Collegati con noi

In Evidenza

Stop ad Arcuri, serve una legge: il Pd alza la voce sulla App Immuni

Pubblicato

del

Anche il Pd ha dubbi ed interrogativi e la strada per la creazione della App di tracciamento si complica. Sono state le esternazioni del commissario Domenico Arcuri sulle possibili limitazioni ai cittadini che non scaricheranno la App Immuni, a spingere i capigruppo del Pd Graziano Delrio e Andrea Marcucci ad alzare la voce per pretendere dal governo una legge per autorizzare la App anti-Covid. Una duplice esternazione che arriva per non far scavalcare il partito dalle richieste delle opposizioni, peraltro ritenute giuste, e che e’ la prima iniziativa politica autonoma dopo le lamentele della scorsa settimana per l’esclusione dei gruppi nella gestione della crisi. Una critica emersa soprattutto nella riunione on line di Base Riformista, la corrente a cui fa riferimento la maggior parte dei parlamentari Dem. Il fastidio per le iniziative del governo Conte e di Arcuri, prese ignorando completamente il Parlamento erano emerse gia’ ieri, quando il Dem Enrico Borghi e Antonio Zennaro (M5s) avevano sollevato al Copasir il tema della sicurezza nazionale per quanto riguarda l’assetto proprietario della societa’ Bending che ha sviluppato la App. Per certi versi e’ la stessa questione che riguarda il 5G, vale a dire se dietro all’azienda che ha sviluppato il servizio, ci sono governi stranieri e, in caso contrario, che garanzie danno i proprietari privati visto che qui si tratta di dati sensibili di una intera popolazione. Dopo che i quotidiani hanno riferito le ipotesi di Arcuri di prevedere limitazioni nei movimenti per chi non scarica Immuni, l’altro Dem Filippo Sensi ha subito reagito: “Leggo di restrizioni per chi non scarichera’ la app di tracciamento. Decisioni che mettano capo a cittadini di serie A e di serie B sono contro la Costituzione. Il sistema a punti lasciamolo ai paesi autoritari. Sicurezza e’ liberta’”. Sono quindi arrivate le dichiarazioni nette di Delrio e Marcucci che hanno affermato che per consentire la App, che va a toccare i diritti dei cittadini, occorre una legge, e non un semplice Dpcm. Tanto meno una ordinanza della Protezione civile. “Il tema del tracciamento del movimento dei cittadini – ha spiegato Stefano Ceccanti, costituzionalista e capogruppo Pd in Commissione Affari costituzionali – e’ materia delicatissima di bilanciamento tra diritti, e non si puo’ sfuggire alla fonte primaria, cioe’ ad una legge, perche’ questa garantisce l’accesso alla Corte Costituzionale in caso di sproporzione dell’intervento. Ovviamente si puo’ procedere anche con un decreto del governo che poi il Parlamento deve convertire in legge”. D’altra parte sul coinvolgimento del Parlamento anche in M5s ci sono orecchie sensibili. Il presidente della Commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia lo ha sottolineato, suggerendo una mozione di indirizzo delle Camere e sulla base dei suoi contenuti un decreto del governo. Le opposizioni non hanno intenzione di sorvolare su un tema di tale portata e con Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Enrico Costa e il governatore Zaia hanno fatto l’identica rivendicazione: non si prescinde da una legge. D’altra parte Delrio e Marcucci convengono sul pieno coinvolgimento delle opposizioni: una iniziativa cosi’ penetrante sui diritti dei cittadini, per essere accettata, deve avere ai loro occhi una legittimita’ che solo l’unanimita’ del Parlamento puo’ dare. I gruppi Dem sono quindi intenzionati a mettere una serie di paletti alla App sia che si proceda con una mozione preventiva al decreto sia che ci si muova in sede di conversione: garanzie sull’assetto societario dell’azienda sviluppatrice; anonimia dei tracciati; conservazione dei dati e del back up in un sito italiano a controllo pubblico. L’approvazione bipartisan non e’ pero’ scontata: Zaia ha chiesto l’obbligatorieta’ della App per raggiungere il 60% della popolazione indicata dagli esperti come base minima, difficilmente raggiungibile con la volontarieta’ visto che solo il 63% di tutti i residenti hanno il cellulare. La app sara’ efficace infatti, sottolinea il Comitato tecnico scientifico (Cts), solo se sara’ usata da almeno “il 70-80 per cento degli italiani”. Ma sulla obbligatorieta’ il voto bipartisan vacilla.

Advertisement

Esteri

Israele distrugge l’aeroporto a Sanaa, tregua Usa-Houthi

Pubblicato

del

“Tutto il cielo di Sanaa è fumo, un’atmosfera di panico e paura”, ha scritto sui social un anonimo abitante della capitale yemenita dopo l’attacco dei caccia israeliani che ha distrutto l’aeroporto internazionale da anni in mano al gruppo filoiraniano degli Houthi. Oltre agli aerei civili che erano sulle piste dello scalo. Il secondo raid in 24 ore, in risposta al missile lanciato domenica sull’aeroporto di Tel Aviv, che ha beffato la difesa colpendo vicino al terminal principale dello scalo. Subito dopo, le minacce di rappresaglie reciproche tra Houthi e Israele, poi il colpo di scena. Il presidente Donald Trump ha annunciato dallo Studio Ovale che gli Stati Uniti porranno immediatamente fine ai bombardamenti contro gli ex ribelli che oggi governano buona parte dello Yemen poiché hanno informato l’amministrazione di “non voler più combattere”.

“Gli Houthi hanno capitolato”, ha reso noto il Commander in chief. “Ci fideremo della loro parola. Dicono che non colpiranno più le navi nel Mar Rosso: e questo era lo scopo del nostro lavoro”, ha aggiunto. Subito dopo, è arrivata la conferma di un accordo di cessate il fuoco tra Washington e gli yemeniti dall’Oman, tradizionale mediatore in Medio Oriente e che anche in questo caso ha tenuto i contatti con le due parti. Non c’è una tregua all’orizzonte invece tra Houthi e Israele. Un alto funzionario delle milizie ha assicurato che “le operazioni contro Israele a sostegno di Gaza continueranno”. Nelle ore precedenti decine di aerei da combattimento dello Stato ebraico hanno sganciato sull’aeroporto di Sanaa 50 bombe, mettendolo fuori uso in un quarto d’ora, ha fatto sapere l’Idf. Secondo fonti yemenite, sono stati attaccati almeno tre centrali elettriche, una scuola di aviazione e una fabbrica che produce elementi utili per assemblare missili.

L’operazione israeliana chiamata “Città delle formiche” mirava a rendere inutilizzabili gli hub dove approdano le armi inviate dai pasdaran. Il ministro della Difesa Israel Katz, in una nota congiunta con il premier Benyamin Netanyahu, ha puntato il dito verso la guida suprema della repubblica islamica, Ali Khamenei: “Questo è un messaggio di avvertimento al capo della piovra iraniana. Siete direttamente responsabili di ogni attacco degli Houthi contro lo Stato di Israele e pagherete interamente le conseguenze”, ha avvertito. Mentre l’annuncio di Trump sullo stop ai bombardamenti in Yemen ha provocato sconcerto tra i funzionari dello Stato ebraico. Per quanto riguarda Gaza, Gerusalemme ha affermato di non sapere nulla di una indiscrezione di fonte egiziana secondo cui il Cairo ha accettato la proposta americana di un cessate il fuoco nella Striscia prima della visita di Trump in Medio Oriente che comprende l’apertura di corridoi umanitari verso Gaza e il rilascio di un numero limitato di ostaggi, tra cui l’israelo-americano Idan Alexander.

Il governo israeliano sta riponendo nel frattempo grandi speranze sul viaggio del presidente Usa a Doha: l’auspicio è che convinca i qatarioti a fare pressing su Mohammed Sinwar, attuale leader militare di Hamas, affinché ammorbidisca le posizioni sui rapiti e accetti di disarmare. E proprio il presidente statunitense ha annunciato che prima di partire per l’Arabia Saudita il 13 maggio farà “un grande annuncio, e sarà molto positivo”. Secondo la tv saudita al Arabiya ”la comunicazione sarà sull’invio di aiuti a Gaza” che gli Usa sarebbero pronti a inviare con una iniziativa unilaterale. Intanto sul terreno le ruspe militari dell’Idf hanno di fatto dato il via all’operazione Carri di Gedeone, iniziando gli sbancamenti di terra nel sud-ovest della Striscia per allestire centri logistici dove verrà evacuata la popolazione del nord e del centro di Gaza.

Non si tratta di un’area continua, bensì di vaste zone intorno a Rafah, praticamente deserte e con la maggior parte degli edifici rasi al suolo. Un’azienda Usa distribuirà aiuti alimentari, medicinali e servizi igienico-sanitari. Le consegne passeranno attraverso il valico di Kerem Shalom, ispezionate e scortate dall’Idf. La società americana, che attualmente gestisce l’ispezione dei civili verso il settentrione dell’enclave, provvederà alla distribuzione. L’esercito, insieme con lo Shin Bet, impedirà ai terroristi di Hamas e della Jihad islamica palestinese di fuggire dalle future zone di combattimento della fase tre del piano, di usare la popolazione civile come scudo umano e rubare per sé e rivendere gli aiuti umanitari.

Continua a leggere

Economia

Corte Conti Ue dura su Pnrr: scollegato dai risultati

Pubblicato

del

Duro bilancio della Corte dei conti europea sul dispositivo per la Ripresa e la resilienza, soprattutto per lanciare un avvertimento sul prossimo Bilancio Ue e l’ipotesi di legare di nuovo fondi europei a riforme o risultati. “Sebbene il Pnrr abbia svolto un ruolo cruciale nella ripresa post-pandemica dell’Ue, abbiamo riscontrato diverse debolezze in termini di performance, responsabilità e trasparenza”, ha spiegato Ivana Maletić, membro della Corte. “I finanziamenti di futuri strumenti basati sulla performance dovranno essere meglio collegati ai risultati e disciplinati da regole chiare – ha aggiunto il coautore Jorg Kristijan Petrovič -: altrimenti, questo sistema non andrebbe utilizzato”.

Secondo gli auditor europei, in particolare, il Recovery “non è realmente uno strumento che eroga finanziamenti sulla base della performance”, perché “pone maggior enfasi sui progressi”. Anche se i pagamenti sono legati a traguardi e obiettivi, si riferiscono più spesso a output (come edifici ristrutturati o chilometri di ferrovie) che a risultati concreti, rendendo difficile valutare l’efficacia delle misure. La Commissione però non ci sta: pur dicendosi “lieta” che sia stato riconosciuto l’impatto positivo del Pnrr, afferma che “non sembra basato su alcun riscontro” il giudizio che il Recovery non è basato sulla performance.

Lo è “chiaramente”, rivendica. “Incentivando gli Stati membri ad affrontare le loro sfide strutturali, ha accelerato l’attuazione di riforme vitali in aree come occupazione, istruzione e ambiente imprenditoriale”, ha anche segnalato il vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto (Nella foto Imagoeconomica in evidenza). L’analisi degli auditor europei è comunque impietosa, anche se riprende giudizi già espressi dalla Corte dei Conti a Lussemburgo in più occasioni: “Le informazioni sui risultati sono modeste”, afferma, e “l’efficienza della spesa e il rapporto costi-benefici non possono essere misurati”. La Commissione “non raccoglie dati sui costi effettivi”, accusa. E di conseguenza, “non è chiaro quello che i cittadini ottengono in concreto grazie a questi fondi”.

La Corte lamenta anche che “non esiste un quadro completo su chi siano i destinatari finali dei fondi”. L’erogazione agli Stati membri non garantisce che il denaro abbia raggiunto l’economia reale. In alcuni casi, i fondi sono rimasti presso istituzioni intermedie, come la Banca europea per gli investimenti. Nonostante alcuni miglioramenti recenti, “i sistemi di controllo del Recovery non sono ancora abbastanza robusti”. Sono affidati ai singoli Stati, ma ci sono debolezze e la Commissione “non può imporre rettifiche finanziarie” per singole violazioni, salvo casi gravi, e “alcuni Paesi hanno ricevuto consistenti finanziamenti ancor prima di avere completato i progetti”. E ancora, “solo la metà circa delle misure ha prodotto risultati concreti”. E “l’assenza di indicatori adeguati limita in modo significativo la possibilità di valutare l’impatto delle riforme”. Ci sono metodologie su traguardi e obiettivi diverse per ogni Stato con un “rischio di disparità di trattamento”.

A fine 2024 erano state presentate 128 delle 151 richieste di pagamento previste (85%), ma con forti disparità tra Paesi. Mentre il 42% dei fondi è stato erogato, solo il 28% dei traguardi e obiettivi è stato raggiunto: “una quota significativa dei finanziamenti è stata versata senza che le misure corrispondenti fossero state completate”. Insomma, l’invito è quello di evitare di ripetere in futuro un modello che “non garantisce informazioni sui risultati, sui costi effettivi e sui beneficiari finali”. Per strumenti così è necessario che “i finanziamenti siano chiaramente collegati ai risultati” e che vi siano “regole chiare e comuni per tutti gli Stati membri”. “Una semplice copia e incolla non è un’opzione”.

Continua a leggere

Cronache

Legambiente, sentenza Cedu su fonderie Pisano rende giustizia

Pubblicato

del

“Dopo la sentenza sulla Terra dei Fuochi, la Cedu torna in Campaniadove ancora una volta si condanna al mancato rispetto del diritto alla vita questa volta privata. Finalmente una sentenza che rende giustizia e che dovrà assicurare il diritto alla salute dell’intero territorio grazie al lavoro importante dell’associazione Salute e Vita e dei cittadini che hanno presentato il ricorso. Una comunità, quella tra Salerno, Pellezzano e Baronissi, come denunciamo da decenni, esposta agli effetti di un’azienda che non ha avuto la lungimiranza di investire in ricerca e innovazione per mettere al sicuro contemporaneamente cittadini, lavoratori e produzioni”. Lo scrivono in una nota Stefano Ciafani e Mariateresa Imparato, presidente nazionale e regionale di Legambiente, commentando la sentenza Cedu su Fonderia Pisano.

“Legambiente – prosegue il comunicato – chiede che si dia seguito con azioni concrete di bonifica, monitoraggi ulteriori sulla salute dei cittadini, riconversione industriale e delocalizzazione, trasparenza e partecipazione nei prossimi passi che tutti gli enti interessati dovranno mettere in campo per dare risposte puntuali e risolvere quella che si presenta, come una delle peggiori criticità del territorio salernitano”. Sulla vicenda interviene anche il presidente del Codacons Campania, Matteo Marchetti, secondo cui “questa sentenza è la dimostrazione ancora una volta che lì dove lo Stato Italiano almeno in parte fallisce interviene l’Europa; il Codacons Campania è stato per anni in battaglia nei processi penali nei confronti delle Fonderie Pisano per la salvaguardia dell’ambiente nella città di Salerno e nella valle dell’Irno, complimenti a tutti coloro che hanno ottenuto anche questo importante risultato che costituirà un rilevantissimo precedente in tutta Italia per la lotta all’inquinamento ambientale”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto