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Zona rossa di Alzano e Nembro, Conte ascoltato 3 ore a Palazzo Chigi dai magistrati: ho chiarito tutto

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Non dichiarare i comuni di Alzano Lombardo e Nembro ‘zona rossa’ e decidere di chiudere l’intera Lombardia due giorni dopo fu una scelta politica che arrivo’ dopo un confronto all’interno del governo e tra l’esecutivo e gli esperti. Una scelta, inoltre, condivisa con la Regione Lombardia che, come previsto dalla legge, avrebbe potuto agire anche autonomamente. Questo il racconto di Giuseppe Conte ai pm di Bergamo che lo hanno sentito a palazzo Chigi come persona informata sui fatti: tre ore durante le quali il premier ha ribadito di aver agito “in scienza e coscienza” in quei giorni in cui in tutta la Lombardia e in Val Seriana i contagi schizzarono in maniera esponenziale. “Ho chiarito tutti i passaggi nei minimi dettagli”, ha detto al termine dell’audizione in una sala al primo piano di palazzo Chigi con il procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e i sostituti Paolo Mandurino, Silvia Marchina e Fabrizio Gaverini. Un incontro scandito da un clima che fonti di governo definiscono “ottimo”, anche se nella maggioranza resta il timore che il premier, e i ministri coinvolti, possano finire nel registro degli indagati. La stessa Rota, dopo aver sentito anche i ministri della Salute e dell’Interno Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, ha tuttavia definito l’incontro positivo.

“Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e di massima collaborazione istituzionale – ha detto uscendo dalla sede del governo – ora noi ce ne andiamo, grati delle dichiarazioni che abbiamo avuto, a completare il nostro lavoro”. Non solo: il magistrato ha offerto un altro assist al governo quando ha risposto di non aver mai detto che la decisione di istituire la zona rossa spettava a Roma. “Io ho detto che dalle dichiarazioni che avevamo in atti emergeva quello in quel momento”. E le dichiarazioni erano quelle del presidente lombardo Attilio Fontana e dell’assessore al Welfare Giulio Gallera. Quadro che proprio alla luce delle audizioni di oggi non e’ piu’ cosi’. Un chiarimento che pero’ non e’ purtroppo servito ad evitare l’ennesima polemica politica, scatenata dal parlamentare grillino Elio Lannutti che ha accusato la stessa Rota di “aver gia’ emesso una sentenza assolutoria in tv per Fontana” e chiesto l’intervento del Csm, “qualora ci fosse”. Parole contro le quali si e’ schierato tutto il centro destra. La versione di Conte e’ stata confermata da Speranza, anche lui come il premier convinto delle scelte fatte.

“Penso che chiunque abbia avuto responsabilita’ dentro questa emergenza, dal capo dell’Oms al sindaco del piu’ piccolo Paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. E’ la bellezza della democrazia. E’ giusto che sia cosi’. Da parte mia ci sara’ sempre massima disponibilita’ nei confronti di chi sta indagando” ha detto al termine dell’audizione nella quale ha ricordato l’articolo 32 della legge 883, quello che consentiva alla Lombardia di procedere alla chiusura in maniera autonoma. L’invio di centinaia di appartenenti alle forze di polizia nella zona della bergamasca tra il 4 e il 6 di marzo e’ stato invece chiarito ai pm dalla Lamorgese. Per attuare le decisioni del governo, e’ stata la spiegazione, il ministero deve farsi sempre trovare pronto e muoversi in anticipo rispetto ai tempi. Cosi’ e’ avvenuto in passato e cosi’ e’ avvenuto anche stavolta. La prima riunione del Comitato tecnico scientifico in cui si affronto’ la situazione di Alzano e Nembro fu il 3 marzo, al termine della quale gli esperti valutarono la necessita’ di chiudere l’area. Il giorno dopo il presidente del Consiglio chiese un ulteriore approfondimento ai tecnici, per capire se fosse necessario decretare la zona rossa o, vista la situazione nell’intera Lombardia, si dovesse procedere con un provvedimento piu’ ampio. E proprio quel 4 marzo in provincia di Bergamo si dava gia’ per scontata la chiusura e non era una decisione che piaceva a molti: “e’ vero che bisogna contenere i contagi – furono le parole del sindaco di Alzano Camillo Bertocchi – ma una zona rossa sarebbe un danno incalcolabile per l’economia”.

Palazzo Chigi.

Alle richieste del premier rispose il 5 marzo il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro ribadendo che, pur essendo la situazione grave in diversi comuni della Regione, sarebbe stato opportuno chiudere i due comuni della Val Seriana. Si arriva cosi’ al 6, quando Conte e Speranza vanno alla Protezione civile e si collegano con Fontana e Gallera. E’ la riunione in cui si decide di chiudere tutta la Lombardia e altre 14 province – Brusaferro, a specifica domanda dei cronisti, rispose “stiamo valutando, siamo in fase di analisi” – anche se poi il Dpcm sara’ firmato la notte dell’8 marzo.

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Ancora un Commissario: per il granchio blu e per la peste suina

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Parola mantenuta sul decreto di sostegno all’agricoltura preannunciato, a metà marzo a Roma, dal ministro Francesco Lollobrigida alla Conferenza organizzativa della Cia-Agricoltori Italiani, e frutto della collaborazione di più ministeri, – a partire da Difesa, Ambiente, Salute, Turismo – , nonché di ulteriori confronti con tutte le organizzazioni di rappresentanza del settore primario. Oggi ha preso forma in dodici articoli e verrà presentato la prossima settimana in Consiglio dei ministri. Al traguardo di un working in progress reso noto in più occasioni dallo stesso ministro Lollobrigida, ma senza fornire i dettagli sulle misure di aiuto “per rispetto – ha detto – del Cdm dove verrà discusso”. L’obiettivo dichiarato, durante la 75/ma assemblea di Fruitimprese, è quello di affrontare non solo le situazioni critiche ma anche per mettere in campo una strategia volta a migliorare i controlli del settore e altre questioni che riguardano “un mondo che deve essere protetto, salvaguardato e promosso”, ha sottolineato Lollobrigida.

Stando all’ultima bozza del provvedimento, il dl Agricoltura di prossimo varo prevede aiuti alle imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina ma anche dal proliferare del granchio blu per cui arriva un commissario straordinario nazionale in carica fino al 2026, o per i produttori colpiti dalla “moria dei kiwi”, oltre a nuovi interventi per arginare la peste suina e il rafforzamento del contrasto alle pratiche sleali. E per limitare l’uso del suolo agricolo si dispone che “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’istallazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”. La società “Sistema informatico nazionale per lo sviluppo dell’Agricoltura – Sin Spa” viene incorporata nell’Agenzia per le erogazione in Agricoltura, Agea.

Inoltre per far fronte alla complessa situazione epidemiologica derivante dalla diffusione delle Peste suina africana (Psa) i piani di contrasto al proliferare dei cinghiali lungo l’intera Penisola verranno attuati anche mediante il personale delle Forze armate, previa frequenza di specifici corsi di formazione e mediante l’utilizzo di idoneo equipaggiamento. Sarà coinvolto un contingente di massimo 177 unità, e per un periodo non superiore a 12 mesi, con spese a carico, viene precisato nel testo, del Commissario straordinario preposto al contrasto Psa.

Il decreto guarda anche al settore pesca e dell’acquacoltura per contenere gli effetti della crisi economica conseguente alla diffusione del granchio blu. Le imprese della comparto che nel 2023 hanno subito una riduzione del volume d’affari, pari almeno al 20 per cento rispetto all’anno precedente, previa autocertificazione potranno avvalersi della sospensione per 12 mesi delle rate dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale, cambiali agrarie comprese. “In questo provvedimento – ha sottolineato Lollobrigida uscendo da Palazzo Chigi – ci saranno alcune delle cose che avevamo garantito. Sul granchio blu abbiamo fatto molto, e bisogna fare ancora di più: bisogna avere una strategia di carattere italiano ed europeo non solo per arginare i danni che vengono provocati ma anche per trovare una soluzione definitiva”.

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Pichetto: norme per il nucleare entro la legislatura

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Entro questa legislatura, il governo Meloni vuole varare tutta la normativa necessaria per reintrodurre il nucleare in Italia. Questo perché i primi reattori a fissione di 4/a generazione, quelli su cui punta l’esecutivo, dovrebbero andare in produzione alla fine del decennio. E per quella data, il governo vuole avere pronto il quadro giuridico per installarli e farli funzionare. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha annunciato i suoi obiettivi in una intervista a Radio 24. Alla domanda del giornalista se entro la legislatura potrà essere cambiato il quadro legislativo sul nucleare, Pichetto ha risposto “sì. Io ce la metto tutta. Questo è il mandato del governo e del Parlamento”.

Il ministro ha spiegato più volte che non vuole tornare alle grandi centrali, come in Francia, ma puntare sugli “small modular reactors”, il nucleare di 4/a generazione: in pratica, motori di sommergibili chiusi dentro cilindri di metallo, economici e facili da costruire e da gestire. Quattro moduli da 100 megawatt, installati insieme, forniscono l’elettricità di una centrale a gas. Secondo Pichetto, potrebbero essere direttamente i consorzi industriali a farsi la “loro” centrale. Ma i tempi per avere i piccoli reattori modulari, ha spiegato oggi il ministro, “sono 2, 3, 4 anni, il prodotto non c’è ancora.

Si parla di avere le condizioni di produzione di questi piccoli reattori alla fine di questo decennio. Vuol dire che in questa legislatura dobbiamo avere tutto a posto” dal punto di vista giuridico. Pichetto il 27 aprile ha incaricato il giurista Giovanni Guzzetta di di costituire un gruppo di lavoro per ridisegnare tutta la normativa sul nucleare in Italia, in vista del ritorno delle centrali atomiche nel nostro paese. La questione non è secondaria.

Dopo l’abbandono del nucleare nel 1987, nel nostro Paese non c’è più una disciplina sulle autorizzazioni degli impianti e sul loro funzionamento. E non ci sono neppure le fondamentali normative sulla sicurezza. Senza leggi e regolamenti, non si possono riaprire le centrali. Il ceo di Newcleo, la principale società italiana per il nucleare, Stefano Buono, giorni fa fa ha dichiarato che “se il quadro normativo verrà stabilito rapidamente, potremmo prevedere di dispiegare i primi Small Modular Reactors in Italia entro il 2033”. Ma il rinnovo delle regole non è l’unico problema.

Gli italiani hanno detto no al nucleare due volte, con i referendum del 1987 e del 2011. Il governo sostiene che questi no non sono più validi, perché si riferiscono alle grandi centrali di 3/a generazione, e non agli small modular reactors. Ma l’opposizione all’atomo resta forte nel Paese: l’opposizione di sinistra è contraria, e così gli ambientalisti, convinti che il nucleare sia inutile e costoso, e che occorra invece puntare sulle rinnovabili. In caso di ritorno all’atomo, un nuovo referendum è un’ipotesi tutt’altro che improbabile, e dall’esito incerto. E poi c’è la questione del deposito nazionale delle scorie nucleari, mai realizzato da decenni, per le fortissime opposizioni popolari. Pichetto ha detto che punta a individuare il sito entro la legislatura, fra le 51 ipotesi individuate dalla Sogin (la società pubblica per lo smantellamento delle centrali), in Piemonte, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.

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Europee, nelle liste tanti soprannomi e troppi (20) giornalisti

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Non c’è solo “Giorgia”. Nelle liste per le europee i soprannomi o “detti” sono una valanga: si va da Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, detta “Letizia Moratti” (FI) a Domenico Lucano detto “Mimmo” (Avs), da Alessandro Cecchi Paone detto “Cecchi” o “Pavone” (Stati Uniti d’Europa), a Sergio De Caprio detto “Capitano Ultimo” detto “Capitano” e “Ultimo” (Libertà), fino allo scrittore Nicolai Verjbitkii conosciuto come Nicolai Lilin e così segnato nelle liste Pace, Terra, Dignità. Nelle liste dei papabili per l’Europarlamento compaiono una ventina di giornalisti, in particolare nel centrosinistra. FdI oltre a Giorgia Meloni detta “Giorgia”, schiera anche Piergiacomo Sibiano detto “Piga” e Salvatore Deidda detto “Sasso”.

Forza Italia e Noi Moderati candidano, tra gli altri, Antonio Cenini detto “Cenno”, Francesca Salatiello detta “Fra” e – dulcis in fundo – Edmondo Tamajo, detto “Tamaio”, ma anche “Di Maio”, “Edy”, “Edi” o ancora “Eddy”. Talvolta i soprannomi privilegiano la brevità, come nel caso di Suad Omar Sheikh Esahaq, candidata da Avs e detta “Su”. Altre volte prevengono possibili errori di scrittura, come per Giuliana Fiertler, detta “Firtler”, sempre in lista con Alleanza Verdi Sinistra. Tra i candidati di Stati Uniti d’Europa, ci sono: la senatrice Raffaella Paita detta “Lella”, Muharem Saljihu detto “Marco”, Gerardo Stefanelli, detto “Stefano”, e Alessandrina Lonardo Mastella detta “Sandra Mastella” (la moglie di Clemente).

Azione di Carlo Calenda schiera, tra gli altri, Gianni Palazzolo detto “Giangiacomo”, il M5s Giusy Esposito che diventa “Giusi” e Daniela Gobbo che si trasforma in “Daniela Varedo”. Nel Pd la prima a segnarsi anche con un altro nome – quello con cui è conosciuta ai più – è la segretaria, Elena Ethel Schlein detta “Elly”. Oltre a lei, anche Brando Maria Benifei, “Brando” o “Bonifei”, Marco Pacciotti detto “Paciotti” o “Marco” e Giuseppina Picierno detta “Pina”. La Lega presenta Susanna Ceccardi detta “Susanna” o “Susi” e Claudio Borghi detto “Borghi Aquilini”.

Gran parte dei giornalisti che competono per l’Europarlamento sta nelle liste del centrosinistra. In Pace, Terra, Dignità, oltre al promotore Michele Santoro, compare il vignettista Vauro Senesi detto “Vauro”, Raniero La Valle, che negli anni Sessanta fu direttore dell’Avvenire d’Italia e Fiammetta Cucurnia (ex Repubblica). Il Pd schiera la nota giornalista Lucia Annunziata, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Sandro Ruotolo, Donatella Alfonso, Teresa Bartoli e Lidia Tilotta. Nelle liste Stati Uniti d’Europa compaiono: Eric Jozsef, corrispondente di Libération, Alessandro Cecchi Paone e Marco Taradash. Con Avs ci sono diversi freelance, con Azione di Carlo Calenda la giornalista ucraina Nataliya Kudryk. Il M5s presenta Gaetano Pedullà, che per la corsa a Bruxelles ha lasciato la direzione de La Notizia.

Tra i candidati di Forza Italia-Noi Moderati, compare la freelance Laura D’Incalci, in quelle della Lega il giornalista campano Luigi Barone. Anche in Fratelli d’Italia alcuni candidati hanno avuto esperienze giornalistiche, ma mai come attività primaria. Sfogliando le liste ci si imbatte anche in strane omonimie e cognomi illustri. Il primo è il caso Roberto Mancini, che non è l’ex allenatore della nazionale ma un candidato di Pace, Terra, Dignità. Il secondo è quello di Giovanna Giolitti, pronipote dello statista Giovanni Giolitti, che corre con FdI. Il partito di Meloni presenta anche Vincenzo Sofo, europarlamentare passato dalla Lega a Fratelli d’Italia e sposato con Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen.

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