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Politica

Il premier Conte deciso a parlare in Aula, e poi le dimissioni solo dopo

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Comunque vada, anche se i ministri della Lega lasceranno prima il suo governo, il 20 agosto Giuseppe Conte sarà in Aula al Senato. Dirà la sua verità, assicurano da Palazzo Chigi, sulla esperienza gialloverde e sulla crisi. E poi, probabilmente, prendera’ atto di non avere piu’ una maggioranza e si presentera’ al Quirinale per rassegnare le dimissioni. In mezzo, potrebbe esserci una risoluzione del M5s a suo sostegno. Dopo, il tentativo di formare una nuova maggioranza in Parlamento, per un governo che punti alla fine della legislatura. Se davvero Matteo Salvini andra’ fino in fondo e, come atto di accusa, si dimettera’ dal governo ritirando tutta la sua delegazioni, servira’ un decreto del presidente della Repubblica che accetti le dimissioni, spiegano fonti di governo. E’ chiaro che sul piano politico il gesto della Lega sancira’ con ancor piu’ nettezza il venir meno di una maggioranza e la spinta di Salvini verso le elezioni. Ma il premier non intende venire meno al suo impegno di riferire al Parlamento e, mentre continua a lavorare da presidente del Consiglio (nel pomeriggio la visita a un centro anziani), prepara il suo discorso per l’Aula.

I partiti serrano le fila in Senato per il voto sul calendario, che – salvo sorprese – dovrebbe per la prima volta fotografare una maggioranza M5s-Pd-Leu. E’ una maggioranza ‘tecnica’, sul calendario, non politica, sottolineano sia i Dem che i Cinque stelle. Ma da li’ c’e’ chi prova a partire. Perche’ mentre si consumano questi passaggi d’Aula e mentre lo scontro politico acquista gia’ i toni della campagna elettorale, continua il lavorio tra le fila di M5s e del Pd per sondare le possibilita’ di un nuovo governo. Se ne parla nell’assemblea dei gruppi pentastellati, nella quale – a parte alcune voci dissonanti come quelle di Stefano Buffagni e Paola Taverna – emerge una vasta sensibilita’ contro il voto e per provare a capire se ci sono i margini per un nuovo governo. “Ma siamo tutti d’accordo che non deve esserci Renzi”, dicono fonti pentastellate. E respingono cosi’ l’offerta di un esecutivo di transizione per fare la manovra e il taglio dei parlamentari. Quello di cui i pontieri dei due partiti (continuano a circolare voci di un filo di dialogo aperto tra Roberto Fico e Dario Franceschini) stanno lavorando e’ una maggioranza per un governo di ampio respiro, di legislatura. Non e’ questo, spiegano dal Nazareno, quello a cui lavora Nicola Zingaretti: il segretario vuole innanzitutto che sia chiara la responsabilita’ di Salvini nel trascinare il Paese al voto e poi che il partito resti unito in questa fase difficile. I renziani restano sul piede di guerra: “C’e’ solo l’unita’ per un nuovo governo o il voto – dice un dirigente – e al voto siamo pronti a raccogliere le firme per presentarci con un nuovo partito di Matteo Renzi, a partire dai suo comitati civici”.

Giuseppe Conte. Il premier assieme ai due vice spiegherà al Senato perchè Salvini ha affossato il Governo

I “pontieri” fanno notare che il segretario non chiude a un tentativo di formare un governo con il M5s. Ma ammettono che la via e’ molto stretta: su quali basi programmatiche nascerebbe il governo? Con quale premier, puo’ andare bene un nome come Raffaele Cantone? C’e’ chi, tra i Cinque stelle, accarezza l’idea di un Conte bis con una nuova maggioranza, magari facendo in modo che i Dem votino la risoluzione che presenteranno in Senato a sostegno del premier. Ma e’ piu’ facile, ribattono in casa Pd, che il dibattito si apra nella direzione del partito che sara’ probabilmente convocata in vista delle consultazioni. Per ora c’e’ solo un comune tentativo con il M5s – concordano Zingaretti, Gentiloni e il capogruppo renziano Marcucci – di frenare la corsa della Lega. Salvini, ammettono i suoi, sta tentando ogni possibile mossa per accelerare e favorire le elezioni: l’ipotesi di ritirare la delegazione rientra in questo ambito. Dal Quirinale, per ora, nulla trapela. Una volta aperta formalmente la crisi, Sergio Mattarella fara’ le sue valutazioni. E potrebbe dare il via a un governo di garanzia che conduca verso le urne (dopo la vicenda del Senato calano le quotazioni di Elisabetta Casellati). Solo se dall’ascolto dei partiti nascera’ una maggioranza chiara per un nuovo governo, potrebbe aprirsi uno scenario diverso.

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Politica

Piantedosi: io governatore in Campania? Assolutamente no

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“No, assolutamente no” risponde il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ai cronisti che gli chiedono se il botta e risposta andato in scena stasera a Napoli con il governatore campano Vincenzo De Luca non possa considerarsi il prologo di una prossima campagna elettorale per il ruolo di governatore campano dopo che nei giorni scorsi il nome del titolare del Viminale è circolato sui media, sponsorizzato da esponenti locali della Lega. “Se volete vado dal notaio. Io sono contentissimo – sottolinea Piantedosi – di fare il ministro dell’Interno, e potete immaginare come per me che vengo da una carriera nell’amministrazione statale, dopo aver fatto il prefetto, se non è questo il massimo della soddisfazione. Con tutto il rispetto per altri ruoli – ha ribadito – ma assolutamente no”.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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