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Lo sport italiano ostaggio delle stesse figure: Malagò e Gravina, il potere senza fine

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A un anno esatto dalle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026, la politica sportiva italiana torna sotto i riflettori, ma non per una nuova visione o per cambiamenti strutturali, bensì per la persistenza delle stesse figure ai vertici del sistema sportivo nazionale. Giovanni Malagò e Gabriele Gravina, rispettivamente alla guida del CONI e della FIGC, sembrano destinati a restare al comando ancora a lungo, nonostante le norme sui mandati e le necessità di rinnovamento.

Malagò e il quarto mandato: una proroga ad hoc per mantenerlo al Coni?

Il mandato di Giovanni Malagò, alla guida del CONI dal 2013, scade a giugno 2024, ma l’attuale presidente non può ricandidarsi, avendo già ricoperto tre mandati consecutivi. Eppure, nel mondo dello sport italiano, le regole sembrano sempre flessibili quando si tratta di garantire continuità alle stesse persone. La soluzione per mantenere Malagò in carica potrebbe essere una proroga di almeno un anno, che gli consentirebbe di guidare il CONI fino ai Giochi Invernali del 2026.

L’ipotesi viene giustificata con un ragionamento apparentemente logico: “Non possiamo cambiare il presidente del CONI a pochi mesi dalle Olimpiadi”, come ha dichiarato lo stesso Malagò. Un’argomentazione che ha trovato sostegno politico da parte di figure come Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, e Attilio Fontana, governatore della Lombardia, che hanno riconosciuto il ruolo centrale di Malagò nel dossier olimpico.

Il presidente del CIO, Thomas Bach, ha lasciato intendere che una sua permanenza sarebbe auspicabile, elogiando il lavoro svolto finora. Ma il vero problema è la governance dello sport italiano, dove il ricambio generazionale è spesso ostacolato da meccanismi che permettono di aggirare le regole sui mandati.

Gravina, rieletto con percentuali bulgare per il terzo mandato alla Figc

Se il caso Malagò è ancora in fase di definizione, il calcio italiano ha già scelto la strada della continuità: Gabriele Gravina è stato rieletto con un consenso quasi plebiscitario, ottenendo 481 voti su 487 (98,68%). Un risultato che evidenzia quanto la FIGC sia bloccata su un unico nome, senza alternative concrete.

L’elezione di Gravina arriva dopo anni turbolenti per il calcio italiano, segnati da fallimenti sportivi (la mancata qualificazione ai Mondiali 2022), problemi finanziari e un’inchiesta giudiziaria che lo riguarda direttamente. Nonostante tutto, il presidente della FIGC ha incassato un sostegno trasversale da parte delle diverse componenti del calcio italiano, che hanno deciso di blindarlo per altri quattro anni.

Nel suo discorso post-elezione, Gravina ha sottolineato la necessità di “unità e cambiamento”, concetti che però si scontrano con la sua stessa rielezione senza opposizione. Ha ricordato come il suo percorso sia stato caratterizzato dalla stabilità e dalla salvezza economica del calcio italiano, ma il sistema rimane fragile, poco innovativo e sempre meno competitivo a livello internazionale.

La sua rielezione è stata celebrata con un evento al quale hanno partecipato i vertici di FIFA e UEFA, inclusi Gianni Infantino e Aleksander Ceferin, segno di un’istituzione che preferisce garantire continuità piuttosto che affrontare le riforme necessarie.

Uno sport senza rinnovamento: l’Italia ostaggio dei soliti nomi

Il problema che emerge da queste vicende è sempre lo stesso: lo sport italiano è bloccato nelle mani di poche figureche, attraverso proroghe, escamotage legali o ricandidature senza avversari, continuano a gestire il potere senza possibilità di ricambio.

Se da un lato l’esperienza di Malagò potrebbe essere un valore aggiunto per Milano-Cortina 2026, dall’altro non si può ignorare il problema sistemico della mancanza di ricambio generazionale. Lo stesso vale per Gravina, che ha ottenuto il terzo mandato senza un vero dibattito su come migliorare il calcio italiano, ridotto a una gestione ordinaria senza prospettive di crescita a lungo termine.

La politica sportiva italiana sembra quindi riflettere le dinamiche della politica nazionale, in cui il potere viene spesso conservato grazie a meccanismi interni piuttosto che a un vero consenso basato su risultati concreti.

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De Laurentiis prepara un mercato da sogno: 200 milioni per ricostruire il Napoli

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Aurelio De Laurentiis accelera i tempi: la seconda fase della ricostruzione azzurra è pronta a partire con un piano ambizioso, concreto e ad alto tasso di investimento. L’obiettivo è chiaro: consegnare ad Antonio Conte una rosa completa all’80% già ai primi giorni del ritiro di Dimaro. Per farlo, il presidente è pronto a mettere sul piatto oltre 200 milioni di euro, tra risorse proprie e proventi da cessioni eccellenti.

Il mercato parte da Osimhen: clausola e addio

La partenza di Victor Osimhen (attualmente in prestito al Galatasaray) è il primo tassello: il Manchester United è in pressing, pronto a versare la clausola estera da 75 milioni, magari con l’inserimento di una contropartita tecnica come Rasmus Hojlund, attaccante danese che in Premier non ha convinto. Ma sullo sfondo c’è anche la Juventus, forte del rapporto tra Giuntoli e il nigeriano, anche se la clausola non vale per i club italiani e i rapporti tra i due club restano gelidi.

Difesa: Dragusin e altri tre nomi

Il reparto arretrato sarà profondamente rinnovato. Dopo aver ipotecato Marianucci dell’Empoli per 9 milioni, il Napoli punta su Radu Dragusin (Tottenham), pronto a tornare in Serie A dopo una stagione anonima in Premier. Restano sotto osservazione anche Beukema del Bologna e Solet dell’Udinese.

Centrocampo: ritorno di Veiga e occhi su Sudakov

A centrocampo torna d’attualità Gabri Veiga, talento spagnolo sfuggito al Napoli due stagioni fa e ora in uscita dall’Al-Ahli. I nomi caldi sono anche Georgiy Sudakov (Shakhtar) e Lewis Ferguson, reduce da un infortunio ma sempre stimato a Castel Volturno. Spunta anche un profilo giovane e interessante: Alvaro Montoro, italo-argentino del Velez con contratto in scadenza.

Attacco: Lang, Lookman e il piano per Lucca

Sulla fascia sinistra offensiva il casting è aperto. Garnacho resta un sogno complicato, ma il Napoli lavora su alternative concrete come Noa Lang (Psv), Paixao (Feyenoord) e Lookman, che potrebbe salutare l’Atalanta. Per il ruolo di vice-Lukaku (o alternativa vera), si stringe su Lorenzo Lucca, attaccante in crescita dell’Udinese.

La promessa del presidente

Il segnale è chiaro: De Laurentiis intende dare a Conte tutto ciò che serve per puntare in alto, senza più alibi o rimpianti. L’obiettivo non è solo il ritorno in Champions League, ma una squadra competitiva su tutti i fronti, costruita su misura per il tecnico pugliese. Il mercato sarà la risposta definitiva alla fame di successi del mister. E anche una sfida lanciata agli altri top club italiani.

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Conte, signore degli scudetti: Napoli sogna la sua stella con l’uomo che non accetta compromessi

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Antonio Conte insegue la sua decima vittoria in Serie A, l’undicesima contando la Premier League conquistata con il Chelsea. È a pari punti con l’Inter, e la sfida per lo scudetto si preannuncia una delle più entusiasmanti degli ultimi anni. Ma oltre ai numeri e ai trofei, Conte ha in mano la possibilità di scrivere una pagina storica del calcio italiano.

Con il Napoli, dopo Juventus e Inter, diventerebbe il primo allenatore a vincere lo scudetto con tre club diversi. Un’impresa mai riuscita a nessuno, nemmeno a Capello (il cui tricolore con la Juve fu revocato). Sarebbe il suo quinto scudetto da allenatore, un titolo che lo consacrerebbe ancora di più nell’Olimpo dei grandi, insieme a Trapattoni, Lippi e Allegri.

L’uomo dei risultati

Conte è il “mister Wolf” del calcio italiano: chi lo chiama, sa che i problemi si risolvono. E, se servono, si creano pure, ma solo dopo aver alzato l’asticella del successo. La sua fame di vittorie non si è mai placata: dalla promozione col Siena nel 2011, fino al dominio juventino e alla rinascita dell’Inter, l’allenatore pugliese è sinonimo di risultato garantito.

Il suo arrivo a Napoli è stato un terremoto. Ha scosso una squadra che sembrava rassegnata, trasformandola in una macchina affamata, pronta a lottare su ogni pallone. Il turning point? Il ko con il Verona ad agosto: lì è nato il nuovo Napoli. Da allora, la squadra è mutata, mentalmente e tatticamente.

Un allenatore totalizzante

Conte è ossessivo, ruggente, inarrestabile. Cambia orari degli allenamenti all’ultimo momento, modifica i giorni di riposo, impone un controllo assoluto su ogni aspetto del club. È adorato dai calciatori, temuto dai dirigenti. Ma vince, sempre. E ora ha cinque giornate per farlo ancora.

De Laurentiis lo sa: con Conte, ha concesso una libertà mai data nemmeno ad Ancelotti. E sa anche che per tenerselo dovrà mantenere le promesse: un mercato da almeno 200 milioni, otto rinforzi, monte ingaggi rivisto verso l’alto. Se c’è una certezza, è che Conte non accetta compromessi. E il suo motto è chiaro: “Chi mi ama mi segua”.

Verso la leggenda

Conte è pronto a cambiare modulo, a reinventare ancora il Napoli. I tifosi lo seguono e lo ringraziano. In lui vedono la possibilità concreta di tornare in vetta, di sognare un nuovo scudetto. Perché con lui, la storia è sempre dietro l’angolo. E questa volta potrebbe avere tinte azzurre.

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Coppa Italia, Dominio Milan: 3-0 all’Inter e i rossoneri vanno in finale

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Il Milan domina il derby e vola in finale di Coppa Italia. I gol di Jovic (doppietta) e Reijnders permettono ai rossoneri non solo di conquistare l’accesso per l’ultimo atto a Roma, ma anche di vincere il terzo derby stagionale contro l’Inter (su cinque giocati) e rovinare i sogni di ‘triplete’ dei nerazzurri. Una vittoria di cuore per la squadra di Sergio Conceiçao, che resta in corsa per il secondo trofeo stagionale. Ma è anche la prestazione dei rimpianti, perché per l’ennesima volta nel corso dell’anno i rossoneri dimostrano di essere all’altezza (se non meglio, visto lo score stagionale) dei cugini interisti. Lautaro Martinez e compagni trovano invece la seconda sconfitta consecutiva dopo il ko col Bologna in campionato: bisogna tornare ad aprile 2023 per trovare due gare perse di fila dagli uomini di Inzaghi.

E il 3-0 fa ulteriormente suonare tutti i campanelli d’allarme possibili, considerando quanto si giocherà l’Inter nelle prossime settimane. Ma, intanto, il sogno ‘triplete’ è già sfumato, mentre il Milan trova la striscia più lunga senza sconfitte nel derby dal periodo tra il 2002 e il 2005 (quando arrivò a 10). L’avvio è equilibrato, mentre su San Siro (presenti oltre 75.500 spettatori con un incasso da 5,8 milioni di euro, record della storia della Coppa Italia) inizia a scendere una pioggia copiosa. La prima occasione arriva dopo 10′, quando Darmian approfitta di uno scontro tra Barella e Theo Hernandez per involarsi verso la porta, il suo destro in diagonale però è troppo largo.

L’Inter prova a fare la partita, mentre il Milan si chiude per poi cercare di ripartire. In ripartenza però sono i nerazzurri ad avere una buona occasione, con Taremi che spreca tutto facendo infuriare i 70mila di San Siro. La squadra di Inzaghi alza i ritmi, approfittando di una dormita della difesa rossonera Barella lancia Dimarco che da posizione defilata colpisce la traversa col mancino. La migliore opportunità arriva sul destro di Lautaro dopo una torre di Taremi: l’argentino, da solo all’altezza del dischetto, sceglie di calciare con l’esterno spedendo la palla altissima. Gol sbagliato, gol subìto, perché il Milan in una delle prime sortite offensive convincenti sblocca il risultato: su cross di Jimenez, Jovic in area anticipa Darmian e di testa porta avanti i rossoneri.

L’Inter prova a reagire, un destro di Bisseck dal limite si spegne a lato. A inizio ripresa ci si aspetta siano i nerazzurri a uscire con più grinta alla ricerca del pari, ma il Milan colpisce subito trovando il raddoppio ancora con Jovic, che risolve una mischia su corner trovando la doppietta personale. Inzaghi prova a svegliare i suoi con un quadruplo cambio inserendo tra gli altri Calhanoglu e Arnautovic, però sono ancora i rossoneri a sfiorare il gol, con una volata di Leao che all’ultimo non trova l’assist giusto per l’accorrente Jovic. Nell’altra area invece serve un super Maignan per rispondere a un colpo di testa ravvicinato di De Vrij. Ma è solo un piccolo lampo, prima del definitivo 3-0 firmato da Reijnders con un mancino su assist di Leao: il derby si tinge di rossonero e finisce pure tra gli olé dei tifosi milanisti.

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