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Politica

Referendum sul taglio dei parlamentari apre una finestra voto, sospetti sui due Matteo di Iv e Lega

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I principali indiziati, sono i due grandi assenti al ricevimento di fine anno al Quirinale: Matteo Salvini e Matteo Renzi. Un minuto dopo l’annuncio dell’avvio dell’iter per il referendum sul taglio parlamentari, è sui leader di Lega e Iv che tornano ad addensarsi i sospetti. Perche’ la richiesta firmata da 64 senatori apre una ghiotta finestra elettorale: chi vuole tornare al voto puo’ tentare un blitz entro la primavera, facendo leva sui parlamentari che conterebbero di avere piu’ chance di elezione in un Parlamento di 945 scranni e non 600. L’operazione – negata dai due “Matteo”, ma anche da Dem e 5s – e’ assai complicata e, chiunque la tenti, l’esito non e’ scontato perche’ tra deputati e senatori la voglia di elezioni e’ bassissima. Ma da qui a inizio febbraio le incognite sono tante. Dopo le regionali in Emilia Romagna, quando arrivera’ al dunque la verifica di governo, anche nel Pd potrebbe prevalere la voglia di votare per non farsi logorare. Il voto viene reputato oggi poco probabile, ma nessuno nel governo lo esclude davvero. Il passaggio e’ assai delicato. Tanto che c’e’ il sospetto che qualche firmatario possa ritirare la firma. Di sicuro la proposta piace alla Lega (c’e’ Salvini dietro l’accelerazione?, chiede piu’ d’uno) anche perche’ potrebbe incrociarsi con il referendum sulla legge elettorale ideato da Calderoli per un maggioritario puro: se i due voti si sommassero, l’appuntamento sarebbe quasi un referendum su Salvini. Ma Dem e M5s tenteranno di sminare almeno il referendum Calderoli incardinando alla Camera, prima che la Consulta si pronunci a meta’ gennaio, una proposta di legge elettorale: l’auspicio e’ che la Corte rinvii il referendum Calderoli in attesa che le Camere legiferino. Ma e’ sugli scenari di voto anticipato che la politica si concentra, nel giorno della raccolta delle firme per il referendum.

C’e’ chi obietta che la discussione non esiste perche’ il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non permetterebbe di votare per eleggere 945 parlamentari, mentre e’ pendente una riforma per ridurli a 600. Ma l’obiezione, secondo diverse fonti, non regge: se non ci fossero maggioranze alternative all’attuale ne’ le condizioni per un governo di unita’ nazionale sostenuto da tutti (come il governo Draghi evocato da Giancarlo Giorgetti), il capo dello Stato – viene fatto notare – non potrebbe che sciogliere le Camere e il referendum non potrebbe essere considerato ostativo al voto perche’ la legge di riduzione – proprio a causa del referendum – non sarebbe in vigore fino al parere fondamentale dei cittadini. Piuttosto, osservano le stesse fonti, il problema si potrebbe – in punta di costituzione – porre dopo. Perche’ le elezioni farebbero solo slittare di qualche mese il referendum, dalla primavera all’autunno, ma alla fine si dovra’ tenere e nessuno dubita della vittoria del si’ al taglio dei parlamentari. Allora si’, con una riforma costituzionale in vigore, un presidente della Repubblica potrebbe avere una ragione valida – secondo questa lettura – per sciogliere le Camere e mandare di nuovo a votare il Parlamento appena eletto con le nuove norme costituzionali in quel momento pienamente valide. A queste ragioni “costituzionali”, si somma poi un argomento puramente politico: chi si assume una responsabilita’ tanto impopolare come quella di bloccare la sforbiciata di deputati e senatori? E’ questo il motivo per cui tra le fila Dem, chi piu’ spinge perche’ sia il Pd a staccare la spina, sostiene: chi non vuole le urne “ha comprato tempo”. Ed e’ questa la ragione che induce tranquillita’ anche ai vertici del governo. Tanto piu’ che, notano, tra i 41 di Fi che hanno firmato per il referendum ci sono anche nomi come quelli di Massimo Mallegni e Andrea Cangini, finora additati come possibili responsabili pronti a passare a sostenere la maggioranza in caso di crisi. A spingere contro le elezioni ci sono i timori di non rielezione dei peones (si moltiplicano le voci di esponenti di Iv tentati dal ritorno al Pd) e di parlamentari M5s che sarebbero tagliati fuori dalla regola dei due mandati. Da Iv respingono come “una cazzata galattica” i sospetti su Renzi e negano di voler sfruttare la soglia al 3% del Rosatellum.

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Politica

Piantedosi: io governatore in Campania? Assolutamente no

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“No, assolutamente no” risponde il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ai cronisti che gli chiedono se il botta e risposta andato in scena stasera a Napoli con il governatore campano Vincenzo De Luca non possa considerarsi il prologo di una prossima campagna elettorale per il ruolo di governatore campano dopo che nei giorni scorsi il nome del titolare del Viminale è circolato sui media, sponsorizzato da esponenti locali della Lega. “Se volete vado dal notaio. Io sono contentissimo – sottolinea Piantedosi – di fare il ministro dell’Interno, e potete immaginare come per me che vengo da una carriera nell’amministrazione statale, dopo aver fatto il prefetto, se non è questo il massimo della soddisfazione. Con tutto il rispetto per altri ruoli – ha ribadito – ma assolutamente no”.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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