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Salute

Aspettano un trapianto in 8mila, ancora tanti i no

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Sono 8 mila le persone in attesa di un trapianto in Italia ma un terzo dei potenziali donatori rifiuta il prelievo e sono 2mila i trapianti non realizzati ogni anno per le opposizioni. In questo momento in lista d’attesa 5800 persone sono in lista d’attesa per un nuovo rene, 1000 per un fegato, 700 per un cuore, 300 per un polmone, 200 per un pancreas e 5 per l’intestino. Ogni anno circa 4mila nuovi pazienti entrano in lista, e i tempi di attesa, soprattutto per i pazienti non urgentissimi, restano ancora elevati. Sono questi i dati aggiornati dal Centro Nazionale Trapianti in occasione della 26ma Giornata nazionale della donazione di organi e tessuti. Centinaia le iniziative in tutta Italia e migliaia di appelli promossi sui social dalle istituzioni (Ministero della Salute e Anci in prima fila), dalle aziende ospedaliere e sanitarie, da tantissimi sindaci, personalità della cultura e dello spettacolo e dai volontari delle associazioni.

L’obiettivo è quello di sensibilizzare gli italiani a dichiarare esplicitamente il loro consenso al prelievo degli organi dopo la morte per dare una speranza ai circa 8mila pazienti che in questo momento hanno bisogno di un trapianto. Fra questi l’Irccs Ismett-Upmc (Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione), l’ospedale nato 25 anni fa da una partnership tra l’ University of Pittsburgh medical center e la Regione Siciliana, lancia una campagna di informazione e sensibilizzazione sulla donazione di organi da vivente, in particolare di rene e fegato. “L’anno scorso il Servizio sanitario nazionale è riuscito a realizzare quasi 4mila trapianti, di cui 125 pediatrici, grazie al contributo di 1.830 donatori di organi, il numero più alto mai registrato in Italia – spiega Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti – e a loro si sono aggiunti 11mila donatori di tessuti che hanno consentito altri 20mila trapianti di questo tipo”.

Un numero così elevato di donatori è il risultato del grande lavoro clinico e organizzativo di migliaia di operatori della rete trapiantologica al lavoro in oltre 200 rianimazioni, in 98 centri trapianto, 29 banche dei tessuti e 19 centri regionali e interregionali, coordinati dal Cnt. Uno degli ostacoli principali resta l’opposizione al prelievo degli organi, registrata dalle persone prima del decesso oppure riportata dai familiari in ospedale al momento della morte: per questo motivo circa il 30% delle potenziali donazioni non viene utilizzata, impedendo ogni anno la realizzazione di almeno altri 2mila trapianti.

Per Cardillo “dichiarare la volontà di donare gli organi dopo la morte è una scelta di solidarietà sociale di cui tutti possiamo beneficiare, anche perché è statisticamente più probabile avere bisogno di un trapianto che morire nelle condizioni per donare effettivamente un organo. E l’Italia è il paese con la legislazione più rigorosa e garantista in materia di accertamento della morte cerebrale, per cui i timori che molte persone hanno rispetto alla donazione sono del tutto infondati”. Diventare donatori è semplicissimo: basta dare il proprio consenso all’ufficio anagrafe del proprio Comune di residenza al momento del rinnovo della carta d’identità elettronica, ma è possibile anche registrarsi online, con la Spid, utilizzando il servizio offerto dall’Aido, l’Associazione italiana donatori organi.

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Cronache

Malpagati e in fuga, persi 10mila infermieri l’anno

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Malpagati rispetto agli altri paesi europei, alle prese con una professione sempre meno attrattiva, in molti casi avanti con l’età, troppo spesso vittime di burn out e violenze, con 260mila casi di aggressioni solo nel 2024. E’ l’identikit degli infermieri italiani, ‘specie’ in estinzione dati i numeri in cosante calo, ed in fuga dal Servizio sanitario nazionale: ogni anno, a vario titolo, il sistema ne perde oltre 10mila. A lanciare un Sos è la Fondazione Gimbe, che chiede un piano straordinario per la professione poichè, in assenza di contromisure, avverte, la tanto attesa riforma dell’assistenza territoriale – che vede proprio negli infermieri sul territorio, di ‘famiglia’ o di ‘comunità’, un pilastro essenziale – è destinata a fallire, dal momento che per far funzionare Case ed ospedali di comunità servirebbero almeno 20-27mila professionisti in più.

I numeri rilanciati da Gimbe descrivono una realtà critica: nel Ssn 1 infermiere su 4 è vicino alla pensione e si teme la gobba pensionistica con ulteriori pesanti uscite nei prossimi anni; nel 2022, il personale infermieristico contava 302.841 unità, ed il confronto internazionale è impietoso: l’Italia conta 6,5 infermieri per 1.000 abitanti, contro la media Ocse di 9,8 e la media Eu di 9. In Europa peggio di noi solo Spagna (6,2), Polonia (5,7), Ungheria (5,5). E sono forti le disomogeneità territoriali: dai 3,83 infermieri per mille abitanti in Campania ai 7,01 della Liguria. Grave anche il fenomeno degli abbandoni: nel triennio 2020-2022 hanno abbandonato il Ssn 16.192 infermieri.

Ancora più allarmante è il dato delle cancellazioni dall’Albo Fnopi, requisito per esercitare la professione: 42.713 infermieri si sono cancellati negli ultimi 4 anni, di cui 10.230 solo nel 2024. Un’emorragia non controbilanciata dalle nuove entrate: nel 2022 in Italia si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media Ocse di 44,9, e nel 2024-2025 i candidati al Corso di laurea in Scienze infermieristiche sono stati appena sufficienti a coprire i posti disponibili. Ancora peggio sul fronte stipendi: restano tra i più bassi d’Europa, con una retribuzione annua lorda di 48.931 dollari nel 2022 a parità di potere di acquisto, ben 9.463 dollari in meno rispetto alla media Ocse.

In Europa, stipendi più bassi si registrano solo nei paesi dell’Est. Dal 1990, rileva il segretario del sindacato Nursind, Andrea Bottega, si è persa una cifra pari a 14mila euro in termini di potere d’acquisto. “Siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure, soprattutto per le persone anziane e più vulnerabili, sia in ambito ospedaliero che territoriale, dove gli investimenti del Pnrr rischiano di essere vanificati”, afferma il presidente Gimbe Nino Cartabellotta (foto in evidenza).

Un quadro critico cui si aggiunge la mancanza del contratto del comparto sanità, la cui trattativa è di fatto bloccata: “Il rinnovo del contratto 2022-24 – afferma Bottega – è bloccato, con i suoi 180 euro di aumento lordi mensili previsti per gli infermieri, e non si può neanche aprire la trattativa per il contratto 2025-27 le cui risorse sono già state stanziate e che porterebbe un ulteriore aumento mensile di oltre 200 euro. Aumenti che ci aiuterebbero a colmare il gap con gli altri paesi. Purtroppo, tutto è bloccato per una posizione ideologica di alcuni sindacati, a fronte di risorse già stanziate e che comunque non potranno essere aumentate”. L’auspicio, conclude, “è che, dopo le elezioni delle Rsu attese a breve, la trattativa possa ripartire”.

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In Evidenza

In Svizzera c’è la “prescrizione museale”: visitare un museo diventa terapia medica

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NEUCHÂTEL (Svizzera) – Può una visita al museo diventare un rimedio medico? A Neuchâtel sì. La cittadina svizzera ha avviato un progetto pilota biennale che consente ai medici di prescrivere visite gratuite a musei come parte della terapia per i loro pazienti. Un’iniziativa che unisce salute e cultura, con l’obiettivo di migliorare il benessere fisico e mentale attraverso l’arte.

L’idea nasce in risposta a un bisogno emerso con forza durante la pandemia: “Con la chiusura dei luoghi culturali durante i lockdown, ci siamo resi conto di quanto abbiamo bisogno della cultura per sentirci meglio”, spiega Julie Courcier Delafontaine, membro del consiglio comunale. La città, in collaborazione con le autorità sanitarie regionali, ha così deciso di finanziare queste “prescrizioni artistiche”, ispirandosi a un modello già sperimentato in Canada.

Il costo? Solo 10.000 franchi svizzeri (circa 11.300 dollari), per un progetto che ha già messo in circolazione circa 500 prescrizioni. I pazienti possono visitare gratuitamente uno dei quattro musei cittadini, compreso l’affascinante Museo Etnografico, dove si trovano reperti come copricapi piumati della Papua Nuova Guinea.

Ma non si tratta solo di benessere spirituale: camminare, osservare, riflettere, stimola anche il corpo e la mente. Lo sottolinea il dottor Marc-Olivier Sauvain, chirurgo dell’ospedale di Neuchâtel, che ha già prescritto visite museali a pazienti in preparazione a interventi chirurgici: “Una visita al museo offre esercizio fisico e stimolo intellettuale insieme. È più efficace che dire a un paziente ‘vai a camminare’. E poi, come medico, è bello poter prescrivere arte invece che solo farmaci”.

Il progetto guarda anche al futuro: se avrà successo, sarà esteso a altre forme d’arte, come il teatro o la danza. Marianne de Reynier Nevsky, responsabile della mediazione culturale e ideatrice dell’iniziativa, sottolinea come l’arte possa aiutare chi soffre di depressione, malattie croniche o difficoltà motorie.

E i visitatori approvano con entusiasmo. “Dovrebbero esserci prescrizioni per tutti i musei del mondo!”, ha commentato Carla Fragniere Filliger, poetessa e insegnante in pensione. In attesa che il sistema sanitario nazionale svizzero riconosca la “cultura come cura”, a Neuchâtel la medicina ha già cominciato a parlare il linguaggio dell’arte.


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Esteri

Cdc Usa avverte, vaccinatevi contro il morbillo prima di partire

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Il Cdc americano, l’equivalente dell’Istituto superiore della Sanità, ha emesso un’allerta viaggi sul morbillo per le vacanze di primavera raccomandando a tutti gli americani di vaccinarsi. “I casi di morbillo stanno aumentando e la maggior parte si verifica in persone non vaccinate che si infettano durante viaggi all’estero”, ha avvertito il Cdc che ha pubblicato un elenco dei Paesi a rischio ma ha anche chiesto agli americani di vaccinarsi prima di partire. Al momento si registrano 357 casi di morbillo in 17 Stati, con il Texas in testa per numero più alto di malati.

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