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Salute

Primo trapianto di un rene di maiale su paziente in vita

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Una nuova, potenziale speranza di cura arriva per centinaia di migliaia di malati in lista di attesa per ricevere un trapianto d’organo. Negli Stati Uniti è stato infatti effettuato il primo trapianto di un rene di maiale geneticamente modificato su un paziente in vita. Non è la prima volta che si punta agli organi di maiale, con l’obiettivo di poter utilizzare in un futuro si spera prossimo organi facilmente reperibili a fronte della scarsità di organi umani da trapiantare.

Chirurghi di Boston hanno trapiantato il rene da un maiale geneticamente modificato in un uomo di 62 anni, affetto da una malattia renale terminale. Si tratta della prima procedura di questo genere: altri tentativi erano stati infatti compiuti in passato ma su pazienti in morte celebrale. Il trapianto, in caso di successo, offrirà dunque speranza concreta a tanti malati. Secondo il New York Times, i segnali finora sono promettenti: l’organo ha iniziato a produrre urina poco dopo l’intervento e le condizioni del paziente continuano a migliorare, riferisce il Massachusetts General Hospital. “La nostra speranza è che questo approccio al trapianto offra un’ancora di salvezza a milioni di pazienti in tutto il mondo che soffrono di insufficienza renale”, ha affermato il dottor Tatsuo Kawai, un membro del team.

L’ospedale ha riferito che il paziente, Richard Slayman di Weymouth, Massachusetts, “si sta riprendendo bene e dovrebbe essere dimesso presto”. Slayman, che soffre di diabete di tipo 2 e ipertensione, aveva ricevuto un trapianto di rene umano nel 2018 ma cinque anni dopo ha iniziato ad avere problemi. Slayman ha detto di aver accettato il trapianto di rene di maiale “non solo come un modo per aiutarmi, ma come un modo per dare speranza alle migliaia di persone che hanno bisogno di un trapianto per sopravvivere”. Lo xenotrapianto di Boston, commenta Giuseppe Feltrin, direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt), “può aprire una frontiera, e in questo momento non è l’unica perché la ricerca scientifica nel campo dei trapianti sta andando velocissima, lo abbiamo dimostrato anche in Italia con il grande sviluppo della donazione a cuore fermo.

L’orizzonte comune è quello di rendere la terapia del trapianto veramente accessibile a tutti. Quello che non va dimenticato è che questa è una speranza per il futuro, mentre l’oggi di circa 8mila pazienti in attesa di trapianto è ancora legato alla donazione umana: la scienza continuerà a fare la sua parte ma oggi abbiamo ancora bisogno di dire sì alla donazione”. Sono passati 24 anni da quando Thomas Starzl, il medico statunitense pioniere dei trapianto di fegato, indicava nello xenotrapianto, ovvero il trapianto di organi da animale a uomo, la frontiera per risolvere il problema della scarsità di organi. E il candidato ideale per lo xenotrapianto era, affermava Starzl, proprio il maiale geneticamente modificato.

Il passo successivo fu, nel 2012, il trapianto di un cuore di maiale in un babbuino, ed in quel caso il babbuino visse per oltre due anni. Il primo tentativo sull’uomo avvenne nel 2021: un rene di maiale venne trapiantato ad una donna tenuta in vita artificialmente con segni di disfunzione renale. La procedura fu effettuata alla New York University Langone Health e venne utilizzato un maiale i cui geni erano stati modificati in modo da eliminare nei suoi tessuti una molecola che provoca un rigetto quasi immediato. Successivamente, altri trapianti di rene da maiali sull’uomo sono stati eseguiti, ma sempre in pazienti in morte cerebrale.

L’anno dopo, nel 2022, a Baltimora fu eseguito il primo trapianto di un cuore di un maiale geneticamente modificato su un uomo. Si chiamava David Bennett Sr, 57 anni, ma sopravvisse solo due mesi. Lo scorso anno, sempre negli Stati Uniti, un secondo trapianto di cuore di maiale ha riguardato un uomo di 58 anni: il paziente è però deceduto dopo sei settimane. Uno degli ostacoli maggiori è ancora evitare il rigetto dell’organo. Una strada che richiederà ancora sforzi, ma che potrebbe rappresentare in futuro una svolta. Attualmente, solo in Italia, sono circa 8 mila le persone in attesa di un trapianto in Italia: 5800 persone attendono un nuovo rene, 1000 un fegato, 700 un cuore, 300 un polmone, 200 un pancreas e 5 l’intestino.

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Cronache

Malpagati e in fuga, persi 10mila infermieri l’anno

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Malpagati rispetto agli altri paesi europei, alle prese con una professione sempre meno attrattiva, in molti casi avanti con l’età, troppo spesso vittime di burn out e violenze, con 260mila casi di aggressioni solo nel 2024. E’ l’identikit degli infermieri italiani, ‘specie’ in estinzione dati i numeri in cosante calo, ed in fuga dal Servizio sanitario nazionale: ogni anno, a vario titolo, il sistema ne perde oltre 10mila. A lanciare un Sos è la Fondazione Gimbe, che chiede un piano straordinario per la professione poichè, in assenza di contromisure, avverte, la tanto attesa riforma dell’assistenza territoriale – che vede proprio negli infermieri sul territorio, di ‘famiglia’ o di ‘comunità’, un pilastro essenziale – è destinata a fallire, dal momento che per far funzionare Case ed ospedali di comunità servirebbero almeno 20-27mila professionisti in più.

I numeri rilanciati da Gimbe descrivono una realtà critica: nel Ssn 1 infermiere su 4 è vicino alla pensione e si teme la gobba pensionistica con ulteriori pesanti uscite nei prossimi anni; nel 2022, il personale infermieristico contava 302.841 unità, ed il confronto internazionale è impietoso: l’Italia conta 6,5 infermieri per 1.000 abitanti, contro la media Ocse di 9,8 e la media Eu di 9. In Europa peggio di noi solo Spagna (6,2), Polonia (5,7), Ungheria (5,5). E sono forti le disomogeneità territoriali: dai 3,83 infermieri per mille abitanti in Campania ai 7,01 della Liguria. Grave anche il fenomeno degli abbandoni: nel triennio 2020-2022 hanno abbandonato il Ssn 16.192 infermieri.

Ancora più allarmante è il dato delle cancellazioni dall’Albo Fnopi, requisito per esercitare la professione: 42.713 infermieri si sono cancellati negli ultimi 4 anni, di cui 10.230 solo nel 2024. Un’emorragia non controbilanciata dalle nuove entrate: nel 2022 in Italia si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media Ocse di 44,9, e nel 2024-2025 i candidati al Corso di laurea in Scienze infermieristiche sono stati appena sufficienti a coprire i posti disponibili. Ancora peggio sul fronte stipendi: restano tra i più bassi d’Europa, con una retribuzione annua lorda di 48.931 dollari nel 2022 a parità di potere di acquisto, ben 9.463 dollari in meno rispetto alla media Ocse.

In Europa, stipendi più bassi si registrano solo nei paesi dell’Est. Dal 1990, rileva il segretario del sindacato Nursind, Andrea Bottega, si è persa una cifra pari a 14mila euro in termini di potere d’acquisto. “Siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure, soprattutto per le persone anziane e più vulnerabili, sia in ambito ospedaliero che territoriale, dove gli investimenti del Pnrr rischiano di essere vanificati”, afferma il presidente Gimbe Nino Cartabellotta (foto in evidenza).

Un quadro critico cui si aggiunge la mancanza del contratto del comparto sanità, la cui trattativa è di fatto bloccata: “Il rinnovo del contratto 2022-24 – afferma Bottega – è bloccato, con i suoi 180 euro di aumento lordi mensili previsti per gli infermieri, e non si può neanche aprire la trattativa per il contratto 2025-27 le cui risorse sono già state stanziate e che porterebbe un ulteriore aumento mensile di oltre 200 euro. Aumenti che ci aiuterebbero a colmare il gap con gli altri paesi. Purtroppo, tutto è bloccato per una posizione ideologica di alcuni sindacati, a fronte di risorse già stanziate e che comunque non potranno essere aumentate”. L’auspicio, conclude, “è che, dopo le elezioni delle Rsu attese a breve, la trattativa possa ripartire”.

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In Evidenza

In Svizzera c’è la “prescrizione museale”: visitare un museo diventa terapia medica

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NEUCHÂTEL (Svizzera) – Può una visita al museo diventare un rimedio medico? A Neuchâtel sì. La cittadina svizzera ha avviato un progetto pilota biennale che consente ai medici di prescrivere visite gratuite a musei come parte della terapia per i loro pazienti. Un’iniziativa che unisce salute e cultura, con l’obiettivo di migliorare il benessere fisico e mentale attraverso l’arte.

L’idea nasce in risposta a un bisogno emerso con forza durante la pandemia: “Con la chiusura dei luoghi culturali durante i lockdown, ci siamo resi conto di quanto abbiamo bisogno della cultura per sentirci meglio”, spiega Julie Courcier Delafontaine, membro del consiglio comunale. La città, in collaborazione con le autorità sanitarie regionali, ha così deciso di finanziare queste “prescrizioni artistiche”, ispirandosi a un modello già sperimentato in Canada.

Il costo? Solo 10.000 franchi svizzeri (circa 11.300 dollari), per un progetto che ha già messo in circolazione circa 500 prescrizioni. I pazienti possono visitare gratuitamente uno dei quattro musei cittadini, compreso l’affascinante Museo Etnografico, dove si trovano reperti come copricapi piumati della Papua Nuova Guinea.

Ma non si tratta solo di benessere spirituale: camminare, osservare, riflettere, stimola anche il corpo e la mente. Lo sottolinea il dottor Marc-Olivier Sauvain, chirurgo dell’ospedale di Neuchâtel, che ha già prescritto visite museali a pazienti in preparazione a interventi chirurgici: “Una visita al museo offre esercizio fisico e stimolo intellettuale insieme. È più efficace che dire a un paziente ‘vai a camminare’. E poi, come medico, è bello poter prescrivere arte invece che solo farmaci”.

Il progetto guarda anche al futuro: se avrà successo, sarà esteso a altre forme d’arte, come il teatro o la danza. Marianne de Reynier Nevsky, responsabile della mediazione culturale e ideatrice dell’iniziativa, sottolinea come l’arte possa aiutare chi soffre di depressione, malattie croniche o difficoltà motorie.

E i visitatori approvano con entusiasmo. “Dovrebbero esserci prescrizioni per tutti i musei del mondo!”, ha commentato Carla Fragniere Filliger, poetessa e insegnante in pensione. In attesa che il sistema sanitario nazionale svizzero riconosca la “cultura come cura”, a Neuchâtel la medicina ha già cominciato a parlare il linguaggio dell’arte.


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Esteri

Cdc Usa avverte, vaccinatevi contro il morbillo prima di partire

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Il Cdc americano, l’equivalente dell’Istituto superiore della Sanità, ha emesso un’allerta viaggi sul morbillo per le vacanze di primavera raccomandando a tutti gli americani di vaccinarsi. “I casi di morbillo stanno aumentando e la maggior parte si verifica in persone non vaccinate che si infettano durante viaggi all’estero”, ha avvertito il Cdc che ha pubblicato un elenco dei Paesi a rischio ma ha anche chiesto agli americani di vaccinarsi prima di partire. Al momento si registrano 357 casi di morbillo in 17 Stati, con il Texas in testa per numero più alto di malati.

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