Un modello di fegato stampato in 3D, con un gel biosimilare, che mima la consistenza dei tessuti biologici, e ricostruito in grandezza naturale, con identico peso dell’organo e anatomia, realizzato incrociando i dati della risonanza magnetica e della Tac: e’ il ‘clone’ usato per preparare un intervento di trapianto di fegato, dove l’organo e’ stato donato dal figlio al padre. L’intervento e’ stato eseguito con successo all’ospedale Niguarda di Milano. L’equipe, guidata da Luciano De Carlis, ha potuto portare a termine questo trapianto di fegato unico nel suo genere. “C’era bisogno di un organo in tempi rapidi, cosi’ entrambi i figli del paziente si sono proposti per la donazione, che prevede l’asportazione di circa il 50-60% del fegato che viene utilizzato per il trapianto”, spiega De Carlis. Sono stati stampati gli organi di entrambi. Solo cosi’ “ci si e’ resi conto che uno dei due presentava un’anomalia che probabilmente avrebbe impedito la buona riuscita dell’intervento – continua -. Cosi’ si e’ optato per il secondo. La possibilita’ di avere a disposizione sia il modello 3D dell’organo sia l’estratto dell’albero circolatorio dei vasi e delle vie biliari e’ stato di grande utilita’, non solo per preparare l’intervento ma anche come riscontro in piu’ durante l’operazione”. Avere a portata di mano la ricostruzione in scala a grandezza naturale dell’organo ha facilitato le diverse fasi del prelievo. Il trapianto e’ stato portato a termine con successo e i due stanno completando il percorso di recupero. L’intervento e’ stato possibile grazie alla collaborazione con Printmed-3d, centro lombardo di stampa 3D e realta’ virtuale per la medicina personalizzata, coordinato dall’Universita’ degli Studi di Milano.
L’Intelligenza Artificiale per ridisegnare prevenzione e terapia in tutti i campi della medicina. A Caserta il bilancio del Progetto Platone traccia un percorso chiaro per il futuro: superare la medicina uguale per tutti, disegnare una prevenzione e una cura specifiche per ogni paziente
Un sistema che si affiancherà al medico, una piattaforma informatizzata versatile, utilizzabile sia nella pratica clinica che nella ricerca futura. È l’eredità che lascia il Progetto Platone, nato dalla collaborazione tra I.R.C.C.S. Neuromed, Casa di Cura Montevergine, Maticmind, CIRA e CNR IBBR. Questa mattina, nel Polo di Ricerca Neurobiotech a Caserta, si è tenuta la manifestazione di chiusura del progetto, con la presentazione dei risultati e con le ampie prospettive che l’iniziativa ha aperto.
“È stato un bellissimo viaggio – dice Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione e professore di Igiene e Salute Pubblica all’Università dell’Insubria di Varese e Como e Coordinatrice del progetto – Con Platone eravamo partiti da ipotesi che inizialmente sembravano quasi fantastiche. Il nostro sogno era sviluppare una piattaforma software che consentisse ai medici di fare predizioni del rischio per le tre patologie cronico-degenerative più importanti (malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative) attraverso algoritmi di intelligenza artificiale. Volevamo non solo personalizzare il rischio, ma anche sviluppare percorsi di prevenzione personalizzati per ogni individuo”.
Ma nei settori delle tecnologie avanzate il tempo corre veloce. E oggi Platone ha tradotto quel sogno in una serie di studi scientifici nei quali la persona non viene più inserita in grandi categorie (ad esempio fumatori e non, diabetici e non, obesi e non). Ogni individuo viene invece identificato da una enorme quantità di dati, fino a che viene rivelato nella sua unicità. La sua storia clinica, le decisioni da prendere per la prevenzione futura, le terapie, saranno specificamente “sue”. Al centro di tutto questo c’è l’enorme quantità di dati raccolti dalla Rete di Ricerca Clinica Neuromed.
Licia Iacoviello
“La piattaforma – spiega Iacoviello – ci ha permesso di analizzare una grande quantità di dati dei pazienti. Sulla base di essi, i sistemi sviluppati nell’ambito del progetto hanno individuato elementi che altrimenti sfuggirebbero alla clinica tradizionale. L’intelligenza artificiale, grazie alla sua capacità di elaborare i dati con modalità e velocità che noi non avremmo mai potuto raggiungere, ci ha svelato caratteristiche completamente nuove. E non è tutto: l’intelligenza artificiale tratta tutti i fattori in modo uguale, non ha idee preconcette, non formula ipotesi a priori. È così che possiamo usarla per cercare connessioni che non avremmo immaginato prima”.
Guardando al futuro, è importante sottolineare che questo è solo un primo passo. Gli algoritmi di intelligenza artificiale sono in continua evoluzione. Ciò che sta emergendo dai risultati di Platone non è un prodotto finito, ma un sistema che continua ad evolversi. Più dati vengono inseriti nel sistema, più la macchina può imparare cose nuove, affinando l’algoritmo con variabili nuove, migliorando la precisione delle previsioni.
Dai gorilla agli scimpanzé, dai macachi agli oranghi: è un’inedita fotografia ad alta risoluzione della diversità genetica dei primati, quella che emerge da dieci studi scientifici, di cui otto pubblicati su Science e due su Science Advances. I loro risultati offrono nuovi spunti utili non solo a migliorare gli sforzi di conservazione di queste specie (sempre più minacciate da cambiamenti climatici, perdita di habitat, bracconaggio e traffici illegali), ma anche a capire meglio l’origine genetica di molte malattie umane. Lo studio principale dello speciale, guidato da Lukas Kuderna dell’Istituto di biologia evolutiva in Spagna, ha esaminato in particolare il genoma di oltre 800 esemplari provenienti da Asia, America, Africa, Madagascar e appartenenti a 233 specie di primati (quasi la metà di tutte quelle esistenti sulla Terra), quadruplicando di fatto il numero di genomi di primati ad oggi disponibili.
Questa mole di dati ha permesso di datare meglio il momento in cui si sono separate le strade evolutive di scimpanzé e umani (la divergenza sarebbe avvenuta tra 9,0 e 6,9 milioni di anni fa, dunque prima rispetto a quanto stimato in precedenza). Inoltre ha consentito di individuare oltre 4 milioni di mutazioni che influiscono sulla composizione degli aminoacidi e possono alterare la funzione delle proteine, provocando malattie negli umani. Grazie a questo nuovo catalogo genomico è stato infine dimezzato il numero di ‘innovazioni genomiche’ che si credevano esclusive degli esseri umani. Diventa così più facile identificare le mutazioni non condivise con i primati che potrebbero di conseguenza essere uniche per l’evoluzione umana e le caratteristiche che ci rendono umani.
La carenza di flavonoli, composti vegetali presenti in diversi alimenti, può peggiorare il calo della memoria correlato all’età. Tuttavia, l’assunzione di queste sostanze, con la dieta o integratori, è in grado di invertire o rallentare il fenomeno. È quanto sostiene uno studio della Columbia University pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas). I flavonoli sono sostanze presenti in numerose verdure come spinaci, broccoli, asparagi, cipolle così come nel tè e nel cacao. Sono noti per avere diversi effetti positivi sull’organismo.
I ricercatori ne hanno voluto verificare i benefici sulla memoria, testando in 3.500 anziani sani gli effetti dell’assunzione quotidiana di un integratore e confrontandolo con quelli osservati in chi prendeva un placebo. Dopo tre anni, i ricercatori hanno scoperto che in chi all’inizio dello studio aveva un consumo di flavonoli basso si registrava un miglioramento del 16% delle performance della memoria. L’incremento era del 10,5% rispetto a chi aveva preso il placebo. Nessun miglioramento è stato invece riscontrato in chi all’inizio dello studio aveva già buoni livelli di flavonoli. “La ricerca sta iniziando a rivelare che sono necessari diversi nutrienti per fortificare le nostre menti che invecchiano”, dice il coordinatore dello studio Scott Small, che annuncia ulteriori studi sul tema. “Si pensa che il declino della memoria legato all’età si verifichi prima o poi in quasi tutti, sebbene vi sia una grande variabilità”, aggiunge Small. “Se solo una parte di questa variabilità è dovuta a differenze nel consumo di flavanoli, allora vedremmo un miglioramento ancora più marcato della memoria nelle persone che reintegrano i flavanoli nella dieta già quando hanno 40 o 50 anni”.