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Storia di Riccardo Casamassima, carabiniere testimone del pestaggio e dell’uccisione di Stefano Cucchi: da quando ho testimoniato la mia vita è un inferno…

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Il carabiniere Riccardo Casamassima è il supertestimone che, dopo una prima inchiesta conclusasi con un nulla di fatto, ha consentito la riapertura delle indagini sul caso di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato per possesso di droga nella notte fra il 15 ed il 16 ottobre del 2009 e deceduto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma.

È la sua testimonianza a rappresentare una svolta, dando il via alle indagini che porteranno ad inquisire non solo i carabinieri coinvolti nel pestaggio, ma anche gli ufficiali che si sarebbero adoperati per nascondere la verità. Spinge inoltre il carabiniere Francesco Tedesco, testimone oculare del pestaggio, a raccontarne in aula i dettagli.

La stretta di mano in aula di Tedeschi e Ilaria Cucchi

La nuova inchiesta, affidata al pubblico ministero di Roma Giovanni Musarò, culmina nella sentenza del 14 novembre 2019 della prima Corte di Assise di Roma. I carabinieri Alessio di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, responsabili del pestaggio, sono condannati a 12 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Francesco Tedesco – il terzo militare presente al momento del pestaggio e testimone chiave – è invece condannato a 2 anni e 6 mesi per falso; per lo stesso reato viene condannato il maresciallo Roberto Mandolini a 3 anni e 8 mesi.

Dopo dieci anni di battaglie e processi, Ilaria Cucchi e i suoi genitori ottengono dunque giustizia. Ma per l’appuntato scelto Riccardo Casamassima cominciano i problemi. Almeno così pensa lui. Nel giugno 2018, dopo la sua deposizione in aula – che risale al 15 maggio 2018 – a Casamassima viene notificato il trasferimento presso la scuola allievi dei carabinieri di Roma. Per Casamassima si tratta di un demansionamento e conseguente riduzione dello stipendio.

Stefano Cucchi. Ancora inquietanti verità sulla sua morte

“Quando mi sono arruolato, non avrei mai immaginato di finire a fare il portinaio. Il comandante generale ha deciso così, dopo che ho testimoniato dando alla famiglia di Stefano la verità”, commenta Casamassima su Facebook. In un altro post l’appuntato scelto denuncia che “dopo vent’anni di servizio dovrò farmi le vacanze di Natale in due soli giorni, 24 e 25 dicembre, unico nel reparto ad aver solo due giorni di festa”.

Sul suo profilo social emergono i dettagli del suo presunto demansionamento; dopo tanti anni spesi al reparto mobile, si ritrova adesso ad alzare la sbarra automatica del parcheggio della scuola per allievi carabinieri. “Sto andando anche oggi ad alzare la sbarra alle nuove leve: il fenomeno da baraccone… Che segnale stiamo dando ai nuovi carabinieri?” scrive sempre Casamassima sulla sua pagina social.

Il comandante generale dell’Arma Giovanni Nistri nell’ottobre 2018 invitò chiunque sapesse qualcosa sul caso Cucchi a parlare. Alcuni mesi più tardi avrebbe poi scritto una lettera di vicinanza alla famiglia Cucchi. Sempre su Facebook, Casamassima lamenta però che “Il comandante generale non ha voluto ricevermi nonostante quattro istanze presentate. Mi continuano a negare il ricongiungimento. Mi sono fidato dello Stato, quando dicevano chi sa parli, ora lo Stato mi deve tutelare”. In un altro post si chiede: “perché mai nessuno dal Comando Generale mi ha detto che ho fatto la cosa giusta nel testimoniare?”

Con l’Avvocato Serena Gasperini, difensore di Casamassima, abbiamo avuto modo di ripercorrere la vicenda del carabiniere, dal momento in cui viene a sapere del pestaggio di Cucchi per la prima volta, sino alla sua attuale condizione, giudicata ritorsiva e conseguenza diretta della scelta di testimoniare in aula.

Avvocato Gasperini, quando e come Casamassima venne a conoscenza del pestaggio?

Nell’ottobre del 2009. Una mattina il maresciallo Roberto Mandolini (comandante della stazione Appia, da cui partirono i carabinieri che arrestarono Cucchi, ndr) arrivò in caserma a Tor Vergata e, visibilmente scosso, disse a Casamassima che “è successo un casino, i ragazzi hanno menato un arrestato”. Mandolini si diresse poi nell’ufficio del comandante della stazione Enrico Mastronardi. Qui c’era Maria Rosati, compagna del mio assistito e anche lei carabiniere, che, prima di uscire dall’ufficio, assistette alla scambio di battute fra i due. “I ragazzi hanno massacrato un arrestato, Cucchi. Dobbiamo cercare di scaricare la colpa sulla polizia penitenziaria”, così si rivolse Mandolini a Mastronardi. Qualche giorno dopo Casamassima raccolse la confidenza di un altro carabiniere, Sabatino Mastronardi, figlio del comandante di Tor Vergata Enrico e maresciallo in servizio a Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato durante la notte, dopo il pestaggio avvenuto alla caserma Casilina. In quell’occasione gli confessò: “Non ho mai visto un ragazzo messo così male”.

La deposizione di Casamassima ebbe luogo soltanto nel 2015, sei anni dopo la morte di Stefano Cucchi. C’è un momento preciso in cui ha deciso di testimoniare? E perché dopo così tanto tempo?

Casamassima non seguì tutto il caso e la vicenda processuale. La notizia del pestaggio era peraltro già nelle mani dei suoi superiori e si aspettava che fossero loro a riferire all’autorità giudiziaria. Solo al termine del primo processo Cucchi (con la sentenza della Corte di Appello del 31 ottobre 2014, in cui vennero assolti per insufficienza di prove gli imputati, medici e infermieri dell’ospedale Sandro Pertini e agenti della polizia penitenziaria, ndr) si rese conto che ciò che era stato detto e sentito dalla collega Rosati era davvero accaduto: scaricare la colpa sulla polizia penitenziaria. Riccardo così iniziò a riflettere e poi decise di raccontare di quella frase pronunciata dal Mandolini. Quando Casamassima vide in televisione il dolore di Ilaria Cucchi e dei suoi genitori dopo l’assoluzione degli imputati, rimase profondamente colpito; a quel punto, di concerto con la sua compagna, Maria Rosati, decisero senza alcun indugio di testimoniare.

Ci racconta il primo incontro del suo assistito con Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo?

Si videro in un bar. Riccardo raccontò ciò che sapevano lui e la compagna; le dichiarazioni di Mandolini e quelle di Sabatino Mastronardi. L’avvocato Anselmo era molto scettico. Ilaria aveva gli occhi lucidi: stava ascoltando per la prima volta la conferma di ciò che aveva sempre temuto. Per Riccardo non fu affatto semplice dirle in faccia la verità: suo fratello era stato pestato.

Casamassima formalizzò le dichiarazioni il 30 giugno 2015, convocato dal pm Giovanni Musarò, che coordinava l’indagine bis. Che successe a quel punto?

Casamassima venne trasferito al battaglione Tor di Quinto; lì però lavorava anche Mandolini. Riccardo ha dovuto quindi lavorare a stretto contatto con la persona che aveva denunciato, fra lo stupore dei suoi superiori. Sebbene non vi fossero scontri tra i due, la situazione era delicata. Tuttavia l’Arma non ritenne di dover trasferire Mandolini. 

Che altro è successo al suo assistito?

Improvvisamente Casamassima si è visto notificare l’apertura di diversi provvedimenti disciplinari. Uno in particolare lo lasciò molto perplesso, perché era risalente nel tempo e relativo ad un danneggiamento alla macchina di servizio causato dal mal funzionamento di un cancello automatico. Altro inaspettato evento accadde subito dopo il 15 maggio 2018, giorno della sua escussione innanzi la Corte di Assise di Roma (processo Cucchi bis). Precisamente il 13 giugno Casamassima veniva raggiunto da un trasferimento “d’autorità”, dunque imposto e non richiesto.

Venne trasferito alla scuola allievi. Questo cambio al Casamassima ha implicato una rilevante riduzione dello stipendio, un importante demansionamento e un grave impatto sulla gestione dei figli minori considerata la distanza chilometrica tra l’abitazione familiare e la Scuola Allievi (circa 50Km) e la turnazione della propria compagna e collega Rosati. 

In questi mesi Casamassima ha fatto appello alle istituzioni perché si interessassero al suo caso. Ha ottenuto qualche risposta?

Casamassima ha sempre ribadito di aver fatto il proprio dovere, ha sempre cercato il confronto con i propri superiori rispettando la scala gerarchica ma non ha trovato sostegno alcuno; si è trovato da solo ed in grandissima difficoltà. Si è così rivolto alle istituzioni. Ha scritto alle PEC di Conte e di Di Maio senza ricevere risposta. Di recente sono state presentate due istanze al Ministro della Difesa Guerini; siamo in attesa di un riscontro. Alla fine si è rivolto al web. Le denunce su Facebook e le interviste rilasciate da Casamassima (costate con provvedimenti disciplinari e procedimenti penali) hanno fatto sì che alcuni parlamentari si interessassero alla sua situazione. Si è così attivato l’organismo di controllo dell’anticorruzione, che per la prima volta ha fatto accertamenti sulle forze di polizia. L’Anac, dopo aver ricostruito la vicenda, ha riscontrato delle gravi irregolarità nella gestione del suo trasferimento che ha valutato essere “ritorsivo/punitivo”; ha dunque avviato un procedimento sanzionatorio nei confronti di chi firmò quei provvedimenti per trasferirlo. L’inchiesta dell’Anac dovrebbe concludersi entro febbraio. Casamassima vuole solo ritornare a svolgere il suo lavoro e le sue mansioni operative.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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Comune revoca cittadinanza al duce, la dà a Matteotti

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Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.

“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.

A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.

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Becciu: Papa Francesco aveva la soluzione, non possono escludermi

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Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.

Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.

La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.

Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.

Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.

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