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Tv, morto a 66 anni Paolo Beldì: regista di ‘Quelli che il calcio’

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Il mondo della tv italiana piange Paolo Beldì, uno dei più importanti registi di programmi televisivi Rai e Fininvest, tra i quali trasmissioni di punta della tv pubblica come ‘Quelli che il calcio’, ‘Anima mia’ e tre edizioni del Festival di Sanremo. Beldì è morto nella sua casa vicino Stresa, avrebbe compiuto 67 anni tra pochi giorni. Il regista è stato trovato morto dai soccorritori, allertati da alcuni amici che lo aspettavano, ieri sera, per vedere insieme la partita Italia-Belgio e non vedendolo arrivare, e accorgendosi che non rispondeva al telefono, si sono preoccupati. La causa più probabile è un arresto cardiaco.In tanti oggi lo ricordano con commozione. “Quanti ricordi e quanta tristezza”, twitta Fabio Fazio, che con Beldì ha creato un lunghissimo sodalizio artistico. “Quando sono arrivata a ‘Quelli che il calcio’ nel 2001 ho pensato che, per mia fortuna, tu fossi rimasto. Sei stato guida preziosa, uno dei pochi registi che ha creato uno stile, una cifra tutta sua. Non ti dimenticherò mai”, commenta Simona Ventura, mentre Nicola Savino ricorda: “Quante risate insieme! Mi hai accompagnato per mano nel mondo ‘delle telecamere’ con allegria e discrezione. Sarai per sempre un maestro”. Il direttore di RaiNews24, Andrea Vianello, gli dà l’addio su Twitter: “Se ne va un grande regista della tv, un creatore di idee, un funambolo della telecamera e un artista dietro le quinte. In più una persona perbene e, per me, un amico affettuoso. Paolo Beldì, divertiti anche lassù e inquadraci tutti dall’alto (anche senza piedi)”.Negli anni Ottanta Beldì fu uno dei più attivi registi della neonata Fininvest, sia per programmi sportivi sia di intrattenimento, come ad esempio ‘Mai dire Banzai’ e ‘Mai dire mundial’. Nello stesso periodo firmò come autore le musiche originali di ‘Drive in’ per quattro anni con Roberto Negri. Deve il suo esordio nel varietà ad Antonio Ricci, che lo chiamò a dirigere prima Lupo solitario e dopo Matrjoska.In seguito passò alla Rai, dove dal 1990 è stato il regista di ‘Mi manda Lubrano’ e di altre trasmissioni, firmando ‘Svalutation’ con Adriano Celentano e ‘Su la testa’ di Gino e Michele con Paolo Rossi. Con ‘Diritto di replica’ insieme a Fabio Fazio e Sandro Paternostro si fece notare per l’indugio sui dettagli, scarpe comprese. Dal 1993 al 2009 è stato l’ideatore e regista di ‘Quelli che il calcio’, prima condotto da Fazio e in seguito da Simona Ventura. Sempre nel 1997 diresse ‘Anima mia’, trasmissione musicale di Fabio Fazio e Claudio Baglioni. Nel 1998 scrisse e diresse ‘Qualcuno mi può giudicare’ sulla biografia di Caterina Caselli. Nel 1998 è stato il regista di ‘Cocco di mamma’, su Rai1. Nel 1999 affianca di nuovo Celentano con ‘Francamente me ne infischio’ ed ancora nel 2005 con ‘Rockpolitik’ e nel 2007 con ‘La situazione di mia sorella non è buona’.Beldì ha avuto l’incarico di curare la regia anche per tre edizioni del Festival di Sanremo: nel 1999 (Fabio Fazio), nel 2000 (ancora Fazio) e nel 2006 (Giorgio Panariello). Per Raidue diresse anche Gene Gnocchi ne ‘La grande notte del lunedì sera’ e Artù. Con Cochi e Renato invece ‘Stiamo lavorando per noi’, con ospiti Enzo Jannacci e Renzo Arbore. Nel novembre 2009 è stato il regista di ‘Grazie a tutti’, show in onda per quattro domeniche in prima serata su Rai 1, condotto da Gianni Morandi.Nel 2010 diresse in marzo lo show di Gigi D’Alessio su Rai 1 dal titolo ‘Gigi questo sono io’ e poi dal 27 aprile, sempre su Rai 1, ‘Voglia d’aria fresca’ con Carlo Conti.Nel 2011 tornò a curare la regia della trasmissione ‘Quelli che il calcio’ condotta da Victoria Cabello e sempre per Rai 2 cura la ripresa del concerto di Zucchero Fornaciari da Reggio Emilia.L’8 e 9 ottobre 2012 diresse lo show di Adriano Celentano trasmesso in diretta su Canale 5 dall’Arena di Verona dal titolo ‘Rock Economy’.Nella stagione 2013-2014 Beldì è stato per la diciottesima volta al timone di ‘Quelli che il calcio’. Nel 2015 ha fatto parte della giuria di esperti del Festival di Sanremo, condotto da Carlo Conti. Nello stesso anno tornò a svolgere il ruolo di regista per il talk show ‘Ballarò’, condotto da Massimo Giannini.

Beldì ha avuto l’incarico di curare la regia anche per tre edizioni del Festival di Sanremo: nel 1999 (Fabio Fazio), nel 2000 (ancora Fazio) e nel 2006 (Giorgio Panariello). Per Raidue dirisse anche Gene Gnocchi ne ‘La grande notte del lunedì sera’ e Artù. Con Cochi e Renato invece ‘Stiamo lavorando per noi’, con ospiti Enzo Jannacci e Renzo Arbore. Nel novembre 2009 è stato il regista di ‘Grazie a tutti’, show in onda per quattro domeniche in prima serata su Rai 1, condotto da Gianni Morandi.Nel 2010 diresse in marzo lo show di Gigi D’Alessio su Rai 1 dal titolo ‘Gigi questo sono io’ e poi dal 27 aprile, sempre su Rai 1, ‘Voglia d’aria fresca’ con Carlo Conti.Nel 2011 tornò a curare la regia della trasmissione ‘Quelli che il calcio’ condotta da Victoria Cabello e sempre per Rai 2 cura la ripresa del concerto di Zucchero Fornaciari da Reggio Emilia.L’8 e 9 ottobre 2012 diresse lo show di Adriano Celentano trasmesso in diretta su Canale 5 dall’Arena di Verona dal titolo ‘Rock Economy’.Nella stagione 2013-2014 Beldì è stato per la diciottesima volta al timone di ‘Quelli che il calcio’. Nel 2015 fa parte della giuria di esperti del Festival di Sanremo, condotto da Carlo Conti. Nello stesso anno tornò a svolgere il ruolo di regista per il talk show ‘Ballarò’, condotto da Massimo Giannini.Nato nel 1954, avrebbe compiuto 67 anni il prossimo 11 luglio S

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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