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Tregua armata nel M5s, il vertice contro Di Maio

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Il M5s non cade, al momento, nel precipizio della scissione, ma resta la profonda rottura. Il consiglio nazionale del Movimento, che fa capo al presidente Giuseppe Conte, non ha chiesto l’allontanamento di Luigi Di Maio. E, nella trattativa della maggioranza, i Cinque Stelle non hanno messo sul piatto lo stop a nuovi invii di armi in Ucraina, cioe’ quel “disallineamento” da Nato e Ue temuto dal ministro degli Esteri. La guerra fra Conte e Di Maio resta pero’ aperta. Le “recenti dichiarazioni del ministro sulla linea di politica estera M5s sono “esternazioni” che “distorcono le chiare posizioni” assunte a maggio e “oggi integralmente ribadite, sempre all’unanimita’”, ha scritto il Consiglio Nazionale del M5s nel comunicato finale: sono parole “inveritiere e irrispettose, suscettibili di gettare grave discredito sull’intera comunita’ politica del M5S”. Lo scontro si allarga, facendo venire allo scoperto anche chi finora aveva preferito non intervenire in prima persona. Alle parole dure volate in questi giorni fra l’ex premier e il ministro degli Esteri, si sono aggiunte quelle del presidente della Camera, Roberto Fico: “Siamo arrabbiati e delusi. Non riesco a comprendere che il ministro degli esteri Di Maio attacchi e “mistifichi” su delle posizioni rispetto alla Nato e all’Europa che nel Movimento non ci sono”. La replica e’ arrivata al volo: “Stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, oggi hanno rivolto al ministro Di Maio”, ha fatto sapere il portavoce del ministro. La tensione si sposta in Parlamento, in vista delle comunicazioni del presidente del Consiglio, Mario Draghi, e del voto sulla risoluzione sull’Ucraina. E poi, mercoledi’, in occasione dell’assemblea dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle, con Conte. Lo stesso giorno, o al massimo giovedi’, e’ atteso l’arrivo di Beppe Grillo a Roma. Il garante del Movimento ha gia’ fatto trapelare il suo profondo disappunto per quanto sta accadendo in queste ore nel Movimento, con uno scontro cosi’ diretto e in pubblica piazza. Tant’e’ che ci si attende una sua dura strigliata, forse altrettanto pubblica . Ma non sono molti quelli che confidano nel fatto che “l’elevato” riesca a trovare la quadra. La rottura per adesso e’ in stand-by. Ma sul crinale. Conte “non ha mai inteso fare un processo a Luigi o cacciarlo dal movimento – spiegano fonti vicine al presidente – Nel consiglio nazionale ha mediato tra falchi e colombe. Pero’ ha voluto che fosse chiaro che c’era una netta presa di posizione contro le parole di Di Maio”. Ma i parlamentari vicini al ministro degli Esteri hanno un punto di vista diverso: “Il Movimento 5 Stelle sta vivendo una crisi epocale. Sono stati sradicati i valori fondanti – ha detto il senatore Vincenzo Presutto – I partiti devono maturare. Anche il movimento sta maturando, con un’analisi critica interna che potrebbe portare anche ad una scissione”. Intanto crescono nel Movimento Cinque stelle le ipotesi su cio’ che dira’ a Roma Grillo e sulle vere intenzioni di Di Maio. Fra i parlamentari, c’e’ la speranza che il fondatore possa almeno fare chiarezza sulla regola del doppio mandato. Che – malgrado le posizioni sull’Ucraina e quant’altro – non sembra cosi’ secondaria per le sorti del Movimento. Grillo ha gia’ detto che per lui resta cosi’ com’e’. Pero’, considerando che si tratta di una bomba a orologeria sulla tenuta del Movimento, fra le truppe c’e’ la speranza che si possano prevedere deroghe. Sarebbe anche un modo per “salvare” il ministro Di Maio e molti big che, adesso, non potrebbero ricandidarsi, come Paola Taverna e lo stesso Roberto Fico. “Se la deroga fosse legata al percorso politico, chi potrebbe mettere in discussione quello che hanno fatto loro?”, e’ la riflessione. C’e’ poi il tema del futuro derl capo della Farnesina. “La situazione e’ molto tesa – ragionava un deputato vicino al ministro degli Esteri – Siamo praticamente a un punto di non ritorno. Da parte del Movimento e’ stato eretto un muro”.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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