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Nella Torre di Babele del Pd il gruppo dirigente si divide su tutto e Renzi continua a comandare

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La domanda è: questo Pd in Parlamento è all’opposizione? Bene, di chi, di che cosa, con quale programma? O meglio se il Governo vara il Decreto Dignità, non può il gruppo dirigente schierarsi in parte a favore e in parte contro, addirittura argomentando contrarietà e sostegno. Sulla questione migranti, stessa cosa. La gente, gli italiani, gli iscritti al Pd, percepiscono questa liquidità, questa anarchia del gruppo dirigente. Nel Pd chiacchierano in molti eppure il partito appare immobile. L’opposizione al governo giallo-verde, inesistente. Eccetto per qualche battuta, a volte anche divertente, di Matteo Renzi su Twitter. Poi il dibattito politico Dem di svolge tutto all’interno del gruppo dirigente. Spesso volano anche gli stracci tra Calenda, Emiliano, Boccia, Martina e compagnia cantando. Il neosegretario Martina fresco di elezione, con un nuovo gruppo dirigente (nuovo è un eufemismo) non ce la farà mai a reggere gli stop and go di Renzi, non arriverà mai al congresso tenendo tranquille tutte le correnti. L’attuale gruppo dirigente non ha una investiture dal basso e rispetto a quello votato, che pure non aveva vita facile, litiga di più e con maggiore virulenza spesso sul nulla.  Carlo Calenda insulta Francesco Boccia su qualunque cosa. Sull’Ilva di Taranto Emiliano mostra più rispetto e attenzione per Di Maio che per il lavoro fatto da Calenda quand’era ministro. Luca Lotti si dice disturbato dalla presenza di Gianni Cuperlo in esecutivo. Michele Emiliano ritira Boccia perché le garanzie non sono sufficienti. Marianna Madia alla Comunicazione è una scelta che pochi l’hanno capita e digerita. C’è chi evoca il suicidio (Martina ha fatto harakiri), e chi parla di partito in macerie.  Martina è in balia delle correnti, incassa polemiche e reprimende a destra e manca. E non riesce a dire altro che: “Io credo nell’unità e nell’apertura. Testardamente. Servono tenacia e umiltà”. Tutto quello che è mancato dalla sconfitta del Referendum Costituzionale del 6 dicembre del 2016, passando per le batoste alle amministrative e alle politiche del 4 marzo 2018. Mai fatto un mimino di analisi. C’è un partito fermo, nel deserto, che si scanna in una Torre di Babele. Che cosa riserva il futuro? Due possibili candidati alle primarie, che forse si faranno a febbraio del 2019. Sono due presidenti di Regione, uomini di partito, che si sono misurati con il consenso ed hanno vinto elezioni.  Il primo è Nicola Zingaretti (vuole esserci), contro dovrebbe schierarsi Stefano Bonaccini (incerto). Entrambi  sono d’accordo su una cosa:”Facciamo subito il congresso per cambiare tutto e voltare pagina o del Pd non resterà più niente”, scrive il governatore del Lazio sui social.

Torre di Babele Pd. Gruppo dirigente litigioso ed elettori in fuga

Il presidente dell’Emilia Romagna, possibile sfidante, lo dice in altro modo, ma la sostanza è la stessa: «Sbrighiamoci o saremo condannati all’ irrilevanza». Forse quel “saremo” non è il verbo giusto. Ma chi ha ridotto il Pd all’irrilevanza, all’immobilismo? Chi l’ha cacciato in questo pantano? Matteo Renzi è l’indiziato principale. In effetti in questa situazione lui ha il controllo sul gruppo dirigente del partito che lo ha eletto segretario appena un anno fa. Se cambia tutto, perde presa sul partito. E se si va al congresso non è detto che vincerà. L’ altro ieri è stata rinviata l’ assemblea dei dem in Toscana perché i renziani non volevano scegliere tra un reggente e il congresso subito. Meglio non toccare nulla, dal loro punto di vista. Una soluzione lucida per risolvere in parte il problema l’ha offerta Luigi Zanda, politico accordo, esperto: “Renzi va battuto nel congresso”. Cioè con il voto dei militanti. Le manovre di potere sono inutili. La pensano così anche Dario Franceschini e Paolo Gentiloni. Insomma per ora tuto fermo. C’è qualcuno che va via, non c’è solo la fuga degli elettori. Sergio Chiamparino, ad esempio, dice: «Mi ricandido in Piemonte solo sotto il simbolo di un rassemblement, non del Pd». I vertici dem della Basilicata hanno iniziato un giro di ricognizione per la candidatura in regione dopo l’arresto del governatore Pittella. Ai sondati spiegano: «Abbiamo deciso che il candidato dev’essere un civico, uno che non ha mai avuto la tessera del Pd». In Sicilia, alle ultime amministrative, molti aspiranti primi cittadini hanno preferito nascondere le loro origini. A Bisceglie ha vinto un sindaco del Pd che aveva rotto con il Pd tempo fa e ha corso con una lista civica. E il neoiscritto Calenda, dopo aver discusso con Andrea Orlando su Twitter e aver aggiunto altri tre-quattro nomi alla sua segreteria collettiva, scrive ai follower: «Non mi occupo del Pd». 

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Campo largo sfumato a Taranto, Conte contro Emiliano

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“Ricordate il Cantiere Taranto? Abbiamo stanziato un miliardo e duecento milioni anche per far diventare Taranto sempre più centrale nel Mediterraneo e abbiamo fatto di tutto per realizzare questi progetti. Ora c’è Giorgia Meloni al governo e vediamo le cose come vanno”. Ultimi appelli per Taranto dal leader del M5s Giuseppe Conte, oggi in Puglia per sostenere i candidati pentastellati in vista delle amministrative del 25 e 26 maggio. Nel capoluogo ionico è sfumato, almeno per il momento, il campo largo. Il centrosinistra ha puntato su Piero Bitetti, esponente di Con ed ex presidente del Consiglio comunale. I pentastellati pretendevano discontinuità. L’accordo non c’è stato e il M5s ha dunque deciso di presentare un proprio candidato, anzi una candidata, la giornalista Annagrazia Angolano, unica donna in corsa in questa competizione. In tutto sono sei i candidati sindaco. Giuseppe Conte è stato prima a Triggiano (Bari), poi a Massafra e infine a Taranto, dove si gioca una sfida simbolica.

Il leader pentastellato ha scelto parole nette, rivendicando il lavoro del suo governo e attaccando frontalmente il centrodestra, ma anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. “Noi con il nostro governo abbiamo migliorato le condizioni a favore della collettività di Taranto”, ha dichiarato Conte, puntando il dito contro l’attuale esecutivo. “Il disastro finanziario e industriale firmato Meloni-Urso è sotto gli occhi di tutti. Sono stati buttati 1,5 miliardi di soldi pubblici – ha puntualizzato – per rilanciare gli altiforni, ma la produzione è quasi ferma. E sono stati sottratti 400 milioni dalle bonifiche, che non si faranno più”. Per il leader del M5s serve una “nazionalizzazione dello stabilimento e un accordo di programma che garantisca occupazione e sviluppo sostenibile. Piuttosto che togliere le risorse, incrementare quelle per le bonifiche. Dobbiamo assolutamente utilizzare i soldi del Pnrr”. Conte è tornato anche su un altro cavallo di battaglia: “L’anno scorso – ha rammentato – chiesi un Patto per la legalità in Puglia. Noi non cerchiamo poltrone, ma un cambio di passo su un tema imprescindibile”.

Sul governatore Michele Emiliano ha detto: “Non l’ho mai attaccato ma è stato lui a colpire noi, forse perché ci ritiene scomodi. Ci ha attribuito falsità sull’Ilva e su scelte che risalgono a prima del nostro governo. Forse ha paura della nostra asticella alta”. E ha aggiunto: “Dopo tanti anni al potere, il rischio è che ci si adagi. Ma la politica è confronto, non attacchi a freddo”. A stretto giro la replica del governatore pugliese: “Nessun attacco a Conte da parte mia. Per evitare che si creino incomprensioni da botta e risposta a distanza, meglio parlarsi direttamente”, ha detto Emiliano. La chiusura dell’intervento di Conte è sul voto amministrativo a Taranto: “non corriamo da soli, corriamo con i cittadini”.

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De Luca, trasporti e… monumenti: “Nel Pd per fare carriera bisogna essere imbecilli”

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Altro che venerdì di relax: in Campania il fine settimana inizia col botto, versione social. A premere il grilletto verbale è, come da tradizione consolidata, Vincenzo De Luca, che nella sua diretta Facebook settimanale ha deciso di riscrivere le regole della comunicazione istituzionale: tra mistificazione, miracoli e monumenti immaginari.

Questa volta nel mirino del governatore — ormai più performer che presidente — è finito uno dei suoi bersagli preferiti: il Partito democratico, suo ex amore tossico. E l’argomento, nemmeno a dirlo, è quello dei trasporti.

“Dovrebbero fare un monumento alla Regione Campania per quello che ha fatto in questi anni”.

Un monumento? Forse in ghisa, posizionato tra due treni della Circum in ritardo, con il volto di De Luca scolpito in espressione accigliata, a sgridare i pendolari che osano lamentarsi. Ma attenzione: la statua non deve essere inaugurata da esponenti del Pd, perché — parola di governatore — “nel Pd per fare carriera bisogna essere imbecilli”. Una frase che neanche Totò avrebbe osato scrivere in una sceneggiatura.

L’attacco, come sempre, ha un suo stile: sarcastico, apocalittico, autocompiaciuto. Ma anche molto lucido nel bersagliare “i politicanti di Roma” che, a suo dire, si dividono le regioni come le fette di un panettone di pessima qualità:

“Una Regione a me, una a te, senza pensare alle famiglie e alle imprese”.

Nel frattempo, in Campania — annuncia il presidente — il trasporto pubblico sarebbe “eccellente nel 90% dei casi”. Il restante 10%, ovvero la famigerata Circumvesuviana, viene elegantemente definita ‘una criticità’, come se fosse solo una leggera sbucciatura su un’opera d’arte.

E per chi osa criticare, De Luca ha una domanda semplice e diretta:

“Tu che cosa proponi? Il nulla.”

Il nulla, appunto. Come le coincidenze a Porta Nolana.

Alla fine del sermone settimanale, resta un messaggio chiaro: se vi capita di parlare con uno che osa dire che i treni in Campania non funzionano, fategli presente che ha appena offeso un miracolo. E ricordate: se siete nel Pd e non siete imbecilli, forse state sbagliando partito.

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De Luca strizza l’occhio al terzo polo e sfida il centrosinistra: «Non torniamo alla palude burocratica»

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Un invito deciso, quasi un monito, quello lanciato da Vincenzo De Luca ieri a Città della Scienza, dove si è svolto “Industria Felix”, evento che premia le eccellenze imprenditoriali. Davanti a una platea di imprese, il governatore campano ha messo sul tavolo i primi segnali di uno smarcamento dal centrosinistra, aprendo di fatto il cantiere di un terzo polo regionale in vista delle elezioni.

L’appello agli imprenditori

«Faremo di tutto per impedire che la Campania torni a essere una palude burocratica. E vi chiediamo di accompagnarci in questa battaglia», ha dichiarato De Luca, invocando il sostegno del tessuto produttivo campano per una nuova sfida politica che potrebbe vederlo ancora protagonista, seppure in vesti diverse. In campo, infatti, potrebbero scendere l’assessore Lucia Fortini, data in pole per la candidatura a presidente, o in alternativa il vicepresidente Fulvio Bonavitacola. Lui, invece, potrebbe ricoprire il ruolo di capolista-consigliere.

Frecciate a Roma e al suo partito

Nel suo intervento, De Luca non ha risparmiato critiche alla politica nazionale, attaccando frontalmente la logica romana secondo cui «le Regioni sono merce di scambio» e criticando la cultura dell’apparenza: «In Italia se portate risultati siete condannati a morte. Funziona di più se sei ciuccio e fai pubbliche relazioni». E ancora, sulla scelta di restare in campo: «Mi converrebbe fare una vita tranquilla, come tanti miei colleghi che fanno solo cerimonie. Ma non riesco».

Dubbi sui referendum e sul salario minimo

Sul piano politico, De Luca si è espresso anche sui referendum promossi dal centrosinistra, annunciando che andrà a votare, ma esprimendo perplessità su alcuni quesiti, in particolare quello sulla sicurezza sul lavoro. E lancia un affondo anche sul salario minimo — misura simbolo del Pd targato Schlein — definendolo un «boomerang»: «I contratti collettivi hanno un costo del lavoro ben superiore ai 9 euro. Così si rischia di far saltare l’apprendistato».

Forza Italia scalda i motori per Napoli 2027

Intanto, sul fronte del centrodestra, Forza Italia lancia la sfida per le comunali del 2027 a Napoli. Ieri pomeriggio, nel corso di una riunione con le 10 municipalità, sono state presentate le mozioni programmatiche da parte dei candidati alla segreteria cittadina. A guidare i lavori Francesco Battistoni, responsabile nazionale dell’organizzazione, con gli interventi del coordinatore regionale Fulvio Martusciello, del vice Gianfranco Librandi e del sottosegretario Tullio Ferrante.

«Serve restituire a Napoli un governo di centrodestra», ha dichiarato Librandi. E Battistoni ha aggiunto: «Programmare oggi la campagna per le Comunali del 2027 dimostra che stiamo facendo un grande lavoro». Una dichiarazione d’intenti, che fotografa un quadro politico in fermento su entrambi i fronti.

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