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Terrorismo e piano evacuazione da Kabul, Draghi schiera gli 007 in campo

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Due ore di confronto, 120 minuti di audizione davanti al Copasir per il direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli, convocato per fare il punto sull’emergenza Afghanistan e sui rischi per la sicurezza dell’Italia, tema affrontato nel pomeriggio, in vista della riunione straordinaria del G7 di domani, in una riunione a Palazzo Chigi tra il premier Mario Draghi, i ministri degli Esteri e della Difesa, Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini, il sottosegretario con delega alla Sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli, e il direttore generale del Dis, Elisabetta Belloni. Tra i nodi affrontati dal Copasir, in primo luogo, la corsa contro il tempo per completare, in sicurezza, il piano di evacuazione dei nostri collaboratori e dei loro familiari. Una attivita’ che dovra’ concludersi entro il 31 agosto, ma sulla quale l’intelligence sta gioco forza svolgendo una attivita’ di monitoraggio: una sorta di “screening”, in coordinamento con i colleghi statunitensi e britannici, al fine di scongiurare il rischio che tra di profughi che in questi giorni stanno sbarcando a migliaia a Fiumicino, grazie al ponte aereo approntato dalla Difesa, si possano nascondere potenziali terroristi, potenziali minacce per la sicurezza interna. Sul punto, il numero uno dell’Aise, che in Afghanistan ha lavorato in passato da ‘operativo’ e quindi conosce bene il territorio e le sue dinamiche, ha esaminato le conseguenze della nascita dell’Emirato islamico anche in riferimento alle attivita’ delle organizzazioni terroristiche che hanno consolidate basi operative in Afghanistan. Il timore degli 007 e’ che il Paese possa tornare in breve tempo ad essere un laboratorio dell’estremismo jihadista. Le attivita’ di evacuazione, intanto, proseguono senza sosta. A Roma oggi sono giunti oltre 300 profughi da Kabul, via Kuwait. Dal giugno scorso sono oltre 3.350 i cittadini tratti in salvo, 2.187 quelli gia’ giunti in Italia (di cui 574 donne e 667 bambini) negli ultimi giorni. Altre 1.300 persone sono in attesa di partire dall’aeroporto di Kabul. “E’ una operazione molto complessa e delicata”, spiega il ministro della Difesa Guerini, oggi in visita al Covi, il Comando operativo di vertice interforze. “Un lavoro di squadra grazie alla collaborazione tra i Ministeri della Difesa, Esteri, Interni e i servizi di informazione”. Nella serata di ieri, nel corso di una telefonata con il Segretario della difesa degli Usa Lloyd Austin, il ministro Guerini ha ringraziato gli americani per la messa in sicurezza dello scalo afghano che “consente alle varie missioni nazionali – sottolinea la Difesa – di attuare il dispositivo di evacuazione pur in un contesto compromesso e instabile”. La situazione nella capitale afghana resta, comunque, tesa e complessa. Una conferma in tal senso arriva dall’ospedale di Emergency. “Lo staff maschile e femminile che opera nella struttura sta proseguendo nel lavoro” ma una parte dei collaboratori “sta cercando di ottenere il visto per se’ e la sua famiglia per lasciare l’Afghanistan”, annuncia il coordinatore medico a Kabul Albero Zanin che ha anche detto di aver comunque avuto assicurazioni da esponenti di governo dei talebani sul fatto che l’attivita’ ospedaliera non sara’ ostacolata. I profughi giunti in Italia vengono trasferiti sul territorio, prima in luoghi per la quarantena e poi in strutture ricettive. “Da sabato abbiamo gia’ sistemato circa mille persone negli alberghi, ovviamente senza dividere i nuclei familiari”, annuncia il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Sono, invece, 206 profughi afgani, tra cui 85 minori, giunti all’alba nel soggiorno militare di via Lamarmora a Sanremo. Due le parole pronunciate in italiano da alcuni di loro: “grazie Italia”. “Abbiamo bisogno di qualunque genere e tipo di materiale – afferma il presidente della Croce Rossa di Sanremo Ettore Guazzoni -. Oggi abbiamo fornito alcuni beni di prima necessita’ ma visto il numero cosi’ alto di bimbi sarebbe bello ricevere in donazione dei vestitini o anche abiti per gli adulti”. Nuovi arrivi anche alla base militare di Sigonella dove il numero dei profughi atterrati e’ salito a 662. Il primo gruppo era arrivato su un KC-10 Extender dell’U.S. Air Force dalla base aerea di Al Udeid, Qatar, poi ci sono stati altri due arrivi con altrettanti C-17 Globemaster III. Dal canto loro la Base Aviano (Pordenone) annuncia di essere “pronta a supportare, attraverso le strutture militari statunitensi in Italia, il transito di persone in partenza dall’Afghanistan verso localita’ di reinsediamento”.

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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