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Squadra tecnica o politica, il nodo di Draghi

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Il sostegno della Lega a Mario Draghi scombussola i piani di una ‘maggioranza Ursula’ e rischia di cambiare l’assetto che l’ex presidente della Bce potrebbe aver avuto in mente fino ad oggi per il suo esecutivo: non piu’ un Governo tecnico, sia pure con una forte connotazione e presenza politica, ma un Esecutivo di unita’ nazionale piu’ simile a quello che fu guidato da Dini. Dunque, ministeri tecnici, eventualmente alcuni anche spuri, con esperti d’area ma non espressione diretta dei partiti. Con questa configurazione l’asset squisitamente politico potrebbe essere compreso nbella squadra dei vice e sottosegretari, con deleghe specifiche. Obiettivo – si ragiona in ambienti politici della vecchia maggioranza – alleggerire Draghi dall’esercizio troppo gravoso del ‘bilancino’ nella formazione e conduzione del Governo. E rendere la scelta dei ministri piu’ facile da digerire per i partiti, allontanando pericolosi veti incrociati. Eventualmente mantenendo una figura politica nel ministero che simbolizza il rapporto tra governo e camere: quello dei Rapporti con il Parlamento. Da qui la nuova girandola di indiscrezioni sul toto-ministri: si ripresentano quindi i nomi di Marta Cartabia per la Giustizia, di tecnici come Lucrezia Reichlin, Dario Scannapieco, Daniele Franco o Luigi Federico Signorini per il Mef, anche se quest’ultimo – si sotolinea in ambienti politici – sembrerebbe piu’ orientato a futuri ruoli apicali in Bankitalia. Senza escludere super-manager come Vittorio Colao per le questioni chiave del recovery e delle imprese. Intanto, l’incertezza sulla data dei possibili colloqui con le parti sociali, inizialmente previsti per lunedi’ prossimo, potrebbe rappresentare la spia di un programma di Governo da definire con altri canoni , alla luce degli sviluppi. Dopo l’incontro con Draghi, Matteo Salvini e’ apparso molto determinato e ce l’ha messa tutta per descrivere il presidente della Bce come ‘uno di noi’. Ed ha rimarcato diverse convergenze con il premier incaricato (imprese, riapertura dei cantieri, nessun aumento delle tasse). Soprattutto ha smussato i toni sull’Europa, e non ha fatto accenni a Quota 100, possibile scoglio futuro. Era decisamente piu’ abbottonato Vito Crimi, a guida della delegazione Cinque Stelle, che pure si e’ soffermato su agenda green, digitale, imprese, come linee guida di una sintonia con Draghi. La pausa del weekend servira’ al premier incaricato per raccogliere le idee. Il suo obiettivo – si ragiona in ambienti parlamentari – e’ raccogliere una maggioranza piu’ ampia possibile su un programma che coinvolga i partiti sui temi loro piu’ cari, smussando gli angoli sui temi piu’ divisivi. Ad esempio, su agenda green, digitale, spinta all’istruzione, alla formazione, all’occupazione giovanile per chiudere i gap con l’Europa, e’ piu’ facile il raccordo con i 5 Stelle, magari con un tagliando del reddito di cittadinanza, la loro misura ‘bandiera’. C’e’ invece tempo per affrontare scogli pericolosi come Montepaschi o la partita coi Benetton. Una delle prime emergenze, trasversale al recovery plan italiano, e’ costituita dal riavvio dell’attivita’ economica, dove Draghi avrebbe gioco forte a trovare il sostegno della Lega, si rileva in ambienti economici e finanziari. L’ex presidente della Bce punterebbe piu’ sugli investimenti del recovery che sugli sconti fiscali, si aggiunge dagli stessi ambienti. Ma sa bene che la stagione dei ristori e degli aiuti non si chiude dall’oggi al domani. E avrebbe in mente un piano ‘forte’ per la bomba a orologeria del debito delle imprese. Lo scoglio, con una scadenza temporale a fine anno, potrebbe essere ‘Quota 100′, e’ la valutazione che si fa tra i partiti . Certo, Draghi non rinuncera’ al suo europeismo, al rappresentare il recovery come parte del progetto europeo. Se c’e’ un filo comune col Draghi che tesseva alleanze nel Consiglio Bce e nei tavoli europei e isolava la Bundesbank stringendo un asse d’acciaio con la Merkel, e’ che fino all’ultimo l’ex presidente della Bce tiene le carte coperte. Ascolta, ma non si lega le mani. Conta sulla forza inerziale che ha provocato un terremoto fra i partiti, riuscendo a mobilitare una maggioranza solida. Mantenerla richiedera’ un programma asciutto incentrato sui cinque punti essenziali, sono convinte molte forze politiche che hanno incontrato l’incaricato durante il primo giro di consultazioni: lotta alla pandemia, emergenza vaccini, accelerazione della ripresa, coesione sociale, giovani.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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