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Terzo mandato,Salvini porta il caso Zaia al Federale

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Il pressing della Liga veneta su Matteo Salvini sembra aver funzionato. Domani la prelazione rivendicata dai leghisti (nordisti, soprattutto) sulla terra amministrata da 15 anni da Luca Zaia e parallelamente la sfida al terzo mandato dei governatori, animerà il consiglio federale della Lega. “Abbiamo una riunione del Federale e vedremo se si chiuderà la questione o si dovrà discutere ancora”, mette in chiaro il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari. Un messaggio interno al Carroccio (probabilmente per indicare la linea e rassicurare i veneti più furiosi) ed esterno. Diretto cioè a Fratelli d’Italia, per spegnerne le ambizioni sulla regione. Legittime essendo diventato il primo partito, ma ancor di più per la Lega e la storia amministrativa e politica che lì può vantare. “Penso che non si debba arrivare a una spaccatura e penso che Giorgia Meloni deve avere l’elasticità di capire che ci sono situazioni in cui bisogna dare spazio agli alleati”, ammonisce Molinari sottolineando che ciò vale “indipendentemente da Zaia”, con un inciso più o meno formale.

La riunione è convocata alle 13 a Roma e via Zoom. Al di là dei punti sul tavolo (ufficialmente il tesseramento e le elezioni amministrative di quest’anno), ormai per Salvini il terzo mandato è diventato un nodo. Politico e di governo, sempre più ingarbugliato e rischioso. Va affrontato sia contro il fuoco amico, che da tempo il nord minaccia contro il segretario, sia con gli alleati. Le parole del ‘doge’ di martedì (sul ‘prima il Veneto’ e basta vincoli ai mandati) hanno fatto rumore. Dentro la Lega e fuori. Anzi, tanti nel Carroccio sperano che colpiscano soprattutto i meloniani. Il mantra è quindi: con il Veneto non si scherza e la Lega non si tocca. Il ragionamento più lineare è di Molinari: “La Lega è il partito dell’autonomia, il Veneto è autonomista, io credo che gli alleati di questo debbano tenere conto” chiosando che “così è per il partito indipendentemente da Zaia”. Un distinguo necessario visto che, se non cambia l’attuale legge, è difficilissimo salvare il ‘soldato Zaia’, al suo terzo giro (il secondo consecutivo) e dunque non più ricandidabile. Ma la battaglia va fatta comunque.

Se la intestano i veneti, seguiti dai lombardi, preoccupati. Anche se lì le amministrative sono più lontane, se la Lega perde il Veneto, nemmeno la Lombardia è più sicura. Un’ipotesi che potrebbe ricompattare tutto il partito. In chiave anti FdI, intanto. Un big della Lega sintetizza così lo spauracchio: “Speriamo che Sardegna docet: alle ultime elezioni l’imposizione di Paolo Truzzu (di FdI) non ha funzionato – ricorda – e tanto meno denigrare per settimane il nostro Christian Solinas”, a lungo in corsa e poi sostituito. E nel centrodestra, se FdI tace (si sono già espressi contro la “personalizzazione” di Zaia), oggi è Forza Italia a schierarsi. Da sempre contrari al terzo mandato, gli azzurri non hanno apprezzato l’affondo di Zaia sulle “bocche che da 30 anni sono sfamate dal Parlamento”, cioè i parlamentari che possono contare sui mandati illimitati. A ribattergli è Maurizio Gasparri: “Troveremo un modo di sfamare Zaia che ha fatto l’amministratore locale, il ministro.

Lo sfameremo”, ironizza il presidente dei senatori forzisti. Ma il consigliere veneto Luciano Sandonà della Lega chiude la querelle: “Zaia non ha certo bisogno di essere sfamato”. Più tranchant Flavio Tosi, eurodeputato di FI e arcinoto rivale di Zaia: “In Veneto se il centrodestra è unito, dall’altro lato possono candidare financo il Padreterno. Vinceremmo noi”. Insomma, basta correre uniti e se non ci sarà Zaia, amen. Tempi duri, dunque, per la Lega. A Salvini tocca difendersi anche dalle critiche sulla registrazione dei loghi del partito da parte della sinistra. Segno di un segretario in difficoltà – è l’interpretazione – che si blinda contro il rischio di perdere il simbolo. Frecciate condivise da qualche leghista che contesta il revival del personalismo di Salvini e ironizza: “Sembra Beppe Grillo”. La Lega ufficialmente replica ricordando che è una procedura “avviata nel 2018, come atto dovuto di un partito che vuole ufficializzare la proprietà dei propri loghi”. E dopo vari passaggi tecnici, si è conclusa. Il resto “sono fake news”.

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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Napoli laboratorio politico: consiglieri e assessori pronti a candidarsi alle regionali, Manfredi prepara il rimpasto

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Alle elezioni regionali d’autunno la città di Napoli potrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio politico. Almeno dieci consiglieri comunali e tre assessori dell’attuale amministrazione guidata dal sindaco Gaetano Manfredisono pronti a scendere in campo, con lo stesso Manfredi che guarda già al rimpasto di Giunta dopo il voto. Si preannuncia dunque una rivoluzione politica tra gli scranni di Palazzo San Giacomo e nei futuri equilibri regionali.

Il fronte progressista: la coalizione plurale e l’ipotesi Fico

Nel campo del centrosinistra, il candidato alla presidenza della Regione Campania potrebbe essere Roberto Fico, ex Presidente della Camera. Una candidatura che ha il sostegno del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e di Manfredi stesso, garante di una coalizione plurale. Il nome di Fico rassicura sia per il suo profilo istituzionale, sia per la capacità di dialogo trasversale: d’altronde fu incaricato dal presidente Sergio Mattarella di tentare due esplorazioni di governo.

Manfredi accompagnerà la candidatura con un’agenda politica centrata su Napoli e la sua area metropolitana, che rappresentano il 60% del peso elettorale regionale. Ogni partito presenterà la sua lista, e in caso di vittoria del centrosinistra, il risultato determinerà anche la spartizione degli incarichi.

I nomi nella lista del presidente e i candidati dei partiti

Nella lista del Presidente, che sarà il contenitore civico a sostegno della coalizione, correranno diversi volti noti dell’amministrazione Manfredi. Tra i sicuri candidati ci sono:

  • Nino Simeone, presidente della commissione Infrastrutture;

  • Walter Savarese d’Atri, in ticket con Angela Cammarota;

  • Fulvio Fucito, in uscita dalla lista Manfredi sindaco;

  • Roberto Minopoli, in quota centrista.

Tra gli assessori, Edoardo Cosenza (Infrastrutture) potrebbe sostenere Simeone, mentre la candidatura della vicesindaca Laura Lieto appare poco probabile, vista la sua centralità nei progetti urbanistici.

Il M5S dovrebbe candidare Luca Trapanese (Politiche sociali), Emanuela Ferrante (Sport), e i consiglieri Salvatore Flocco e Claudio Cecere. Ci pensa anche Enza Amato, presidente del Consiglio comunale.

Nel Pd spinge Salvatore Madonna, vicino a Mario Casillo, mentre Avs schiererà Rosario Andreozzi e Luigi Carbone, affiancato da Roberta Gaeta. In campo anche Pasquale Sannino per il Psi e un possibile ticket moderato tra Annamaria Maisto e Armando Cesaro.

Il centrodestra tra incertezze e scommesse

Sul fronte opposto, Forza Italia dovrebbe puntare su Salvatore Guangi, con forti pressioni su Catello Maresca, ex magistrato e nome spendibile anche per ruoli di vertice, sponsorizzato dal deputato Cosimo Silvestro. La Lega schiererà Domenico Brescia e Bianca D’Angelo, moglie dell’ex parlamentare Enzo Rivellini. Ancora nessun nome certo per il candidato presidente.

L’effervescenza politica napoletana, trasversale agli schieramenti, preannuncia una campagna elettorale caldissima e piena di incroci tra Palazzo San Giacomo e la futura sede del Consiglio regionale.

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Gianni Petrucci: “Non mi candido, ma il Coni ha bisogno di cambiare rotta”

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L’ex presidente del Coni rompe gli indugi in un’intervista al Corriere della Sera: “Serve più dialogo con la politica e meno autoreferenzialità. E vi dico chi dovrebbe entrare in Giunta”

A un mese esatto dalla chiusura delle candidature per la successione a Giovanni Malagò alla presidenza del Coni, Gianni Petrucci, storico numero uno dello sport italiano per 14 anni e attuale presidente della Federbasket, rompe il silenzio e interviene nel dibattito con la sua consueta schiettezza.

“Non mi candido, ma voglio dire la mia”

«Non mi interessa la presidenza, né un ruolo di vice, né la Giunta. Ho già dato. Sono uno spirito libero e posso permettermi di dire quello che penso e che provo», chiarisce subito Petrucci. Una risposta definitiva? «Sì, soprattutto se le cose vanno avanti come stanno andando: male».

“Rapporto col governo da ricostruire”

Petrucci denuncia una classe dirigente sportiva troppo autoreferenziale e in contrasto permanente con la politica: «Il Coni non è più quello di una volta. Ora la cassa la tiene lo Stato, e con lo Stato bisogna dialogare. Soprattutto le piccole e medie federazioni, che vivono di contributi pubblici».

Contesta anche i trionfalismi: «Non sono i dirigenti a vincere medaglie, ma atleti, tecnici, società e lo Stato che li finanzia. Dobbiamo essere meno presuntuosi e capire che la nostra autonomia è di secondo grado».

“Il prossimo presidente? Serve discontinuità”

Chi si candiderà dovrà “ripassare Einstein”, dice ironico: «Bisogna cambiare quando necessario. Basta guerre con la politica. Serve autorevolezza e pesi massimi in Giunta».

E qui Petrucci fa nomi e cognomi: «Gravina o Marotta vicepresidente, e in Giunta Binaghi e Barelli, dirigenti di federazioni che funzionano. Come puoi pensare a un Coni forte senza di loro?».

“Buonfiglio? Ha coraggio, ma serve un altro profilo”

Senza citarlo apertamente, Petrucci mette in discussione la candidatura di Luciano Buonfiglio, presidente della Canoa e sponsorizzato da Malagò: «Conosco il curriculum degli ex presidenti del Coni in rapporto al suo. Se ha i voti, buon per lui. Ma il concetto che il presidente debba essere “uno dei nostri” è provinciale. Dobbiamo aprirci».

“Abodi? Servono impianti. E un piano quadriennale”

Al ministro dello Sport Petrucci chiede «un programma chiaro e aiuti per gli impianti, che sono in condizioni disastrose». E su Diana Bianchedi taglia corto: «Mi sembra già dimenticata». Su Luca Pancalli: «Ci sono rimasto male quando non ci ha dato i paralimpici, ma vedremo il programma».

“Malagò promosso sul piano umano, ma…”

Il giudizio su Malagò è diplomatico: «Promosso per il rapporto umano e per la sua conoscenza dello sport, ma sul piano politico mi astengo». E chiude con una battuta sul padre del presidente uscente: «Un grandissimo dirigente sportivo. Da lui ho comprato un’auto nuova, non usata».

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