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Tribunale di Ischia, “lasciate ogni speranza voi che entrate…”

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Ogni Tribunale dovrebbe rappresentare il tempio laico dove concretizzare l’ideale di Giustizia, dove garantire la reale tutela dei diritti e degli interessi in capo a chi in esso vi entra speranzoso per portare avanti la sua istanza di Legalità. In Italia, purtroppo, la lentezza dovuta ai continui tagli e alla iper burocratizzazione hanno incancrenito l’amministrazione della “Legge”, delicatissima branca della Pubblica Amministrazione, rendendola la brutta copia di ciò che dovrebbe essere davvero.

Chi scrive è avvocato e anche da Juorno non ha mai mancato di sottolineare che tali problematiche prescindono dai singoli operatori, ed anzi sembrano più che altro create ad arte dalla mala politica che dalla Giustizia tenta ovviamente di sottrarsi.

Ma ogni ragionamento, ipotesi o problematica, trova nel Tribunale di Ischia una condizione che a dire estrema è un omaggio. Parliamo del Tribunale locale giustamente tanto caro agli isolani, ma la cui sopravvivenza territoriale non garantisce però la funzione per la quale esso è stato sottratto alla chiusura. La verità è che questo Tribunale, Sezione Distaccata di quello di Napoli, così come organizzato non funziona e quando lo fa, sicuramente con il grande sacrificio di chi ci lavora, produce risultati temporalmente assurdi. Inutile avere un avamposto di Giustizia se poi diventa il paradiso dei convenuti (quelli chiamati in causa) che possono così contare su tempi biblici a fonte della mortificazione di chi in questo Tribunale è costretto ad entrare per chiedere tutela. Quindi, dopo aver evitato la chiusura disposta dal nuovo imprinting di razionalizzazione distrettuale, che altro non è stato che un ennesimo taglio all’intero Settore (come per la Sanità quindi), bisogna però rendere questo Ufficio pienamente efficiente, e non pensare solo alla sua sopravvivenza che oggi tanto sembra solo un accanimento terapeutico.

Di episodi e fatti ce ne sarebbero da narrare a bizzeffe, e basterebbe leggere quelli denunciati  pubblicamente dall’attivissimo e disponibilissimo collega Francesco Cellamare, avvocato ischitano doc, che da anni porta avanti la sua battaglia per migliorare questa struttura che cammina al passo di una lumaca zoppa.

Per mia esperienza diretta, che fortunatamente non è vasta provenendo dal Foro di Santa Maria Capua Vetere, mi limiterò a citare due casi, come esempio da estendere all’infinito o quasi. Dunque, quello più recente riguarda la proposizione di un ricorso  avanzato in regime di “urgenza”, ma che ad una settimana dal deposito e sua annotazione nel fascicolo telematico, non è neanche giunto alla fase di assegnazione al singolo Giudice che poi dovrà comunque esaminare la pratica e quindi poi ancora dopo altro tempo dovrà emettere un giudizio di accoglimento o rigetto. E stiamo parlando di PROVVEDIMENTI DI URGENZA – RICORSI EX ART. 700 C.P.C. che il legislatore ha inteso creare per far fronte ad ipotesi che meritano IMMEDIATA riposta. E invece, dopo una settimana stiamo ancora ad attendere l’affidamento del fascicolo al singolo Giudicante. A dir poco assurdo.

Andando un po’ più indietro nel tempo, ma neanche più di tanto, vi presento il caso (anch’esso ancora in itinere) di due onesti e dediti lavoratori, Antonio D. e Giuseppe D., dell’Alto Casertano, che dopo essere stati letteralmente presi in giro da una ditta della “monnezza” per la quale hanno avuto la sfortuna di lavorare, non hanno ricevuto per mesi e mesi né stipendi (già modestissimi)  né il TFR. Nel corso dell’anno 2018, dopo aver sollecitato i controlli dell’Ispettorato del Lavoro di Caserta, conclusi positivamente a stretto giro, e poi richiesto ed ottenuto l’emanazione dei decreti ingiuntivi dal Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere (dunque in tempi “buoni” considerando l’andamento generale), nel Gennaio 2019 ci siamo visti costretti a salpare per l’Isola, e così affrontare il giudizio di esecuzione mobiliare seguito al pignoramento presso terzi (dato che la Società a pagare non ci pensa proprio) finalizzato al materiale svincolo delle somme che ai due dipendenti servirebbero essenzialmente per sopravvivere! Ma il “buon giorno” si è visto dal mattino e la prima udienza di comparizione (attenzione: si rimarca che trattasi di procedimento volto all’ottenimento di somme pignorate non già di giudizi di accertamento che sono stati già abbondantemente superati) è stata fissata ad oltre due anni, ossia al Gennaio/Febbraio dell’anno 2021. Sì avete capito bene, due anni per discutere in una prima udienza di esecuzione e capire se le somme già pignorate possono essere attribuite agli istanti.

Per il lavoratore Antonio D. La prima istanza di anticipazione udienza, assolutamente necessaria,  veniva rigettata per il cronico “eccessivo carico di ruolo” e così intanto sono trascorse le prime settimane di nulla, poi i mesi. Dopo tale stallo le udienze venivano “miracolosamente” anticipate ad Ottobre 2019 (passati già 10 mesi di nulla) ed intanto nella procedura si inseriscono altri creditori. Quindi l’iter si ferma di nuovo perché doveva essere fissata una nuova udienza di discussione. Passano altri mesi di nulla. E giungiamo al 9.02.2020, e bisogna depositare un altro sollecito per far fissare l’udienza di discussione e divisione del credito. Solo a fronte di tale istanza in data 20.02.2020 il Tribunale fissava udienza per il 29.04.2020 che ovviamente non si è tenuta per il problema Covid  e così rinviata d’ufficio al 14.09.2020.

Ma già a cotanto strazio si aggiunga poi che durante il trascorrere dei mesi l’unico Cancelliere si è ammalato (eh già perché anche i Cancellieri possono ammalarsi) e pertanto tutti i provvedimenti di rinvio così come tutti gli esiti delle udienze, non potevano essere consultati né caricati nel fascicolo telematico, costringendo quindi lo sventurato scrivente e i suoi collaboratori  a ricercarli a Napoli presso un Ufficio praticamente non identificato, un fenomeno da vera e propria classificazione UFO che nell’ambiente è molto più frequente di quanto si possa immaginare. Roba da tuffarsi a Lacco Ameno con la giacca, cravatta e tutti i documenti, se non fosse che in ballo c’è la vita e la dignità di un uomo reo di aver lavorato e chiesto Giustizia per non essere stato pagato. Una vergogna tutta Italiana, roba da Quarto Mondo.

Per il lavoratore Giuseppe D., stesso procedimento e stesso iter maledetto, che si è così appesantito di interventi di altri creditori e perché no anche dell’opposizione del debitore, che intanto continua ad incassare somme dal business della “monnezza” dove opera e ingrassa, mentre i diritti dei lavoratori vengono calpestati prima e dimenticati poi. Dopo vari solleciti di anticipazione udienza, attribuzione a vari Giudici ecc. questo fascicolo quindi ricalca l’iter del suo “gemello”  e così da ultimo,  in data 19.02.2020 si deposita altro sollecito per questa tanto attesa udienza di discussione, che in questo caso ancora ad oggi (a differenza dell’altro) non è stata ancora fissata e, per quanto ne sappiamo (ma in fondo siamo Avvocati, quindi che vogliamo sapere…) tutta la procedura risulta ancora ferma solo alla nomina di altro nuovo giudice. Di male in peggio. E intanto il sig. Giuseppe D. mi chiama disperato e ovviamente non crederà più (ed io lo comprendo davvero) a quello che realmente accade in questo posto dove la pretesa di un diritto viene resta lasciata marcire.

Palazzo di Giustizia di Ischia. È la sezione distaccata di Napoli 

Ora, anche se i colleghi del posto che spessissimo vengono in soccorso a noi che partiamo da lontano (io da Caserta), facendosi in quattro per lenire questa piaga che pesa comunque anche su di loro, interpretando uno spirito collaborativo di categoria davvero raro, questi mali organizzativi non possono essere sopportati, come sempre, principalmente dai nostri assistiti, vittime una prima volta per aver subito un torto da cui chiedono ristoro, e vittime per la seconda volta allorquando si vedono così costretti in un’attesa che strazia il cuore.

Ebbene Signor Ministro a questi lavoratori lasciati morire di fame, cosa altro possiamo dirgli? Che questa è Giustizia? Chi scrive non riesce più a dare risposte e pertanto chiedo a Lei, che essendo mio collega dovrebbe ben capire l’assurdità di questa situazione e dare almeno un cenno di concreta Legalità. E Le chiedo ancora: ma a cosa serve avere un Tribunale che opera in queste condizioni e soprattutto a chi serve? Sulla seconda domanda siamo ormai tutti preparati: di certo non serve a chi deve tutelare i propri diritti. E non ci venite a dire che c’entra il Covid perché il virus ha solo messo in luce problemi ormai atavici che non verranno magari risolti con una colossale riforma ideologica sulla prescrizione o altri interventi di “concetto”. Perché se si vuole far funzionare davvero l’amministrazione della Giustizia si deve solo investire e per il Tribunale di  Ischia ad esempio si potrebbe cominciare con il rinforzo di due amministrativi in più, e così evitare di far perdere ogni speranza a chi vi entra, come in un attualizzato Inferno Dantesco. Parola di avvocato

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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Comune revoca cittadinanza al duce, la dà a Matteotti

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Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.

“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.

A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.

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Becciu: Papa Francesco aveva la soluzione, non possono escludermi

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Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.

Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.

La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.

Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.

Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.

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