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Politica

Verdi dicono sì al Pd, ma resta tensione con Calenda

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La parola definitiva sull’accordo nel centrosinistra arrivera’ nelle prossime ore. Ma le posizioni dei vari attori restano lontane. Almeno all’apparenza. Fra Carlo Calenda (Azione) e la coppia formata da Nicola Fratoianni (Si) e Angelo Bonelli (Verdi) volano parole grosse. Intanto, in silenzio, il segretario Pd Enrico Letta continua nella sua opera di mediazione, di paziente tessitura. Il lavoro non appare facile. Nel pomeriggio incontra Calenda e Della Vedova (Piu’ Europa). “Noi continuiamo a lavorare per una coalizione piu’ larga e plurale – fanno sapere dal Nazareno – Vogliamo confermare l’accordo con Azione e Piu’ Europa”. Poi, in serata, il segretario Pd sente Bonelli e Fratoianni: era previsto un incontro, ma poi viene rimandato: “L’intenzione – dicono al Pd – e’ chiudere entro domani tutto il quadro. Il tempo sta scadendo”. Intanto, arriva il primo via libera dei Verdi al patto col Pd: nelle prossime ore e’ attesa la decisione di Si, con un’indicazione dell’assemblea del partito. Al Nazareno sono fiduciosi: le “possibilita’ di intesa con Si e Verdi sono molto alte”. Piu’ complicato il clima con Calenda: il faccia a faccia dura quasi due ore, con anche momenti di tensione: “Siamo tutti in gioco – e’ il ragionamento del Nazareno – ma soprattutto e’ in gioco il futuro del Paese, facciamo tutti un passo indietro e non pensiamo alla nostra piccola mattonella. I sondaggi vanno bene, non bisogna vanificare le possibilita’ di rimonta per divisioni che non sono di sostanza”. Per tutta la giornata i social sono terreno di guerra. A dare il via e’ Fratoianni: “L’agenda Draghi? Non esiste. Povero Calenda, deve correre in cartoleria a comprarsene un’altra”. Calenda risponde: “A queste condizioni, per quanto ci concerne non c’e’ spazio per” Verdi e Sinistra italiana “nella coalizione”. Tanto che il deputato Pd Matteo Orfini butta la’ una battuta: “Serve un hacker che mandi in down Twitter, cosi’ riusciamo a completare la coalizione”. Pure Bruno Tabacci prova a calmare gli animi: “Mi permetto di suggerire a tutti coloro che non vogliono regalare il Paese alla destra di smetterla con critiche, fatwe e attacchi reciproci”. E anche Franceschini ci prova: “Carlo Calenda e Nicola Fratoianni fermatevi!”. Eppure, al di la’ delle parole grosse, finora ogni decisione ufficiale e’ andata nella direzione di un campo “plurale” che sfidi Fdi, Lega e FI (tenendo fuori M5s e Iv). Dopo l’intesa siglata nei giorni scorsi fra Pd e Azione con Piu’ Europa, in queste ore e’ arrivato il via libera dei Verdi: “L’unica alleanza che possa contrastare efficacemente la destra estrema in Italia – hanno scritto in un documento – e’ quella di un fronte democratico a partire dal Pd”. Anche la seconda parte del testo e’ significativa, e’ un no alle sirene di Giuseppe Conte: “Un’alleanza col M5s non e’ percorribile”, dicono i Verdi. Le due indicazioni peseranno sulla decisione che attende Sinistra italiana, apparsa in questi giorni piu’ aperta dei Verdi a un dialogo col M5s che, pero’, di fatto sancirebbe la fine di quello in corso col Pd. Come tenere tutti insieme? Letta sa che non puo’ e’ costruire una coalizione fra uguali e nemmeno fra simili, ma punta a un’alleanza elettorale. La soluzione tecnica la spiega il coordinatore dei sindaci Pd, Matteo Ricci: non un accordo che vada da Calenda a Fratoianni ma la somma di due accordi separati, quelli tra Pd e Azione e tra Pd e sinistra. I malumori non sono solo fra Azione-Vedi e Si. Ci sono anche quelli di Luigi Di Maio: Calenda “sta solo disgregando la coalizione prima ancora che si formi”. Con Tabacci, anche il ministro degli Esteri incontra Letta, per chiedergli che non ci siano “alleati di serie A e serie B”. Ma ci sono anche i maldipancia della Lista civica dell’ex sindaco di Parma, Federico Pizzarotti: il coordinatore della formazione, Piercamillo Falasca, annuncia l’addio al patto con i dem. Per Pizzarotti&C potrebbe aprirsi un dialogo con Matteo Renzi. Che intanto non abbandona il progetto di coinvolgere Calenda, nel caso in cui rompesse col Pd: “Noi siamo impegnati sul terzo polo – dice il leader di Iv – e chi ci da’ una mano e’ benvenuto”.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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