Collegati con noi

Politica

È nato in Senato il partito anti-Lega: M5S, Pd e Leu impediranno a Salvini di sfiduciare Conte ma…

La conferenza dei capigruppo del Senato vede due schieramenti in campo: il centrodestra di Berlusconi che non vinse le elezioni di marzo 2018 (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) e che vuole andare al voto subito. Dall’altra parte c’è chi non vuole andare al voto: l’unione (momentanea?) di Cinque Stelle, Pd e gruppo misto (LeU, Radicali, ex grillini, Maie), che vogliono prolungare la durata della Legislatura almeno per evitare l’aumento dell’Iva, fare la manovra economica, tagliare i parlamentari

Pubblicato

del

La conferenza dei capigruppo del Senato vede due schieramenti in campo: il centrodestra di Berlusconi che non vinse le elezioni di marzo 2018 (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) e che vuole andare al voto subito. Dall’altra parte c’è chi non vuole andare al voto: l’unione (momentanea?) di Cinque Stelle, Pd e gruppo misto (LeU, Radicali, ex grillini, Maie), che vogliono prolungare la durata della Legislatura almeno per evitare l’aumento dell’Iva, fare la manovra economica, tagliare i parlamentari.

Chiamatelo il partito del non voto, chiamatelo l’asse antiSalvini, chiamatelo come vi pare ma questa strana alleanza ferma la crisi lampo di Salvini che pensava di sfiduciare subito Conte e andare al voto a ottobre. E che cosa fa ora Salvini? Nelle prossime ore, come suggerito peraltro anche dall’avversario Luigi Di Maio, Salvini potrebbe ritirare i ministri dall’esecutivo gialloverde e provare a forzare  Conte a rinunciare al passaggio parlamentare. Passaggio che Conte invece considera essenziale perché lui intende denunciare, pubblicamente, le responsabilità di Salvini della caduta del governo, svelare nei dettagli perchè Salvini “è un avventuriero politico che antepone i suoi interessi personali a quelli del Paese”. Ora Salvini si trova ad un bivio e non con una autostrada spianata verso il voto. Nelle prossime ore potrebbe vedersi lui sbattuto fuori dal governo assieme a tutti i ministri (sfiduciati) e assistere alla nascita di un Conte bis o anche di un governo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In una Repubblica parlamentare succede così.

È in Parlamento che si fanno e si disfano le maggioranze. È in Parlamento che nascono e muoiono i Governi. E il premier Conte parlerà solo in Parlamento. Salvini, inutile negarlo, sa che Conte è l’ultimo ostacolo sulla strada per le urne e per quello che i sondaggisti ritengono possa essere il plebiscito che la Lega si aspetta dalle urne. E così tra una minaccia di ritirare i ministeri, qualche insulto social e le solite invettive contro Ong e migranti, proverà a contrastare con ogni mezzo la manovra dilatoria sul calendario che sarà deciso oggi dalla maggioranza dell’Aula.
A Palazzo Madama il partito del non voto ha sulla carta una maggioranza solida. L’asse anti-Salvini dovrebbe contare 159 senatori contro 137. E quindi dovrebbe ottenere che tutto sia rimandato al 20 agosto: per le comunicazioni del presidente del Consiglio e non certo per la votazione della mozione di sfiducia presentata a Conte dal Carroccio.


Il centrodestra invece chiederà nella seduta dell’Aula del Senato convocata per oggi alle 18, di votare subito (alle 18 di domani, dopo la commemorazione a Genova delle vittime del crollo di Ponte Morandi) la sfiducia al premier. Insomma sarà un’altra giornata campale, dopo che ieri la tensione in capigruppo è stata per ore alle stelle, con coda polemica finale da parte della capogruppo di LeU, Loredana De Petris che ha accusato la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati di fare il gioco di Salvini e di non essere arbitro imparziale. Stessa accusa da parte del suo collega del Pd, Andrea Marcucci che l’ha attaccata per la forzatura al regolamento che comunque costringerà i senatori ad essere a Roma oggi pomeriggio. “Uno spettacolo indegno e una forzatura gravissima, visto che c’era già l’accordo della maggioranza su Conte che avrebbe riferito il 20 in Aula” ha detto Marcucci, reduce da una riunione in mattinata con il segretario dem Nicola Zingaretti e il presidente del partito Paolo Gentiloni in cui sarebbero rientrate tensioni e spaccature tra renziani e non.
Se può essere una prova, alla successiva riunione del gruppo del Pd convocata subito dopo a Palazzo Madama (Renzi era assente) il clima era più che disteso.

Più articolati gli umori e i pensieri  nella riunione che ha tenuto assieme per quattro ore i gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle. Una full immersion centrata sul tradimento di Salvini, sui mea culpa di Luigi Di Maio accusato di non essere stato capace di contenere il debordante ex infido alleato della Lega, sul riconoscimento a Conte di aver “fatto un grande lavoro”. Poi però si è data voce ai parlamentari che si sono spaccati in due:  chi vuole mandare avanti la legislatura se Conte se ne farà garante; chi vuole andare a votare, perchè “bisogna tornare ai valori originali” e di alleanze con Renzi e i renziani “non se ne possono fare, il Movimento non sopravvivrebbe”.

Il premier Conte deciso a parlare in Aula, e poi le dimissioni solo dopo

Diario della crisi “juorno per juorno”, quando il bue dá del cornuto all’asino

Advertisement

In Evidenza

Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

Pubblicato

del

featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

Continua a leggere

In Evidenza

Il richiamo di Mattarella, non dividere il sud dal nord

Pubblicato

del

I sindacati hanno un ruolo “insopprimibile” per lo sviluppo della società; il welfare non deve perdere il suo carattere “universalistico”; anche se è “un’ottima notizia” che l’occupazione stia crescendo, le istituzioni non devono mai sentirsi “appagate” perchè “l’ascensore sociale” si è bloccato; ogni morte sul lavoro è “inaccettabile” per uno stato moderno; ed infine porre rimedio allo “sfruttamento” degli immigrati. C’è tutto questo e tanto altro nel primo maggio del presidente della Repubblica che ha scelto di passare la vigilia della Festa del Lavoro tra gli operai del distretto agro-industriale nella provincia di Cosenza. Inevitabilmente però sono le sue preoccupazioni sul distacco del Mezzogiorno dal nord del Paese, sulla perdurante questione meridionale – invincibile nel tagliare il Paese in due – a raccogliere gli applausi convinti dei lavoratori calabresi che erano accorsi ad ascoltarlo.

Sergio Mattarella non pronuncia mai le parole “Autonomia differenziata” ma nella platea, inevitabilmente, tutti pensano alla riforma a motrice leghista. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, premette il presidente che quindi argomenta la sua riflessione spiegando quanto risolvere la questione meridionale sarebbe utile per l’intero Paese. Al contrario, relegarla nel cassetto dei “problemi non urgenti” è una scelta che frena il pil dell’Italia. “Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. E’ appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”, spiega Mattarella raccogliendo pieno consenso dall’uditorio.

“Il mezzogiorno è parte dell’Europa”, incalza il presidente chiedendo di uscire da una logica di “analisi semplificate”. Il problema è complesso e va affrontato dalla politica, insiste elencando le differenze insostenibili tra nord e sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; ed infine troppi giovani costretti a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove. Chiuso questo passaggio che in tanti hanno letto come un grido d’allarme rispetto ai pericoli di un’Autonomia mal applicata, il capo dello Stato ha avuto molto da dire sul lavoro in senso stretto. Durissime le sue parole sui continui incidenti nei cantieri e nelle fabbriche: “non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile”.

Altrettanto secco il richiamo del Quirinale sulle condizioni nelle quali vengono tenuti in Italia i migranti che, regolari o irregolari, spesso vivono il lavoro ai confini della schiavitù: “i lavoratori migranti sono parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti. Ma, in alcuni casi, aree grigie di lavoro – che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono – generano ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare sulle delinquenziali forme di capolarato è, quindi, un preciso dovere. Così come – aggiunge Mattarella – bisogna vigilare sulle condizioni inumane in cui vengono, in alcuni casi, scaraventati i lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità”. Ed ancora, mentre non si spengono le polemiche sulle parole del generale Vannacci sulla disabilità nelle scuole, Mattarella mostra di pensarla diversamente: purtroppo “perdurano le difficoltà di chi sopporta una disabilità, il peso degli oneri di assistenza che non di rado spingono nel bisogno anche famiglie di chi un lavoro ce l’ha”. Non poteva mancare quindi il consueto augurio per la buona riuscita del Concertone di Roma, quest’anno accompagnato da un invito ai giovani a “preparare il futuro senza cedere alla paura o alla sfiducia”.

Continua a leggere

Politica

Sprint per le liste, scontro sul taglio delle firme

Pubblicato

del

Alla fine il governo ha detto “No”. Nessuno sconto al numero di firme per presentare nuove liste alle Europee dell’8 e 9 giugno. Resta così a metà del guado Marco Rizzo, di Democrazia sovrana e popolare, che aveva chiesto un taglio a Palazzo Chigi, ottenendo una prima apertura. Michele Santoro, invece, ha fatto sapere di essere riuscito ugualmente a raccogliere le sottoscrizioni necessarie in tutte le circoscrizioni per Pace Terra Dignità. La scadenza è ormai questione di ore. Si delinea così la fisionomia dello scontro politico che vedrà in campo tanti big, dalla premier Giorgia Meloni alla segretaria Pd Elly Schlein, e numerose vecchie conoscenze, da Vittorio Sgarbi per FdI a Sandra Lonardo Mastella per Stati Uniti d’Europa ad Alessandra Mussolini per Forza Italia. Dopo aver ascoltato “con attenzione” la proposta di Rizzo di portare da 75 mila a 37.500 il numero di firme per le liste che non abbiano già parlamentari, Palazzo Chigi ha deciso di “non accogliere la richiesta”, anche “a fronte della ferma contrarietà di altre formazioni politiche minori”.

In primis quella di Cateno De Luca, della lista Libertà, che in mattinata aveva chiesto un incontro con lo staff di Meloni per “evitare che il governo” favorisse “solamente il partito di Marco Rizzo con una norma ad personam”. Rizzo ha comunque annunciato battaglia: “A questo punto – ha detto – ci presenteremo nelle circoscrizioni Centro e Sud dove la soglia delle firme è stata ampiamente superata e nelle altre faremo ricorso”. In attesa del deposito delle firme e delle verifiche, Michele Santoro ha annunciato di avercela fatta: “Possiamo essere finalmente fieri di aver realizzato un’impresa che sembrava impossibile – ha detto il giornalista – Consegneremo la lista Pace Terra Dignità in tutte le circoscrizioni”. In lista per Santoro ci sono – tra l’altro – l’attore Paolo Rossi e lo scrittore moldavo Nicolai Lilin.

Il balletto delle firme non riguarda le forze già presenti in Parlamento, che hanno invece dovuto fare i conti con la battaglia delle liste, dei nomi da mettere in campo. Oltre a Meloni, capolista ovunque, e a Schlein, che sarà capolista al Centro e nelle isole, fra i leader ci saranno il segretario di Fi Antonio Tajani, capolista in ogni circoscrizione tranne le isole (dove c’è invece Caterina Chinnici), e quello di Azione Carlo Calenda, capolista nel Nord Est, Isole e Centro. Per FdI, nelle ultime ore è circolato anche il nome del ministro Crosetto, un’ipotesi che però non pare abbia poi preso corpo. Dubbi sulla presenza in lista con Stati Uniti d’Europa, anche sull’ex sindaco di Agrigento, in passato nel Pd a trazione renziana, Marco Zambuto, compagno della figlia di Totò Cuffaro. Sarà invece della partita il leader di Italia viva Matteo Renzi: si candiderà all’ultimo posto in quattro circoscrizioni su cinque. “Tutti i candidati della Lista Stati Uniti d’Europa si sono impegnati, se eletti, a lasciare eventuali altri incarichi e andare al Parlamento europeo”, ha ricordato Emma Bonino, capolista al Nord ovest e in corsa al Centro. Un po’ a sorpresa, per Fdi è spuntato il nome di Vittorio Sgarbi, nella circoscrizione Sud.

Tre mesi fa il critico si era dimesso da sottosegretario alla Cultura dopo la delibera dell’Antitrust che definiva alcune sue attività “incompatibili” con il ruolo di governo: “Ho deciso di accettare la candidatura da indipendente con Fratelli d’Italia – ha spiegato – Sono libero e ho una dote di voti riconoscibili. Alle Europee del 1999 ne presi 100mila nel Nord Est, quasi come Berlusconi”. Sarcastico il M5s: “Quali saranno i prossimi candidati al Parlamento Europeo di Fratelli d’Italia? Magari Pozzolo e Delmastro? Di questo passo non ci sorprenderebbe se in futuro candideranno Daniela Santanchè al Quirinale”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto