Una rissa, un uomo ucciso di botte e i due presunti autori del delitto, trovati in un’ascensore assieme al cadavere della vittima, arrestati in flagranza per omicidio volontario. È un giallo l’omicidio di Lorenzo Nardelli, 32 anni, avvenuto la notte scorsa a Mestre, in un condominio di Rampa Cavalcavia, nel difficile quartiere della Stazione. “Era un ladro, ce lo siamo trovato in casa”, si sono difesi i due arrestati, i cugini di origine moldava Radu e Marin Rasu, muratori di 32 e 35 anni. Un fatto di sangue sul quale stanno ancora lavorando la polizia e i magistrati della Procura lagunare che stanno verificando il racconto degli arrestati giudicato lacunoso.
Un tempo zona residenziale, quella di via Rampa Cavalcavia è diventata negli anni un’area di degrado, per spaccio e piccola criminalità, oggetto di retate settimanali delle forze dell’ordine, l’ultima qualche giorno fa. L’assassinio dell’uomo nell’ascensore non ha al momento una ricostruzione certa. Gli arrestati hanno sostenuto di aver sventato un tentativo di furto in casa. Avrebbero dato la caccia a tre malviventi che si erano trovati davanti: Due sono riusciti a fuggire, uno invece ha tentato di scappare prendendo l’ascensore dove è stato bloccato e malmenato. Fino a morire.
Il loro racconto ora dovrà passare al vaglio degli indizi e delle testimonianze dei vicini raccolte sul luogo dagli agenti della mobile. Perchè potrebbe anche essere, si ipotizza, che i tre si conoscessero, e quindi la colluttazione finita in omicidio, nasconderebbe una storia diversa da quella del furto. Questi gli elementi che al momento si conoscono: ieri notte, verso le 23.30, i condomini del palazzo sentono rumori e urla e chiamano la Polizia. Quando gli agenti giungono sul posto raccolgono testimonianze sul fatto che tre persone si sono picchiate furiosamente e sono rimaste prigioniere nell’ascensore bloccata all’altezza del terzo piano. Intervengono i vigili del fuoco che forzano le porte e si trovano davanti una scena agghiacciante
A terra c’è il corpo di Lorenzo Nardelli con una profonda ferita alla testa. Con lui, nella cabina ascensore, vi sono due giovani che abitano nel condominio. Indossano solo dei boxer, sono sporchi di sangue. Nell’ascensore non ci sono oggetti contundenti, dunque si presume che la ferita in testa alla vittima sia stata inferta prima di entrare nella cabina. I due vengono accompagnati in Questura, interrogati e poi arrestati. L’accusa è di omicidio volontario. Secondo i vicini da giorni in quell’abitazione si sentiva frastuono fino a tardi e musica ad alto volume, tanto che prima che la vicenda degenerasse in un omicidio qualcuno aveva già chiamato le forze dell’ordine, per chiedere dei controlli. Il difensore di fiducia dei due arrestati, Jacopo Trevisan, riferisce la versione data dai suoi assistiti:
“Dopo cena i cugini Rasu, tornando verso l’appartamento, sul pianerottolo, si sono accorti che qualche cosa non andava. La porta d’ingresso, un semplice portoncino in legno, non era come lo avevano lasciato. Sono entrati ed hanno visto due individui all’interno dell’abitazione mentre uno era proprio davanti a loro -racconta l’avvocato- Questi ha colpito uno dei due cugini al volto, spaccandogli un labbro. Gli altri due si sono dati alla fuga lungo le scale. Il terzo ha iniziato una colluttazione con i cugini per poi entrare nell’ascensore. Qui è stato raggiunto e, con le porte bloccate, è continuata la rissa a suon di botte”. Una versione al vaglio della Procura e della Polizia. Il condominio dov’è avvenuto il delitto è coperto dalle impalcature di un cantiere per un importante intervento di restauro. Ma la notte, nella parte di sottoportico, tra botteghe sfitte, negozi di cianfrusaglie e uffici, accade di tutto, sostengono i residenti: spaccio e consumo di droga, prostituzione e bivacchi. Nonostante i molti cartelli affissi dai condomini, che invitano i balordi ad andarsene.
Sono due i presepi vaticani 2023, uno in piazza San Pietro e l’altro in Aula Paolo VI. Le due natività, volute fortemente dallaDiocesi di Rieti e affidate per la realizzazione a Fondaco Italia, sono state pensate per celebrare gli ottocento anni dal primo presepe della storia, voluto nel 1223 da San Francesco d’Assisi a Greccio, nel reatino.
Nel 1223, preso dallo sconforto per le violenze e per lo spargimento di sangue che investiva Betlemme, travolta dalle crociate, il patrono d’Italia chiese al suo amico Giovanni Velita e sua moglie Alticama di portare una greppia (mangiatoia) un bue, un asino e di invitare tutta la popolazione di Greccio a radunarsi la sera del 24 dicembre. Da quel momento Greccio, come qualsiasi altro luogo dove viene realizzato il presepe, è diventato Betlemme.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato Enrico Bressan, presidente di Fondaco Italia – è soprattutto la tutela del patrimonio artistico italiano. L’idea delle natività vaticane nasce dal restauro del santuario di Greccio, l’eremo francescano in provincia di Rieti dove, nel 1223, ottocento anni fa, San Francesco inventò il presepe.
Oltre ad ispirarci al santo di Assisi, al quale è dedicato questo progetto, ci siamo rifatti a quella straordinaria comunità di intenti e abbiamo coinvolto una serie di realtà imprenditoriali ed eccellenze artistiche per realizzare i due presepi vaticani”.
“Siamo lieti di tornare a Roma – ha dichiarato Riccardo Bisazza, presidente di Orsoni Venezia 1888 – dove abbiamo già collaborato a un importante restauro della Basilica di San Pietro, e di ritrovare il Santo Padre che, nel 2018, inaugurò a Bucarest la nuova Cattedrale della Salvezza del Popolo per la quale siamo impegnati a realizzare le tessere di mosaico che un team di 70 mosaicisti sta utilizzando per la decorazione dell’interno della cattedrale ortodossa più grande al mondo.
Il presepe di San Francesco in Sala Nervi accompagnerà le prossime festività e sarà visto in tutto il mondo durante le dirette dal Vaticano; siamo orgogliosi di aver contribuito al progetto di Fondaco Italia con i mosaici veneziani che testimoniano un’eccellenza Made in Italy unica al mondo.”
Il presepe di piazza San Pietro, pensando alla prima natività vivente, è stato progettato come un’istallazione artistica che prende la forma di una scenografia teatrale. La realizzazione è stata possibile grazie al contributo di partner privati ed affidata agli esperti artigiani di Cinecittà che hanno interpretato il disegno dell’artista presepista Francesco Artese, i personaggi sono stati realizzati dal maestro artigiano presepiale Antonio Cantone di Napoli, coordinati dai curatori Enrico Bressan e Giovanna Zabotti di Fondaco Italia.
La struttura, collocata sopra una base a forma ottagonale, come richiamo all’ottocentenario, prende spunto dalla roccia del Santuario di Greccio ed è concepita come una quinta che, in un perpetuo dialogo armonico, viene abbracciata idealmente dal colonnato di Piazza San Pietro.
Davanti ad essa, collocata a terra, una vasca in cui scorre, simbolicamente, il fiume Velino, ovvero le acque che, oggi come allora, dalla Valle Santa reatina giungono a Roma.
La scena vede al centro l’affresco della grotta di Greccio (opera del 1409 attribuita al Maestro di Narni di scuola giottesca) davanti al quale un frate officia la messa in presenza di San Francesco con in braccio il Bambinello, la Madonna e San Giuseppe in adorazione a lato della greppia, dietro a cui giacciono il bue e l’asinello.
Ad assistere alla rappresentazione tre frati, Giovanni Velita e la moglie Alticama, ovvero gli amici che hanno aiutato San Francesco a dare vita alla sua “opera prima”. I personaggi, in terracotta dipinta e di grandezza naturale, sono stati realizzati realizzati da Cantone e Costabile di Napoli, mentre l’illuminazione è stata affidata alla lighiting designer Margherita Suss.
La natività musiva dell’Aula Paolo VI, invece, è stata resa possibile grazie al contributo di Orsoni Venezia 1888, l’unica fornace a fuoco vivo a Venezia, che utilizza le stesse tecniche oltre un secolo per produrre mosaici in foglia d’oro 24 carati, ori colorati e smalti in più di 3.500 colori, dai rossi imperiali ai blu Madonna fino ad una gamma che conta più di 120 toni differenti per i colori degli incarnati.
Orsoni ha realizzato le tessere per il presepe in Sala Nervi: oltre 30.000 tessere per 4,5 mq di smalti di cui il 5% di tessere in foglia d’oro 24 carati, trasformate in opera sacra dal Maestro mosaicista Alessandro Serena. La scena raffigura una natività classica con San Francesco inginocchiato, in segno di totale devozione, in povertà e semplicità, mentre Chiara è orante accanto a lui.
Segregata in casa, chiusa a chiave e impossibilitata ad uscire. Quando il marito era fuori, la giovane di Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino, incinta, sarebbe stata sorvegliata dalle cognate. “Non sai fare la donna di casa. Tu sei donna e devi solo stare a casa a pulire e cucinare” diceva il marito venticinquenne alla moglie di 19 anni. I giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, lo hanno condannato a tre anni e sei mesi di reclusione. L’uomo è stato riconosciuto colpevole di maltrattamenti e sequestro di persona. Difeso dall’avvocato Santo Lucia, l’imputato dovrà risarcire con 15mila euro la ragazza che si è costituita parte civile nel processo, con l’assistenza dell’avvocato Gianluca Sprio.
I fatti sono avvenuti tra febbraio e settembre del 2021, periodo in cui la giovane era in gravidanza. La ragazza sarebbe stata picchiata e offesa ripetutamente: “I tuoi genitori sono zingari, tu sei diventata ‘signora’ solo grazie a me”. Accuse e mortificazioni che il marito giustificava per la scarsa efficienza della moglie nei lavori domestici. Stando a quanto è emerso durante il processo, nel febbraio 2021, dopo avere fatto il test di gravidanza e scoperto di aspettare un bambino, la ragazza sarebbe stata picchiata per costringerla a non raccontare a nessuno che era incinta. E poi, ancor terrorizzata dall’uomo, anche attraverso messaggi whatsapp, che la minacciava di sottrarle la bambina qualora non avesse obbedito ai suoi ordini. La 19enne, a un certo punto, ha trovato il coraggio di denunciare vessazioni, offese, minacce, maltrattamenti e ha raccontato di essere stata segregata in casa
. Sempre a Palma di Montechiaro (per lo scrittore e giornalista Giuseppe Fava il destino di nascere da quelle parti si poteva spezzare “soltanto cercando altrove il modo la maniera di sopravvivere”), martedì scorso un quarantottenne ha aggredito e lanciato acido contro la moglie, rimasta ustionata alla guancia destra e alla spalla. La donna lo aveva denunciato e, da metà novembre, era ospite, assieme alla figlia nata da una precedente relazione, in una casa protetta. Martedì la cinquantenne ha commesso la leggerezza, senza dire niente né alla polizia né agli operatori della struttura, di recarsi nella casa coniugale per prendere dei vestiti, avvisando il marito in anticipo, con il quale ha avuto un nuovo, ennesimo litigio con conseguenze drammatiche.
Un marito che prende per il collo la moglie, dopo averla spinta verso il muro, deve rispondere di tentato omicidio e non soltanto di maltrattamenti o lesioni, anche se non ci sono ferite. Lo afferma la Corte di Cassazione che ha confermato la condanna a dieci anni per un uomo che, pur avendo ammesso di avere usato violenza sulla donna, aveva impugnato la sentenza di secondo grado tentando di dimostrare di non avere mai provato a ucciderla. Per i giudici però a contare sono i “potenziali effetti dell’azione”. E’ quanto scrive questa mattina il Messaggero.
La Corte ha respinto la difesa dell’uomo: “La scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa – scrivono i giudici – non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo”. Fu infatti il figlio minore della coppia a intervenire interrompendo l’aggressione.
L’aggressione si era consumata in provincia di Brescia. La donna aveva chiesto l’intervento dei carabinieri, accusando il marito di avere tentato di strangolarla. Durante le indagini, le dichiarazioni della vittima erano state confermate dal figlio. L’uomo l’aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza.