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I soliloqui di Vincenzo De Luca, interprete senza contraddittorio della commedia politica campana

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Il filosofo del soliloquio Vincenzo De Luca appena esce dalla comfort zone della sua pagina Facebook con un milione di followers va in crisi. Lui non ama i giornalisti, a dire il vero un po’ li schifa visto che li ha definiti, vado a braccio, camorristi, delinquenti, affannati mentali, cafoni, sfessati, chiavichette, pippe, mezze pippe, nullità. Chiedo scusa se ho dimenticato qualche complimento che De Luca ha riservato alla categoria cui mi onoro di appartenere.  Il filosofo dell’ovvio Vincenzo De Luca va ospite solo in quelle trasmissioni televisive importanti dove non gli fanno una domanda manco se gliela paghi a parte. Perchè si sa, i giornalisti in Italia si dividono in tre categorie: i cani da guardia delle istituzioni, i cani da salotto e i cani da riporto. I cani da guardia sono la maggioranza, ma non contano quasi nulla. Gli altri cani, invece, contano e concordano. De Luca i cani da guardia li ha sempre visti con un misto di sospetto, rabbia e schifo. Gente impicciona, depravati che fanno domande stupide, esseri inutili che chiedono risposte a curiosità. Insomma “affannati mentali” come direbbe o’ Sceriffo.  Lui che è abituato a recitare a braccio e a farlo in maniera eccellente visto l’eloquio di cui dispone nel soliloquio,  di giornalisti, di domande, di libertà di informazione e trullallero trullallà, non ne vuole sapere. Il suo portavoce, Paolo Russo, persona mite, serena, un bravo giornalista, c’ha pure provato a convincerlo con quei discorsi sulla libertà di stampa, sulla libertà d’opinione.

Niente, De Luca c’ha messo pure un poco di buona volontà, ma lui con gli affannati mentali che vogliono fare domande, non ci vuole parlare. Ogni tanto concede all’Ordine dei Giornalisti della Campania, al Sindacato dei cronisti, all’associazione della Stampa addirittura la possibilità di raccogliere qualche domanda tra i giornalisti che poi lui prende, guarda, legge, rilegge, accartoccia e getta nel cestino della carta. Non ne trova una di domanda che sia intelligente tra quelle che con tanta cura e pazienza organismi sindacali e istituzionali di categoria raccolgono. De Luca durante i suoi soliloqui del venerdì, che assomigliano ai sermoni di Abu Bakr Al Bagdadi (affanculo all’anima sua), vuole arringare i suoi seguaci e mandare affanculo i nemici della “straordinaria Campania”, i “portaseccia” della “straordinaria concretezza amministrativa”. Questo straordinario interprete della politica campana che in trent’anni di soliloqui ha costruito l’immagine d’un amministratore decente, apre il sipario, decide chi sono i partecipanti alla sua commedia, si prende gli applausi e poi se ne parla la prossima volta. In questi tre mesi di emergenza Covid, Vincenzo De Luca, ha condotto da solo, in splendida solitudine, la battaglia col virus.

È stato lui a prendere a sassate il virus, a mazzate il governo Conte, a stabilire quali dati dare delle curve epidemiche, come darli, quando darli. E mentre quello “sfessato” di Conte si preoccupava tra un vertice con la Merkel, una riunione del Cdm, una call con la signora Von Der Leyen di fare conferenze stampa con domande (altrimenti non sono conferenze stampa ma soliloqui), lui, il filosofo del soliloquio ha fornito alla pletora di “iettatori, consumatori abusivi di ossigeno” (sarebbero i giornalisti) ordinanze e comunicazioni da riportare sui loro media. Basta ascoltarlo, un titolo lo trovi sempre. Nella fase due gli organismi di categoria dei giornalisti erano convinti che i soliloqui del presidente della Giunta regionale della Campania (non l’amministratore del condominio di via il Papa da Roma) sarebbero finiti e, che pur con ogni precauzione, ci sarebbero state delle conferenze stampa. Come ne hanno fatte tutti i presidenti di Regione, anche nella fase più grave dell’emergenza. Il povero Attilio Fontana e il suo alter ego, l’assessore Gallera, hanno avuto con i giornalisti più pazienza di quanta Giobbe ne ebbe nei confronti di Dio.

De Luca invece nulla. Ma ci ha provato, ad essere onesto. Ieri sera, alle 1945, gli organismi di categoria dei giornalisti hanno spedito una mail a tutti gli iscritti all’Ordine o comunque a tanti. Il tenore della mail era, lo riassumo: entro le 20 (cioè a tempo più o meno scaduto) dovete prenotarvi per poter fare una domanda al presidente De Luca mandando una mail all’indirizzo dell’ufficio stampa della Regione. Una concessione, un atto di carineria davvero incredibile di De Luca che consentiva persino domande, ovviamente se la domanda veniva spedita in tempo al suo ufficio stampa. Sembrava un piccolo passo per l’uomo giornalista, un grande passo per l’umanità giornalistica campana. E invece… De Luca non ce la fa. Non è colpa sua, lui non riesce proprio a interloquire con i giornalisti. E allora l’Ordine dei giornalisti della Campania e il Sindacato unitario giornalisti della Campania – sentiti i sentimenti di sconforto dei giornalisti che s’erano iscritti con ordine e con concretezza per fare una domanda che non hanno potuto fare – hanno scritto che “condividono le giuste proteste dei colleghi e stigmatizzano quanto avvenuto stamattina durante la videoconferenza stampa del presidente della Regione Vincenzo De Luca, la prima dall’inizio del coronavirus”.

Questo il durissimo atto di accusa dei giornalisti a De Luca che ancora una volta li ha evitati. “Dopo l’intervento del governatore, alla prima domanda dei giornalisti, per problemi audio, De Luca si è alzato ed è andato via senza alcuna forma di rispetto nei confronti di chi stava parlando e degli altri colleghi che si erano prenotati”, accusano nella nota Ordine e Sindacato. Ah, Ordine e Sindacato dei giornalisti, ci hanno fatto sapere che “a questa videoconferenza si era arrivati dopo settimane di trattative durante le quali Ordine, Sindacato e numerosi giornalisti avevano chiesto di poter fare, dopo quasi tre mesi, domande dirette al presidente”. A Napoli, lo diciamo a chi ogni tanto si sbraccia tanto a Roma e parla di regime dittatoriale che mette la museruola ai giornalisti,  si fanno trattative per mesi per farci partecipare a conferenze stampa. E allora? E allora nulla. Semplicemente De Luca se ne fotte della libertà di stampa. Tocca ai giornalisti decidere come comportarsi. Se fermarsi alle note di protesta o andare un pochettino oltre.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Carente in Italia un farmaco chemioterapico molto usato

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Si chiama fluorouracile ed è un farmaco chemioterapico molto utilizzato dai pazienti oncologici. Al momento, è però “carente o disponibile in quantità ridotta” in Italia. A dare notizia dell’ultima carenza registrata sul nostro territorio è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) insieme all’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che rassicura tuttavia i pazienti che si stanno mettendo in atto tutte le procedure necessarie per ripristinarne la disponibilità e fornisce indicazioni precise ai medici oncologi su come gestire la situazione. “Le confezioni disponibili non saranno in grado di soddisfare le richieste del mercato per i prossimi mesi”, afferma l’Aifa sul proprio sito. L’Agenzia assicura però di essere “in costante contatto con i titolari delle Autorizzazioni alle Immissioni in Commercio dei medicinali a base di Fluorouracile per avere aggiornamenti su eventuali prossime forniture aggiuntive”.

L’Aifa si è inoltre detta disponibili a rilasciare alle strutture sanitarie che ne faranno richiesta l’autorizzazione a importare il farmaco dall’estero. A preoccupare è però proprio il largo utilizzo di questo chemioterapico. Il fluorouracile, spiegano gli oncologi, è un farmaco che rientra in numerosi schemi di trattamento per neoplasie dell’apparato gastroenterico, della mammella e del distretto testa-collo e la sua carenza, sia pur transitoria, “rappresenta un reale problema per la pratica clinica oncologica anche a causa della impossibilità di sostituirlo con altri farmaci per uso parenterale”. “Stimiamo – sottolinea il presidente Aiom, Francesco Perrone – che circa il 20% dei nuovi pazienti oncologici ogni anno potrebbe avere potenzialmente bisogno del fluorouracile, si tratta di 70-75mila pazienti l’anno”.

Proprio per contribuire al superamento della carenza, spiega, “daremo indicazioni ai clinici affinchè considerino schemi terapeutici alternativi con farmaci orali, come la capecitabina, per i pazienti che inizieranno un nuovo trattamento nelle prossime settimane, se previsti nelle linee guida disponibili e clinicamente indicati. Cercheremo di dare la priorità ai pazienti già in trattamento e ci auguriamo che questa allerta possa presto rientrare”. Ribadendo che Aifa “sta già mettendo in moto anche tutte le procedure inerenti l’import del farmaco per superare il momento di criticità”, il presidente degli oncologi sottolinea anche “l’importanza di questa rinnovata collaborazione con l’Agenzia: questo metodo di collaborazione, e la condivisione dei contenuti, tra società scientifiche ed un ente regolatorio come Aifa – afferma – è fondamentale ed è a tutto vantaggio dei pazienti”.

Il problema della periodica carenza di farmaci non è una novità in Italia, ma si è da qualche anno acuito a seguito del conflitto in Ucraina e della difficoltà di produzione di alcuni principi attivi in vari paesi. Un problema che il nuovo presidente Aifa, Robert Nisticò, ha indicato come una priorità nel suo discorso di insediamento all’Agenzia, lo scorso 22 aprile: “Sarà nostro compito fondamentale assicurare che non ci siano carenze nel mercato di farmaci indispensabili. In questo particolare momento in cui purtroppo ci sono conflitti alle nostre porte che pesano sulla filiera del farmaco anche in Italia, l’Agenzia insieme con le industrie, dovrà assicurare la massima disponibilità per un approvvigionamento continuo dei farmaci essenziali sia nel nostro Paese che nei paesi più in difficoltà”. Presso il ministero della Salute è inoltre attualmente attivo un Tavolo tecnico di lavoro nel settore dell’approvvigionamento dei farmaci sul territorio italiano.

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Il clima affonda la produzione di vino in Italia (-23%)

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Piogge frequenti e malattie delle viti fanno crollare la produzione di vino in Italia. Tra agosto 2023 e luglio 2024 l’Unione europea vedrà un calo della produzione annua di vino del 10% (stimata in circa 143 milioni di ettolitri, il dato più basso dal 2017-18) a causa “delle condizioni meteorologiche avverse”: un dato trainato da una “diminuzione significativa” osservata tanto in Italia (-23%) quanto in Spagna (-21%) nei dodici mesi. A rilevarlo è l’ultimo rapporto sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’Ue pubblicato dalla Commissione europea. Intanto oggi è stato presentato alle associazioni di settore il nuovo avviso Ocm vino ‘Promozione sui mercati dei paesi terzi’.

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, mette a disposizione degli operatori 22 milioni di euro a cui vanno aggiunti 71 milioni di euro per bandi regionali e multiregionali per un investimento complessivo che supera i 90 milioni di euro. “L’avevamo detto e l’abbiamo fatto anche prima del previsto”, ha segnalato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Ci stiamo muovendo per una più grande valorizzazione dell’export del vino”. Da subito per il Governo “è stata una priorità”, ha sottolineato. Il rapporto della Commissione Ue sulla produzione attesa a luglio 2024 sottolinea che il settore continua a essere influenzato da numerosi eventi “fuori dal controllo” degli agricoltori, come le crisi climatiche e geopolitiche, che esercitano pressioni in termini di prezzi, domanda e reddito.

Il “calo senza precedenti” che si osserverà in Italia, spiega l’Ue, è “determinato da frequenti piogge nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale, e le conseguenti malattie fungine delle viti”. Visto il crollo della produzione in Spagna e Italia, la Francia tornerà a essere il primo produttore di vino in Ue. Non solo produzione, Bruxelles stima che a diminuire sarà anche il consumo (-1,5%) fino a 96 milioni di ettolitri, in particolare dei vini rossi, dovuto anche al fatto che più giovani preferiscono altri alcolici, soprattutto birre e cocktail. Considerata “l’imprevedibilità degli eventi meteorologici estremi e dei bruschi cambiamenti osservati nell’ultimo anno”, il rapporto mette in guardia sulla necessità di trattare “con cautela” i segnali attuali. Nel 2023-2024 a crollare saranno inoltre i volumi delle esportazioni di circa l’11%, a 28 milioni di ettolitri. Non solo sul vino, le condizioni meteorologiche avverse peseranno anche sulla produzione europea di mele e arance, le esportazioni delle quali diminuiranno drasticamente. Quanto alla produzione di olio d’oliva, la Commissione stima “una leggera ripresa” tra ottobre 2023 e settembre 2024 dopo un raccolto record lo scorso anno. Quanto ai cereali, si prevede che nel 2024/25 la produzione aumenterà fino a circa 278,5 milioni di tonnellate (+ 3% su base annua), principalmente grazie a rese migliori. Le importazioni tra luglio 2023 e giugno 2024 potrebbero rimanere superiori del 17% rispetto alla media quinquennale.

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Economia

Polemica su sgravi al Sud, il governo lavora al rinnovo

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Scoppia la polemica sullo stop agli sgravi contributivi per le imprese del Mezzogiorno, una misura introdotta dal governo Conte II nel 2021, autorizzata dalla Ue in quanto aiuto di Stato straordinario in tempi di Covid, prorogata diverse volte ed ora arrivata al capolinea del 30 giugno, quando si tornerà al vecchio regime Ue sugli aiuti di Stato. L’opposizione accusa il governo di mandare a morire la misura che sta sostenendo le imprese al Sud ma il ministro degli Affari europei, Sud, Politiche di Coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, respinge al mittente le ricostruzioni “false e pretestuose” e assicura che il governo negozierà con la Ue “nuove modalità possibili di applicazione della misura”.

‘Decontribuzione Sud’ aveva fin dall’inizio una scadenza naturale, essendo figlia dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato varato dalla Commissione europea durante la pandemia per sostenere le imprese. Con il ritorno alle normali regole europee, il prossimo 30 giugno, verranno meno tutti gli aiuti straordinari che i governi misero in campo negli anni del Covid. Ma per l’opposizione non ci sono motivazioni che tengano e il governo dovrebbe fare di tutto per non lasciar scadere l’aiuto alle imprese del meridione. “Questo governo sta schiaffeggiando il Sud”, attacca il presidente del M5s Giuseppe Conte, spiegando come gli aiuti hanno consentito assunzioni tra il 2021 e il 2023, in aree svantaggiate, di circa 3,7 milioni di persone. Anche il Pd insorge contro “l’ennesimo taglio” che avrà “effetti devastanti”, perché “sono a rischio tre milioni di contratti. In allarme anche i sindacati, che hanno avuto la notizia dello stop proprio da Fitto.

“Non confermare il taglio del costo del lavoro per oltre tre milioni di lavoratori dipendenti, aggiunge ulteriori rischi sul fronte occupazionale per quelle regioni”, ha detto il segretario confederale della Uil, Santo Biondo. Ma l’esecutivo si difende e rivendica non solo l’attenzione per il Sud ma anche per la vecchia misura del governo Conte II, di cui il governo Meloni ha chiesto due rinnovi, ottenendo anche un aumento dei massimali. Fitto spiega che il governo aveva già chiesto alla Ue “la massima estensione temporale compatibile con la scadenza del Quadro temporaneo” sugli aiuti di Stato, una tagliola da cui però non è più possibile scappare. Per questo ora “il governo avvierà un negoziato con la Commissione europea per verificare nuove modalità possibili di applicazione della misura, in coerenza con la disciplina europea ed al di fuori delle misure straordinarie del temporary framework sugli aiuti di Stato”. Il ministro ribadisce poi che l’impegno “per tutelare gli interessi del Sud e per garantirne lo sviluppo”. E ricorda che il decreto Coesione, che il governo ha ribattezzato decreto Primo maggio, prevede proprio una serie di misure per il lavoro tra cui diversi bonus che incentivano le assunzioni di donne, giovani e disoccupati soprattutto al Sud, attraverso sgravi contributivi del 100% per due anni. Stando alla nuova bozza del decreto, però, partiranno non più da luglio come annunciato nella prima versione ma scatteranno sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato dal primo settembre 2024 al 31 dicembre 2025.

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