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Politica

Via libera ad alta tensione della Camera alla manovra

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La manovra passa alla Camera con la fiducia: 221 voti a favore e 152 contro. E dopo il via libera notturno approda in Senato per un iter blindato. “È come gli aerei, quando c’è un po’ di turbolenza, l’importante è atterrare”. Le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti raccontano il volo della legge di bilancio, tormentato da imprevisti anche prima di toccare terra. L’emendamento per inserire la Carta cultura giovani nei giorni scorsi aveva di fatto escluso i fondi per l’acquisto di Villa Verdi da parte dello Stato, per la cui salvezza un mese fa si era impegnato il ministro Gennaro Sangiuliano. Un errore, una svista, un ripensamento, non è chiaro. Fatto sta che il governo, a ridosso della maratona notturna in Aula, ha inserito la residenza che fu del compositore fra le esigenze indifferibili: così sono stati spostati 20 milioni di euro dal fondo del ministero dell’Economia a quello della Cultura, modificando una delle tabelle allegate al provvedimento da 35 miliardi di euro complessivi.

“Una forzatura”, protestano le opposizioni, anche perché su Villa Verdi “era già stato discusso un emendamento in commissione”. È l’ultima di varie retromarce e correzioni in corsa. Come per il refuso che eliminava il tetto al contante assieme alla norma sul Pos. O l’emendamento da quasi mezzo miliardo per i Comuni, senza copertura, che dopo i rilievi della Ragioneria di Stato ha costretto a un passaggio supplementare in commissione Bilancio per lo stralcio. “Nelle due notti in commissione non c’era nessuno dei funzionari del Mef e della Ragioneria – la versione del deputato di FdI, Federico Mollicone -: dovevamo mandare delle mail con risposte che arrivavano la mattina dopo. C’è stato un caos amministrativo e non politico”.

Accuse respinte al mittente. I tecnici, taglia corto Giorgetti, “hanno lavorato tanto, sono tutti stanchi”. L’ultimo pomeriggio lo hanno trascorso sulle ultime due modifiche prima di andare in Aula. Oltre a quella per Villa Verdi, anche una che stanzia 400mila euro (sempre risorse dell’esecutivo) per contrastare la peste suina in Piemonte, su cui in commissione non si era trovato l’accordo politico per usare il fondo parlamentare. La svolta, raccontano le opposizioni, è arrivata per il pressing di Lega e FdI, ed è stata tradotta in due emendamenti del governo alle tabelle, da approvare in Aula dopo la votazione sulla fiducia, che invece si mette solo sul testo della legge. Il dibattito finale è stato solo la sintesi di una settimana di tensioni fra maggioranza e opposizioni. Non solo sulle misure, dalla stretta al Reddito di cittadinanza (da cui non scompare l’offerta congrua, perché l’emendamento ad hoc non è stato ben calibrato) alla norma sulla caccia in città, che Avs vuole impugnare in Europa. Ma anche sui metodi: il Pd ha occupato la presidenza della commissione alla prima seduta disertata dalla maggioranza, il Terzo polo ha abbandonato i lavori nella fase finale, e il M5s ha protestato ieri con un presidio in Aula a fine lavori. Giorgia Meloni ritiene ampiamente superato il primo esame.

“È una manovra in un momento difficile, non fa miracoli ma aiuta tante persone”, nota il vicepremier Matteo Salvini. “FI – sottolinea il capogruppo Alessandro Cattaneo – ha dato un contributo decisivo”, ad esempio su pensioni minime e decontribuzione fino a 8mila euro per i giovani assunti stabilmente. Il voto contrario del Pd è accompagnato dalla convinzione che “non sia una manovra coraggiosa ma vigliacca”. Per il leader M5s Giuseppe Conte lo slogan della maggioranza “conteneva un errore: non ‘siamo pronti’ ma ‘siamo proni'”. Avs, stigmatizzando le “12 sanatorie”, promette il ricorso all’Ue contro la norma sulla caccia, denunciando l’ordine del giorno con cui la Lega chiede di “declassare il lupo da specie protetta”. E dal Terzo polo Luigi Marattin parla di “un livello di approssimazione e incapacità mai visto”. In alcune manovre del passato, si fa notare nella maggioranza, ci sono stati più stralci e correzioni chiesti dalla Ragioneria, ed è in linea con i precedenti anche la prima approvazione alla vigilia di Natale. Il Senato dovrà completare la seconda prima di capodanno.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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