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Cronache

Terrore in carcere, due detenuti rinchiudono in cella un agente, gli prendono le chiavi e provano ad ammazzare un ex pentito di camorra

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Avevano un piano. Hanno finto un malore per farsi accompagnare  in infermeria fingendo. Al rientro in cella, armati di forbici e lamette,  hanno immobilizzato l’agente di polizia penitenziaria, l’hanno rinchiuso in una cella e gli hanno sottratto le chiavi. Con quelle chiavi hanno tentato di aprire altre celle, in particolare quella dove era detenuto, in regime di isolamento, il vero bersaglio: un ex collaboratore di giustizia con cui, è stato riferito, i rapporti erano tesi e le liti continue o, altra versione che le indagini dovranno appurare, per eseguire l’ordine arrivato dell'”esterno” di ucciderlo. Per questo i due detenuti di origini campana, pure loro in isolamento, che ieri sera nel carcere milanese di Bollate, attorno alle 22, hanno aggredito l’agente e creato attimi di allarme, sono stati denunciati alla Procura di Milano per sequestro di persona. Nei loro confronti, inoltre, la direzione dell’istituto di pena ha aperto una inchiesta interna sui cui vige riserbo e un procedimento disciplinare: per loro sono stati disposti 15 giorni in isolamento e, accanto al loro trasferimento in altre strutture, e’ stato proposto al Dap di applicare il regime di sorveglianza particolare (art. 14 bis dell’ordinamento penitenziario). A dare notizia della vicenda sono state varie sigle sindacali fornendo anche ricostruzioni particolareggiate di quanto accaduto. Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato Polizia Penitenziaria, in una nota ha fatto sapere che “i due detenuti avevano l’intenzione di uccidere un collaboratore di giustizia anch’esso recluso presso il reparto isolamento” ma “fortuna ha voluto che non siano riusciti ad aprire la cella dove era rinchiuso”. Invece “il malcapitato è rimasto per lungo tempo in balia dei due, impotente, scioccato per quanto stava accadendo”, fino a quando “le urla che provenivano dalla sezione isolamento” – urla che, insieme a quelle dei detenuti, l’agente sotto sequestro “non ha mai smesso di lanciare” – hanno attirato l’attenzione dei suoi colleghi”. I quali “solo dopo una lunga trattativa con i due rivoltosi, (…) a fatica sono riusciti” a liberarlo e “a garantire l’incolumità del collaboratore di giustizia, senza che nessuno subisse danni”. Per il sindacalista, “l’ordine di uccidere il pentito” potrebbe essere “giunto dall’esterno”, cosa che pero’ dovra’ essere accertata. Per Gennarino De Fazio, della UilPa Polizia Penitenziaria nazionale, “anche questa volta le conseguenze peggiori sono state evitate per circostanze fortunose (…). E’ di tutta evidenza – si legge in un comunicato – che non ci si puo’ affidare alla provvidenza e, lungi dal voler impersonare la Cassandra, sembra scontato che non potra’ andare sempre bene: se ci dobbiamo affidare al soccorso dei detenuti per garantire la sicurezza delle istituzioni e per portare a casa la pelle, siamo al fallimento del sistema d’esecuzione penale dello Stato”. Ora si attende la formale apertura di una inchiesta penale.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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