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Politica

Veto di Conte nelle regioni: il campo largo non c’è più

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Le parole definitive le ha pronunciate Giuseppe Conte davanti alle telecamere di Rai Uno: “Il campo largo non esiste più, lo certifichiamo stasera”. Il sigillo sulla separazione è arrivato con la decisione, anche quella annunciata in Tv, di non far correre il M5s insieme a Iv nemmeno in Emilia Romagna e in Umbria. La risposta del Pd l’ha data il capogruppo al Senato, Francesco Boccia: “Se non vogliamo lasciare la destra e Meloni a Palazzo Chigi sine die, è evidente che bisogna rafforzare l’alternativa, che dobbiamo costruire dando risposte ai problemi delle persone”.

Il deputato Marco Furfaro è stato anche più netto: “Quando Conte dice che non voterà col Pd io mi rattristo, ma Giorgia Meloni festeggia. Non si può decidere in un salotto di Porta a Porta se si fa l’alleanza in una regione”. Per Schlein, che da sempre punta a una coalizione la più larga possibile, si annunciano tempi difficilissimi. Le elezioni politiche sono lontane e, nei prossimi mesi, le carte in tavola cambieranno mille volte.

Ma adesso Conte è fermo: “Renzi è una bomba esplosiva a orologeria. Come facciamo a presentarci con Renzi per quello che rappresenta? Come si fa a fare una campagna elettorale e dire noi governeremo il paese per i prossimi 5 anni? E’ un problema politico forte, non di veti personali, per rendere credibile il progetto di alternativa”. Poi una concessione, ma a tempo debito: col Pd “abbiamo un percorso da fare – ha detto Conte – tantissimi chiarimenti da fare”, per allearci oggi “non siamo pronti. Questo non significa che non riconosciamo i passi concreti compiuti”.

Conte ha puntato a testa bassa su Schlein: “Ci siamo ritrovati con Renzi in mezzo al campo senza venirne informati, ma all’esito di una partita di calcio e col Pd che ha detto: Non fate polemiche e non ponete veti. Ma il problema è politico e serio”. E ancora: “E’ chiaro che nel momento in cui il M5s dice che si è aperta una ferita e la risposta di Schlein è ‘Io non faccio polemiche’ c’è qualcosa che non va”. La partita ligure ormai è chiusa, perché le liste sono già state depositate. Ma quelle dell’Umbria e dell’Emila Romagna sono apertissime: il voto ci sarà il 17 e 18 novembre, quindi le trattative andranno avanti fino alla fine del mese.

E se in Liguria Iv ha fatto un passo indietro, in Emilia Romagna non ha intenzione di concedere il bis: “Alle regionali ci presenteremo a fianco” del candidato di centrosinistra “De Pascale – ha detto Matteo Renzi – con i nostri candidati e con il nostro simbolo, come già concordato”. Schlein dovrà quindi provare a trovare un compromesso fra il M5s che non vuole Iv e Iv che non intende andarsene. Lo strappo di Conte è piombato inaspettato in Transatlantico come sui livelli locali delle coalizioni visto che, dopo i fatti della Liguria, il M5s aveva fatto filtrare rassicurazioni sulla tenuta degli accordi in corso in Emilia Romagna e in Umbria. L’improvvisa uscita del presidente M5s ha fatto saltare il campo largo ovunque sia in costruzione in questo momento.

Una mossa che non ha convinto nemmeno Avs, l’altro partito della coalizione da sempre ostile alla convivenza con i renziani. I verderossi invitano al buonsenso e a valutare quanto sia diverso il quadro: in Emilia Romagna il percorso che ha portato all’alleanza è stato lungo e meditato e là Iv non deve scontare “la colpa”, che invece ha in Liguria, di essere stata alleata con l’attuale candidato di centrodestra alla guida della Regione, Marco Bucci. Avs, semmai, fa questioni in Toscana, dove non dà per scontata la conferma del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd.

Più sfumata la situazione in Umbria: “Italia Viva non fa parte del Patto Avanti e non si presenterà alle elezioni con il proprio simbolo, ha esclusivamente manifestato il proprio sostegno alla candidata presidente Stefania Proietti”, ha ricordato il coordinatore regionale M5s, Thomas De Luca. Ma anche in Liguria la situazione era analoga. E proprio da lì è partita la caduta libera del campo largo.

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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Industriali bocciano il dl bollette, irritazione Palazzo Chigi

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“Forte preoccupazione e contrarietà per l’assenza di misure concrete a sostegno del cuore produttivo del Paese”. Confindustria è dura commentando il varo del Decreto Bollette e avverte: “Si è persa un’altra occasione”, sul fronte dei costi dell’energia “è una situazione insostenibile per le imprese italiane. Occorre agire con urgenza”. Altrettanto netta è “l’irritazione” della presidenza del Consiglio per le dichiarazioni degli industriali: “Il provvedimento – rilevano fonti di Palazzo Chigi – era stato “ampiamente discusso” con tutte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, “stupisce quindi che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva da parte del Senato”. La stessa premier Giorgia Meloni, sui social, prima della nota di Confindustria, commentato l’approvazione definitiva del provvedimento mercoledì sera in Senato aveva sottolineato come “il governo mette in campo misure concrete per sostenere famiglie e imprese di fronte al caro energia. Lo facciamo attraverso un investimento di circa 3 miliardi, destinato ad alleggerire le bollette, promuovere l’efficienza energetica, tutelare i più vulnerabili e chi produce”.

“Non ci fermeremo qui”, ha sottolineato la presidente del Consiglio: “Continueremo a lavorare con serietà e determinazione per contrastare il caro energia e aiutare chi ha bisogno”. Si accende anche lo scontro politico: “Se Meloni non ha tempo di girare e ascoltare il Paese, legga bene cosa pensano le aziende di questo suo decretino bollette dopo 25 mesi di crollo della produzione e aumenti vertiginosi dell’energia”, attacca il leader M5s Giuseppe Conte: “È davvero surreale leggere che una Presidente del Consiglio esulti per un misero e tardivo decreto-bollette”, “un provvedimento che lascia soli milioni di italiani e tantissime imprese”. Quanto al confronto con le parti sociali, “Confindustria – sottolineano gli industriali – aveva avanzato proposte di modifica a costo zero, finalizzate ad avviare un primo, reale e strutturale alleggerimento del peso delle bollette energetiche per le imprese. Tuttavia tra emendamenti dichiarati inammissibili, inviti al ritiro e l’assenza di pareri da parte dei ministeri competenti, si è persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace”.

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