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Ultimatum di Berlusconi a Salvini: lascia il Governo, torna nel centrodestra. La Meloni: impossibile tornare assieme

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Ve lo ricordate il centrodestra unito, compatto, tetragono che vince le elezioni del 4 marzo ma non ha i numeri per governare? E vi ricordate che il M5S ha fatto l’esecutivo con i suoi voti (primo partito in Italia con oltre il 32 %) e con quelli della Lega? Eh sì, l’azionista di maggioranza del centrodestra, Matteo Salvini, ha lasciato Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni per andare al governo. Questi sono i fatti. Poi ognuno ci può ricamare sopra. Silvio Berlusconi, ad esempio, convinto che il centrodestra esista ancora, per evitare che la scappatella coi grillini a palazzo Chigi si trasformi in qualcosa di più stabile, decretando la fine di un matrimonio che dura da 24 anni, sta provando a convincere Matteo Salvini a tornare a casa. Una casa che non c’è, è andata in macerie, forse è impossibile da ricostruire. Secondo Giorgia Meloni “in futuro sarà difficile che ci sia lo schieramento politico del centrodestra”. Ora, restando sempre ai fatti, senza ricamare, di quello che fu il centrodestra, dei tre leader che lo componevano, c’è Salvini che fa il ministro nel Governo in cui ha un potere enorme e cavalca la questione migranti che stanno facendo crescere i consensi della Lega, la signora Meloni che è nel guado  ovvero un po’ con Salvini e un po’ contro Di Maio, c’è Berlusconi invece che non si dà per vinto. E intende sventare le manovre portate avanti dai colonnelli leghisti per smarcarsi dagli azzurri, specie nelle regioni prossime al voto: in Alto Adige, dove il 21 ottobre il Carroccio è tentato di correre da solo per certificare la sua forza d’attrazione rispetto agli alleati; poi anche in Abruzzo e Basilicata, dove addirittura si fa largo l’ipotesi di sperimentare il bis del contratto gialloverde su scala locale. Un patto che manderebbe definitivamente in frantumi la coalizione.

Centrodestra. L’alleanza politica è definitivamente morta

E allora l’ex Cavaliere attacca il governo Conte, dice che “durerà fino a quando Salvini non si renderà conto che permettere a Di Maio di massacrare l’ Italia produttiva non è dannoso solo per il Paese, ma anche elettoralmente disastroso per la Lega e i leghisti”. Lo dice dalle colonne del Giornale di famiglia. Una intervista accorata in cui spara a zero sulle politiche e i programmi dell’Esecutivo Salvini-Di Maio. Fa a pezzi il decreto dignità che è “letale per chi lavora e chi crea lavoro”; bolla come follia “il taglio delle pensioni”; sulla chiusura festiva dei negozi, dice che «è un’altra misura dirigista “ . Un richiamo ai principi e ai valori del centrodestra perduto, da ritrovare prima che sia tardi.

Salvini incassa, ma non sembra interessato. A chi gli chiede di commentare le parole di Berlusconi, il leader leghista dice “interessanti”. Ma lo dice sorridendo di gusto. Antonio Tajani, vice di Berlusconi, intervistato da Avvenire s dice convinto che “il governo non durerà più di un anno” e che è bene che “la Lega rifletta, torni indietro, non sia complice di un partito che fa male al Paese, non condivida un progetto pericoloso”. Anche perché “l’asse FI-Lega può avere ancora un valore strategico. Noi non abbiamo cambiato idea, ma tocca a Salvini fare marcia indietro e tornare a casa. E deve farlo in tempi stretti” avverte Tajani. “L’alleanza di centrodestra si fonda su un patto di lealtà” spiega il portavoce dei parlamentari azzurri Giorgio Mulè. “A livello nazionale Berlusconi ha dato via libera alla formazione del governo gialloverde, ma in tutte le giunte comunali e regionali la Lega sta con Fi e con Fi si è presentata alle amministrative. Il giorno in cui dovesse optare per un cartello elettorale coi grillini, cambierebbe tutto il film, anche a livello locale”.

Il primo banco di prova potrebbe arrivare già oggi, allo scadere del termine per depositare la lista dei candidati per Vigilanza e Copasir.

L’ accordone tra maggioranza e minoranza prevede che la guida della Bicamerale Rai vada al forzista Gasparri. Il M5S però non ne vuol sapere e la Lega potrebbe accontentarlo. Tirando la volata all’azzurro Alberto Barachini.

 

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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