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Politica

Idea “war room” in Parlamento ma è già lite sulle riforme

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Un canale di dialogo è tutto da costruire. Lo si vede con chiarezza nel primo giorno dell’era giallorossa alla Camera. M5s e Pd si muovono come due truppe separate, i rapporti individuali sono buoni, quelli politici tutti da costruire. E poiche’ il rischio e’ incagliarsi subito in schermaglie e dissonanze, l’idea e’ costruire una cabina di regia dei gruppi parlamentari e tra loro e il governo, dove i capi delegazione Luigi Di Maio, Dario Franceschini e Roberto Speranza per Leu faranno capo direttamente a Giuseppe Conte. Una sorta di “war room” permanente dove cercare di fare sintesi tra partiti che fino a ieri non si parlavano. Alla Camera e soprattutto al Senato, dove Matteo Richetti nel Pd e Gianluigi Paragone nel M5s potrebbero essere da subito gli apripista di una piccola – ma incisiva – truppa di dissenzienti. In attesa che nel governo entri nel vivo la partita della manovra, la prima prova cui e’ attesa la nuova maggioranza e’ quella delle riforme. E cosi’ in serata si riuniscono alla Camera i capigruppo di M5s, Pd e Leu, Francesco D’Uva, Graziano Delrio e Federico Fornaro, per capire come procedere. L’accordo, ribadito dal premier nel discorso per la fiducia, e’ inserire “nel primo calendario utile” la riforma del M5s per il taglio dei parlamentari. Ad essa dovranno essere accompagnate una legge elettorale, altre modifiche costituzionali per garantire le minoranze e il pluralismo e una modifica dei regolamenti parlamentari. Ma sul quando e come farli gia’ si litiga. Per il M5s e’ essenziale portare a casa entro settembre (se possibile la prossima settimana) il taglio dei deputati e senatori. Il Pd punta invece a far partire in parallelo – dunque piu’ in la’ – la legge elettorale, per avere la garanzia che il taglio netto dei parlamentari sara’ bilanciato dalla garanzia di un sistema proporzionale che eviti che un solo partito o coalizione possa “prendere” e controllare tutto. Secondo alcuni Dem bisognerebbe avviare in contemporanea anche la seconda riforma costituzionale con meccanismi come la sfiducia costruttiva, in modo da sfruttare la legge che consente di ritardare il referendum sul taglio dei parlamentari per fare un’unica consultazione sulle due riforme. Sarebbe anche – dicono a taccuini chiusi – una garanzia di durata della legislatura. Ma per il M5s la richiesta e’ inaccettabile: se si aprisse il tavolo per la legge elettorale potrebbero volerci mesi quindi per ora al massimo si puo’ avviare formalmente l’iter in commissione. I dubbi, come si vede, sono di metodo ma anche di merito. Qualche deputato Pd, che non vuole uscire allo scoperto ora per non guastare la “festa” per la nascita del governo, fa gia’ sapere che la riforma M5s per il taglio dei parlamentari non la votera’: “Il Pd, del resto, non l’ha mai votata”. Ecco dunque la necessita’ di un coordinamento. Di Maio e Franceschini prima del voto di fiducia fanno il punto con le rispettive delegazioni. Il capo M5s riunira’ i suoi ministri forse mercoledi’ alla Farnesina. Il ministro Pd, che avra’ un ufficio a Palazzo Chigi, raccomanda ai Dem di ridurre la conflittualita’ e cercare la sintesi in spirito di coalizione. In queste ore – per martedi’ e’ previsto un tavolo politico – si cerca l’intesa sui sottosegretari, con l’obiettivo di chiudere la partita in settimana. Ma un rinvio e’ possibile, se si considera che non c’e’ ancora un’intesa sui numeri: dovrebbero essere poco piu’ di venti per il M5s, poco meno di venti per il Pd, uno per Leu e forse uno anche per chi, tra le autonomie, votera’ la fiducia. Ci sara’ un sottosegretario a Palazzo Chigi (forse lo stesso sottosegretario alla presidenza,Riccardo Fraccaro) con delega alle Riforme. In squadra dovrebbero esserci pochi senatori, perche’ Palazzo Madama – dove i numeri sono risicati – va presidiato. E gia’ si ragiona delle authority, con Agcom al Pd (forse Antonello Giacomelli) e autorita’ per la privacy a M5s. Prima pero’ lo scoglio della fiducia al Senato, con un occhio al tabellone dei numeri.

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Politica

Piantedosi: io governatore in Campania? Assolutamente no

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“No, assolutamente no” risponde il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ai cronisti che gli chiedono se il botta e risposta andato in scena stasera a Napoli con il governatore campano Vincenzo De Luca non possa considerarsi il prologo di una prossima campagna elettorale per il ruolo di governatore campano dopo che nei giorni scorsi il nome del titolare del Viminale è circolato sui media, sponsorizzato da esponenti locali della Lega. “Se volete vado dal notaio. Io sono contentissimo – sottolinea Piantedosi – di fare il ministro dell’Interno, e potete immaginare come per me che vengo da una carriera nell’amministrazione statale, dopo aver fatto il prefetto, se non è questo il massimo della soddisfazione. Con tutto il rispetto per altri ruoli – ha ribadito – ma assolutamente no”.

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Economia

Ocse, in Italia il cuneo fiscale supera il 45% nel 2023

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Per il lavoratore ‘single’ in Italia il peso delle imposte complessive sul salario è in media del 45,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (era del 45%). E’ quanto emerge dal rapporto Ocse per il 2023 ‘Taxing Waging. Il cuneo fiscale nell’Ocse è stato del 34,8% in media nel 2023 (34,7% nel 2022) e l’Italia figura al quinto posto per l’incidenza più alta tra i 38 Paesi Ocse, dopo Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%). In Italia, le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro rappresentano insieme il 90% del cuneo fiscale totale, mentre la media Ocse è del 77%. Per un lavoratore spostato con due figli il cuneo è invece inferiore e vede l’Italia all’ottavo posto con il 33,2% (era al nono posto nel 2022), rispetto a una media Ocse del 25,7%.

Tra il 2000 e il 2023 il cuneo fiscale per il lavoratore single è sceso di 2 punti percentuali (dal 47,1 al 45,1%). Nello stesso periodo nei paesi Ocse è sceso di 1,4 punti percentuali (dal 36,2 al 34,8%). Tra il 2009 e il 2023 invece il cuneo fiscale per il lavoratore medio single in Italia è sceso di 1,7 punti percentuali. Durante questo stesso periodo, il cuneo fiscale per il lavoratore single nei paesi Ocse è aumentato lentamente fino al 35,3% nel 2013 e nel 2014, scendendo al 34,8% nel 2023. L’aliquota fiscale netta del dipendente single in Italia nel 2023 è stata in media del 27,7% nel 2023, rispetto alla media Ocse del 24,9%. Tenendo conto degli assegni familiari e delle disposizioni fiscali, l’aliquota fiscale media netta del dipendente per un lavoratore sposato con due figli in Italia era del 12% nel 2023, il 26esimo valore più basso nei Paesi Ocse, e si confronta con il 14,2% della media Ocse.

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Politica

Mattarella: sull’antifascismo unità del popolo è doverosa

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Un regime “disumano” che “negava l’innegabile” attraverso una strettissima censura dei giornali, che “non conosceva la pietà”, che educava i bambini “all’obbedienza cieca ed assoluta”. Un regime, quello fascista, “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che “ci consideravano un popolo inferiore”. Sergio Mattarella si spende il suo 25 aprile per una contundente lezione di storia che non lascia alcuno spazio ai revisionismi. Il presidente della repubblica ha scelto la cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un “gravissimo crimine di guerra”.

Mentre le piazze italiane ospitavano tra le tensioni una serie di manifestazioni nelle quali il ricordo del nazifascismo si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il capo dello Stato almanaccava gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della repubblica di Salò, “il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler”. Una serie potente di ricordi e citazioni per chiudere la porta, evidentemente Mattarella ne sentiva la necessità anche in questo turbolento 2024, a quei venticelli che soffiano distinguo e giustificazioni da e verso i palazzi della politica, quasi a voler mettere sullo stesso piano chi combattè per la libertà e chi quella libertà l’aveva svenduta ai nazisti. Un discorso tutto teso quindi alla “memoria” senza la quale, ha sottolineato, “non c’è futuro”.

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della “liberazione” che non è una festa della “libertà” genericamente intesa. C’è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti. “L’antifascismo” dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. La costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola “antifascista”, peraltro “fondanti” della stessa Costituzione. “Intorno all’antifascismo – ha spiegato il presidente – è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico”.

Se l’anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto ed altamente simbolica, “ora e sempre Resistenza!”, dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del “riscatto morale” che rimise in piedi l’Italia: “L’8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell’imposizione. La fraternità, al posto dell’odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L’umanità, al posto della brutalità.

La giustizia, al posto dell’arbitrio. La speranza, al posto della paura”. Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l’uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell’omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perchè già allora il fascismo svelò “i suoi veri tratti brutali e disumani”.

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