissione parlamentare lo scorso 24 aprile, Emiliano ne aveva chiesto lo slittamento, affinché quella data non coincidesse con i giorni legati alle votazioni della mozione di sfiducia nei suoi confronti in consiglio regionale, tra il 7 e il 9 maggio. Una richiesta che aveva scatenato le ire di alcuni parlamentari: “Emiliano non può esimersi dal venire in audizione”, avevano sottolineato alcuni membri della commissione, che aveva poi deciso di anticipare la data al 2 maggio

. Pronta la replica di Emiliano in una lettera indirizzata a Colosimo in cui comunicava la sua “indisponibilità” per quella data, dicendosi pronto ad essere ascoltato “in ogni momento dal 10 al 30 maggio”, dunque dopo la conclusione del dibattito sulla fiducia. E sottolineando che il 2 maggio avrebbe dovuto partecipare alla Conferenza delle Regioni. In seguito, martedì scorso e sempre in una lettera, la presidente Colosimo aveva sottolineato: “Entrambi conosciamo le liturgie politiche e sappiamo che alla Conferenza dei presidenti delle Regioni si può mandare un delegato in propria vece. Lei non è, in realtà, disponibile ad essere audito”. In tutta risposta Emiliano aveva rivendicato il suo “diritto alla partecipazione alla Conferenza delle Regioni che non è una ‘liturgia politica’ ma a un dovere istituzionale”.

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Mattarella, salvaguardare la libertà d’espressione

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La libertà d’espressione va garantita sempre. Anche a chi “non condivide i nostri gusti, a chi la pensa diversamente” da noi. E’ l’appello che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lancia dai saloni del Quirinale durante la presentazione dei candidati al David di Donatello. “Grande attenzione va rivolta in particolare all’espressione dei giovani artisti, che devono poter provare, sperimentare, dunque formarsi e crescere. L’ingresso di nuove generazioni produce nuova ricchezza. Esprime libertà, quella libertà da assicurare anche a chi non condivide i nostri gusti, a chi la pensa diversamente”. Un intervento che cade per una pura coincidenza nella ‘Giornata mondiale della Libertà di stampa’.

Una data importante nella quale fa sentire la sua voce anche Papa Francesco che, in un post sui social, spiega come la “libertà di stampa” sia “fondamentale per sviluppare un assennato senso critico e per imparare a distinguere la verità dalla menzogna e a lavorare in maniera non ideologica per la giustizia, la pace e il rispetto del creato”. Anche il mondo della politica, colpito dalla notizia che l’Italia, secondo il ‘World Press Freedom Index’ di Reporters sans frontieres, abbia perso 5 punti rispetto all’anno scorso nella classifica dei Paesi che tutelano la libertà di stampa, parla di “valore da difendere”.

Ma poi si divide sulle responsabilità dell’attuale governo. “Con la destra al governo si riduce la libertà di stampa”, osserva la vicepresidente della Camera Dem, Anna Ascani, che sottolinea come l’Italia si “stia avvicinando a Paesi come l’Ungheria di Orban dove la democrazia è sotto attacco e i media sempre più nel controllo dell’Esecutivo”. Puntando il dito soprattutto sull’acquisizione “dell’Agenzia Agi da parte di un parlamentare della destra” definito, tra l’altro, un “grave colpo alla reputazione del nostro Paese”. La perdita di 5 punti nella classifica della libertà di stampa “non è un bel modo di festeggiare questa Giornata”, dichiara il leader M5S, Giuseppe Conte che, dopo aver parlato di “diritto all’informazione libera sempre più compromesso”, di “leggi bavaglio” e di “tentativo di forzare le regole della par condicio” da parte del centrodestra, propone, tra l’altro, “una riforma condivisa della Rai”.

Il Parlamento lavora al rafforzamento della “libertà di stampa” è, invece, il commento del deputato di FI Paolo Emilio Russo che ricorda come sia all’esame della Camera la proposta di legge per istituire il 3 maggio la “Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione”. Rende, invece, “omaggio ai giornalisti di tutto mondo che, con coraggio e dedizione, difendono la libertà di espressione e la libera informazione” che sono “diritti fondamentali di ogni cittadino”, il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga (Lega). E mentre il presidente della FNSI, Vittorio Di Trapani, parla di “deriva ungherese dell’Italia”, di “una libertà di stampa che arretra” in un Paese come il nostro dove “la democrazia è meno solida”, il sottosegretario all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini, dichiara che “l’informazione è un bene fragile, da tutelare” ed è una cosa da fare “giorno per giorno”.

Chiama alla “mobilitazione” la senatrice Dem, Enza Rando, contro “la mano della politica” nelle redazioni “della Rai” e contro “l’ acquisizione del gruppo Agi da parte del leghista Angelucci”. “In un decennio in cui si assiste ad un indebolimento delle democrazie”, commenta la Dem Beatrice Lorenzin, le istituzioni devono vigilare sulla libertà di stampa e su quello che sta avvenendo in Italia. Va difeso ad ogni costo l’articolo 21 della Costituzione, è il monito della viceprsidente del Senato Maria Domenica Castellone (M5S). “Oggi, più che mai, dobbiamo proteggere giornalisti e media da intimidazioni e violenze”, afferma la deputata di Azione, Valentina Grippo, che è anche relatrice generale per la libertà di stampa del Consiglio d’Europa e che invita a “pensare ai 137 giornalisti detenuti in Europa e ai 32 cronisti uccisi, i cui omicidi sono rimasti impuniti”. Per non parlare di quelli che sono morti raccontando le guerre come quella di Gaza.

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La nuova giustizia, due Csm e l’ipotesi di un’Alta Corte

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Carriere separate per i magistrati, due Csm e l’ipotesi di un’Alta Corte, ovvero un organismo che giudicherà ‘requirenti’ e ‘giudicanti’. La nuova riforma costituzionale della Giustizia prende corpo ed ha già alcuni punti fermi. La prima sintesi sul provvedimento costituzionale, che sarà presentato prima delle elezioni europee di inizio giugno, è emersa da un vertice allargato a Palazzo Chigi a cui hanno partecipato la premier Meloni, il Guardasigilli Nordio e il suo vice Sisto, il sottosegretario Mantovano, i sottosegretari di Via Arenula, i presidenti delle Commissioni di Camera e Senato e i responsabili Giustizia dei partiti di maggioranza.

Dal tavolo emerge la chiusura definitiva dell’accordo sulla separazione delle carriere dei magistrati (distinti tra giudicanti e requirenti e dunque con distinti concorsi di accesso) e l’istituzione di due Csm, ma sarebbe ancora in corso un dibattito sul metodo di elezione dei togati, per stabilire se sarà a sorteggio ‘secco’ o ‘mediato’. In quest’ultimo caso, per la componente togata, i magistrati candidabili al Consiglio superiore della magistratura che saranno sorteggiati sarebbero poi sottoposti a successiva selezione. Si esclude invece l’ipotesi della nomina di metà dei componenti del Csm da parte del governo. Sempre secondo le valutazioni in campo, vi è l’aumento del numero dei membri laici dei Consigli, almeno un quarto nominati dal Parlamento.

E resta ancora aperto il dibattito sulla presidenza dei due Csm: anche se è prevalente l’ipotesi che resti il presidente della Repubblica a presiederli, non si può ancora escludere l’eventualità che la scelta ricada sul primo presidente della Corte di Cassazione e sul procuratore generale presso la Corte, entrambi rispettivamente per i due distinti Consigli. In queste ore sta emergendo però con più insistenza l’ipotesi dell’istituzione di un’Alta Corte che possa giudicare tutti i magistrati. Questa proposta verrebbe ripresa dalla cosiddetta ‘bozza Boato’, che mise a punto l’allora deputato Marco Boato durante la Bicamerale per le riforme di Massimo D’Alema. Secondo la bozza, “la Corte di giustizia della magistratura” si sarebbe dovuta occupare dei “provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del Pubblico ministero”.

“La Corte – si leggeva ancora nella bozza – è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa”. La “Corte è formata da nove membri, eletti tra i propri componenti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa”. Non si esclude che nei prossimi giorni un’ulteriore riflessione potrebbe essere dedicata all’esercizio dell’azione penale e alla sua discrezionalità. Il proposito potrebbe essere quello di riformare l’articolo 112 della Costituzione, in cui è attualmente prevista l’ obbligatorietà dell’azione penale, introducendone invece la discrezionalità, la quale in questo senso attuerebbe pienamente il sistema accusatorio.

E le priorità di questo esercizio potrebbero ad esempio essere stabilite per legge. Sulla futura riforma della Giustizia è ancora intervenuta l’Associazione nazionale dei magistrati per chiedere “un confronto con Nordio per un contributo tecnico al provvedimento, almeno prima che diventi legge”. Un incontro dove l’Anm intende esprimere anche i suoi timori per “il totale stravolgimento dell’assetto costituzionale” perché “viste nell’insieme le riforme preoccupano”. Una bocciatura sui provvedimenti annunciati arriva intanto anche dall’Associazione europea dei giudici, la quale ritiene che le ipotesi di riforma del governo italiano costituiscano “un grave attacco all’indipendenza della magistratura”, poiché andranno a minare “l’attuale equilibrio di poteri esistente in Italia”, in contrasto “con gli standard europei”.

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