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Cronache

Sui lavori a casa 4 miliardi di frodi, ed è scontro sul Superbonus

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La stretta sui “furbetti” del Superbonus comincia a dare i suoi frutti, con i crediti bloccati che hanno fatto un balzo da 1 a 4 miliardi in poco piu’ di un mese. Ma i dati snocciolati dal premier Mario Draghi per spiegare la “riluttanza” del governo ad eliminare i paletti come quello dell’Isee per le villette riaprono lo scontro sul 110%, con il Movimento 5 Stelle che respinge la lettura del super incentivo come colpevole di “distorsioni” e rincari dei prezzi. L’intesa sulla manovra raggiunta con grande ritardo sul filo dell’esercizio provvisorio, e rimasta appesa per giorni proprio alla revisione del Superbonus, lascia strascichi di malcontento che i partiti esprimono pero’ quasi solamente nei capannelli. D’altronde, afferma il premier, non e’ che la situazione sia “senza precedenti, e’ successo tantissime volte” e la manovra e’ stata accompagnata “da un lunghissimo confronto politico”. A dire il vero appare un inedito il voto in commissione concentrato in appena 12 ore. E rischia di creare qualche ulteriore intoppo per la Ragioneria, impegnata a verificare modifiche e relative coperture per consentire al governo di presentare il maxiemendamento in tempo per arrivare all’ok con fiducia in Aula al Senato prima di Natale. Nel frattempo Palazzo Madama ha anche dato il via libera finale alla delega sulla disabilita’ lunedi’ e domani, prima della manovra, mettera’ il sigillo sul decreto Recovery bis, due dei provvedimenti che hanno consentito al governo di “centrare tutti e 51 gli obiettivi del Pnrr”, come ha annunciato Draghi. E che ora apriranno la porta alla firma con la Commissione Ue dell’accordo operativo – che dovrebbe avvenire sempre prima di Natale – per ottenere la prima tranche da circa 40 miliardi di fondi europei all’inizio dell’anno. Per l’assegno pero’ servira’ un “tempo istituzionale” di circa 3 mesi, come ha precisato il commissario Ue Paolo Gentiloni. Sui risultati del Recovery l’esecutivo consegnera’ un’apposita relazione al Parlamento che in un tour de force dovra’ chiudere prima della fine dell’anno la manovra, per far scattare il taglio dell’Irpef ma anche le misure per raffreddare le bollette di luce e gas, coi prezzi oramai alle stelle. Non e’ escluso, peraltro, che gia’ a inizio anno il governo debba pensare ad “andare oltre” i 3,8 miliardi stanziati piu’ la possibilita’ di pagare in 10 rate le bollette del primo trimestre, perche’ i rincari, spiega Draghi, sono ben piu’ alti di quanto stimato. La Lega continua a chiedere di aprire al piu’ presto il tavolo istituzionale che pero’ non si dovrebbe tenere prima di gennaio. E sempre con l’anno nuovo bisognera’ portare avanti anche il tavolo per la riforma delle pensioni, appena avviato, che dovrebbe affrontare i nodi della flessibilita’ in uscita, ma anche le pensioni di garanzia per i giovani e chi ha attivita’ precarie, la previdenza complementare e anche “evitare che sia punito” chi vuole continuare a lavorare dopo la pensione, secondo l’elenco fornito dal presidente del Consiglio. Le parole piu’ dure il premier le riserva pero’ al Superbonus: “E’ una misura che ha dato molto beneficio, ma ha creato distorsioni” come “l’aumento straordinario dei prezzi” e l’incentivo a “moltissime frodi”, dice, sottolineando che e’ stato il Parlamento, usando i suoi fondi, a estenderlo di nuovo. E per sostanziare le sue affermazioni fornisce i dati piu’ aggiornati che vedono “4 miliardi di crediti dati come cedibili” e sono stati bloccati. L’Agenzia delle Entrate precisa che si tratta di frodi che interessano tutti gli incentivi all’edilizia, non solo il Superbonus, anche se secondo alcune fonti al 110% sarebbero imputabili 3,7-3,8 miliardi su 4. Segno, probabilmente, anche di un focus dei controlli sul super incentivo, dopo l’introduzione del decreto anti-frodi, che potrebbe essere rafforzato con nuove misure per escludere dai benefici ad esempio le imprese non in regola con le norme sulla sicurezza sul lavoro, come ipotizzato dal ministro Andrea Orlando. Intanto pero’ il Senato ha allentato la stretta anti-frodi, esentando dall’obbligo di visto di conformita’ e di asseverazione i piccoli lavori entro i 10mila euro.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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