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Salvini blinda Zaia su terzo mandato, Veneto non si tocca

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La Lega serra le fila, assicura “totale sintonia” tra Matteo Salvini e il governatore Luca Zaia e blinda il Veneto: la terra del ‘doge’ non si tocca. Ha un modello di “buon governo” apprezzato dentro e fuori l’Italia, per cui vale il detto ‘squadra che vince non si cambia’. Parole scelte per la breve nota diffusa dopo il consiglio federale del partito, riunito a Roma per un paio di ore. Il segretario prova a rassicurare i suoi, in particolare la Liga veneta. Fibrillazioni e incertezze interne non spariscono di colpo, ma intanto Salvini riempie un silenzio malvisto da parecchi.

Collegato via Zoom c’è Zaia. Secco nei toni, arringa i presenti ad armarsi per una battaglia che descrive come vitale per il Carroccio. Più della roccaforte lombarda, si ripete da giorni, per rendere l’idea. Salvini – raccontano i presenti – annuisce. Insomma, ora il segnale è chiaro e soprattutto gli alleati di governo sono avvisati: la Lega non mollerà il Veneto. A costo di sfidare il limite del terzo mandato, che per legge rende non candidabile Zaia (già al terzo giro) anche se al momento una soluzione al rebus non si vede. E a costo di correre da soli e giocarsela comunque, azzardano i nordisti. Salvini è più cauto: garantisce lealtà e ostenta fiducia. “Con gli alleati troveremo una quadra – dice in tv a Bruno Vespa – e sono sicuro che nessuno voglia mettere in discussione uno dei governi più virtuosi d’Europa per mettere una bandierina da qualche parte”.

Meno diplomatico Massimiliano Romeo. “Essendo un partito del territorio, giustamente la Lega si vuole tenere le regioni dove governa”, ammette il capogruppo al Senato a fine riunione. Parole che prefigurano uno strappo con Fratelli d’Italia e Forza Italia che inevitabilmente ricadrebbe a livello nazionale. Un rischio che Romeo però ridimensiona: “E’ interesse di Meloni, alla fine, trovare una soluzione soddisfacente” per accontentare tutti. A maggior ragione alleati “leali e collaborativi”, rimarca, alludendo ai leghisti e non solo. Fiducioso pure Giancarlo Giorgetti, anche lui al Federale. Il ministro ribadisce che la Lega è “assolutamente” al fianco di Zaia e, infilandosi in macchina, taglia corto sulle eventuali frizioni nel centrodestra.

Convinto che un accordo largo “si trova, si trova”. Salvini prova a chiudere così il primo round della partita che lo assedia da tempo. In gioco c’è la sorte del Veneto, da 15 anni in mano leghista con Zaia e ora ferocemente conteso da Fratelli d’Italia. Non è un mistero che i meloniani non intendano cedere. Nessuna replica, al momento, se non le parole sibilline di Luca De Carlo, il senatore veneto quotato per il dopo Zaia: “Sono sicuro porterà il centrodestra alla scelta del miglior candidato per la regione”. Tace Forza Italia, da sempre contraria a sbloccare il terzo mandato. La frecciata di Maurizio Gasparri (“Troveremo un modo di sfamare Zaia”) in risposta alle accuse del governatore, non è piaciuta affatto ai veneti.

Nè a Zaia che alcuni descrivono come irritato. A sorpresa, invece, gli arriva l’endorsement da Beppe Sala. Il sindaco di Milano rivela di sposare la causa del terzo mandato citando anche il governatore campano Vincenzo De Luca (in standby dopo che il governo ha impugnato la legge regionale alla Consulta che lo autorizzerebbe a correre di nuovo per la presidenza dellaCampania in autunno). I sostenitori di De Luca ringraziano e attendono “con fiducia” la decisione della Corte costituzionale. Ma sul tavolo della Lega restano altre partite da chiudere. Con un nord che si sente a volte poco difeso e sostenuto, e un sud che rivendica più spazio e rappresentanza (i ministri sono tutti del nord, si rimarca in alcuni settori del partito).Intanto, incombe il congresso nazionale, atteso da molto tempo. Il segretario ne avrebbe accennato nel Federale, raccontano diversi partecipanti, proponendo che si faccia a marzo.

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Politica

Schlein: Meloni si può battere, subito 5 miliardi su sanità

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Meloni si può battere ma “non inseguendoli sul terreno che scelgono per stare comodi: giustizia, immigrazione, sicurezza. Ma occupandoci di temi economici e sociali. Non ne parlano mai. E gli italiani pagano questa inerzia”. Così, al Corriere della Sera, la segretaria del Pd Elly Schlein. “Lontano dalla propaganda del governo c’è il calo della produzione industriale che va avanti da 22 mesi – aggiunge -. I salari più bassi d’Europa, le bollette che aumentano, le liste d’attesa, i treni sempre in ritardo. Se il governo prova a distrarre l’attenzione, individuando un nemico nuovo al giorno, è per sfuggire questi problemi. È di questo che noi parliamo con gli italiani”. “Noi accanto a ogni critica avanziamo una proposta alternativa. Con le altre opposizioni abbiamo concepito emendamenti, con relative coperture, per dare 5 miliardi in più alla sanità pubblica. Abbiamo suggerimenti sulle politiche industriali per la manifattura, sul lavoro. Ma la destra, con la sua arroganza, non le considera e le affossa”, afferma.

Dentro il Pd, le viene sottolineato, c’è chi la accusa di accentrare le decisioni: “Il Pd è il partito che discute di più. Fa congressi veri. Riunisce gli organi. Il Pd è e deve essere plurale, ma non deve più perdere la chiarezza delle posizioni che assume”. Rispetto alla posizione di Franceschini sulle alleanze, Schlein afferma: “Siamo tutti d’accordo che non potremo andare al voto come alle ultime Politiche. Essere ‘testardamente unitari’ è quello che chiede la nostra gente ed è quello che ci ha portato risultati importanti. Abbiamo la responsabilità di unire le forze contro il governo più a destra della storia repubblicana. Non è il tempo di piani B, ma di costruire una prospettiva comune”.

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Elisabetta Trenta, dalla difesa del M5S alla segreteria della Democrazia Cristiana

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Nel 2021 Elisabetta Trenta lasciava il Movimento 5 Stelle con un’uscita teatrale: «Lascio, ma non la politica; scendo qui proprio per ricominciare». Un messaggio ambiguo che oggi trova una conferma nel suo nuovo ruolo di segretaria della Democrazia Cristiana, partito con radici forti in Campania e distante anni luce dal grillismo che l’aveva portata al governo.

Un cambio di rotta netto, che però l’ex ministra della Difesa non considera un’incoerenza. «Io nasco di centro, non vedo contrasti tra il mio passato nei 5 Stelle e la DC. Credo in una politica che metta al centro i cittadini», afferma.

Dalla politica alla politica, senza mai fermarsi

Classe 1967, originaria di Velletri, Trenta ha una storia familiare legata al mondo cattolico: padre presidente dell’Azione Cattolica, madre insegnante. Dopo una laurea in Scienze Politiche con indirizzo economico e due master, si specializza in sicurezza e intelligence, fino a diventare esperta senior della Task Force Iraq a Nassiriya per la Farnesina.

Il suo primo approccio alla politica avviene proprio nell’area centrista, con il CCD, che poi si trasforma in UDC. Ma l’esperienza si interrompe bruscamente: «Mi schifai e mi allontanai dalla politica», racconta oggi.

Poi arriva l’incontro con il Movimento 5 Stelle, che le permette di raggiungere l’apice della carriera politica: ministra della Difesa nel governo Conte I, fortemente voluta da Luigi Di Maio. Tuttavia, con la caduta del governo, la sua immagine subisce un duro colpo a causa del caso dell’appartamento di servizio: accusata di aver mantenuto l’alloggio destinato ai membri dell’esecutivo, giustificò la sua permanenza spiegando che la casa era stata assegnata al marito, Claudio Passarelli, maggiore dell’Esercito.

Il ritorno al centrismo e lo scontro interno alla DC

Conclusa l’esperienza con il M5S, Trenta torna alla sua originaria vocazione centrista e nel 2023 aderisce alla Democrazia Cristiana. Ma anche qui la sua ascesa è tutt’altro che tranquilla: i contrasti con il leader del partito, Antonio Cirillo, portano a una rottura insanabile. La situazione degenera fino alla convocazione di un congresso straordinario, che si è concluso poche ore fa tra polemiche e accuse di golpe.

Nonostante le contestazioni interne, Trenta è stata eletta segretaria del partito e ha subito respinto le critiche: «Chi mi conosce sa che non è il mio stile. Finalmente si riparte».

Il futuro della nuova DC

Ora la sfida per l’ex ministra è quella di dare una nuova direzione alla Democrazia Cristiana, consolidando un progetto politico che possa rappresentare una valida alternativa ai poli tradizionali.

Con una storia fatta di cambi di casacca e rotture improvvise, Elisabetta Trenta si prepara a un nuovo capitolo della sua carriera politica. La domanda è: questa volta resterà o cercherà ancora un’altra strada?

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Cesare Parodi nuovo presidente dell’Anm: “Difenderò la magistratura”

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Il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha eletto Cesare Parodi nuovo presidente del sindacato delle toghe. Insieme a lui, sono stati scelti Ruocco Maruotti (Area) come segretario generale e Marcello De Chiara (Unicost) come vicepresidente. La giunta eletta è unitaria e comprende rappresentanti di tutti i gruppi, eccetto Articolo 101.

Parodi, 62 anni, è procuratore aggiunto a Torino e appartiene alla corrente Magistratura Indipendente, considerata moderata e che ha ottenuto il maggior numero di voti alle recenti elezioni per il direttivo dell’ANM.

“Non possiamo rinunciare a nessuna strada per la difesa della magistratura” ha dichiarato il neo presidente, annunciando la richiesta di un incontro con il Governo per affrontare le tematiche più urgenti che riguardano la giustizia in Italia.

Chi è Cesare Parodi?

Cesare Parodi è nato a Torino il 28 maggio 1962. Dopo aver indossato la toga nel 1990, ha iniziato la sua carriera presso la procura della pretura di Torino, per poi passare nel 1999 alla procura ordinaria del tribunale.

Nel 2017 è stato nominato procuratore aggiunto, assumendo il coordinamento del pool fasce deboli, il gruppo specializzato nella trattazione dei reati previsti dal codice rosso (violenza domestica, abusi su minori, stalking e violenze di genere).

I colleghi gli hanno sempre riconosciuto grandi capacità organizzative, oltre a un rigore che si traduce in un’estrema riservatezza e terzietà nel suo operato. Questi valori sono stati sottolineati anche nelle sue precedenti campagne per incarichi nell’associazionismo giudiziario, legate alla corrente Magistratura Indipendente.

Tra gli slogan con cui ha sostenuto la sua candidatura in passato spiccano due frasi significative:

  • “Se le tue idee politiche ti sono altrettanto care della riservatezza e terzietà che il nostro ruolo ci impone”
  • “Se non sei interessato a dare lezioni di democrazia agli altri, ma non sei disposto ad accettare quelle che altri pensano di potere dispensare”

Un esperto di diritto penale

Oltre alla carriera in magistratura, Parodi è un autore prolifico, avendo scritto circa 350 articoli su temi di diritto penale e procedura penale. Ha anche curato diversi manuali di riferimento, tra cui:

  • “Il diritto penale dell’impresa” (Giuffrè, 2017)
  • “I procedimenti penali speciali” (2019)
  • “La nuova riforma delle intercettazioni” (2020)

Ha inoltre partecipato come formatore e relatore a numerosi corsi della Scuola Superiore della Magistratura, contribuendo alla crescita professionale delle nuove generazioni di magistrati.

Una nuova fase per l’Anm

Con l’elezione di Cesare Parodi alla presidenza dell’Anm, il sindacato delle toghe si prepara ad affrontare sfide cruciali, tra cui il delicato rapporto tra magistratura e politica e le riforme della giustizia in discussione.

L’annuncio di un imminente incontro con il Governo fa presagire un confronto acceso su temi come l’autonomia della magistratura e la separazione delle carriere. Parodi, forte della sua lunga esperienza e del suo approccio pragmatico, sarà chiamato a difendere con fermezza l’indipendenza della magistratura, in un contesto sempre più complesso e pieno di tensioni.

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