Un “film intimo e sentimentale”: detto da Stefano Sollima, il regista delle serie Romanzo Criminale e Suburra, di Acab e Sicario, non c’è granchè da stare tranquilli, ma è il suo nuovo mood ed arriva fino a Venezia 80 in concorso. È Adagio, una storia scritta con Stefano Bises, piena di azione, inseguimenti, sangue in una Roma senza Colosseo, tutta periferia mentre sullo sfondo dei Castelli brucia. “Un gangster movie, un noir – dice il regista – che ha al centro la paternità, tutte le forme possibili di amore filiale, di rapporto tra padri e figli biologici e non. E però tra vecchi banditi e nuovi criminali che si muovono solo per denaro, tra polizia corrotta, avanza un cuore puro, un ragazzo diverso, sensibile, come quelli delle nuove generazioni, che saranno pure svagati, fluidi ma sono la nostra speranza e io da padre ci credo davvero”.
Una produzione The Apartment, Vision, Alterego (in collaborazione con Sky e Netflix) su cui talmente si punta da uscire con Vision Distribution per Natale, il 14 dicembre. Merito all’appeal di questo regista figlio d’arte, cresciuto a set e cinepresa, di una storia avvincente e in un cast all star con Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini – tutti fisicamente quasi irriconoscibili per esigenze di copione – al servizio del protagonista, il giovane debuttante Gianmarco Franchini. Per i magnifici quattro “una chiamata irresistibile” vista la fama di Sollima “di fare cinema cinema, con set impegnativi, faticosi, ma potenti” dicono in coro.
“Con Sollima ho già lavorato tanto – dice Favino – mi preoccupa che consideri Adagio la fine della sua trilogia su Roma perchè noi attori non aspettiamo altro”. Una Roma apocalittica e realistica al tempo stesso, “vista ad altezza strade, via Prenestina, via Casilina, il Mandrione, la stazione Tiburtina, senza monumenti, cinematograficamente poco vista”, osserva Sollima, un set protagonista in cui richiamare all’opera reduci della Banda della Magliana che erano stati potentissimi e oggi invecchiano male, il cieco Mastandrea, il mezzo pazzo Servillo, il disperato Favino. “Non cercano redenzione perchè per quei criminali è impossibile ma provano a salvare il ragazzo”, aggiunge Favino che ogni giorno sul set per trasformarsi anche come aspetto fisico nel rabbioso, rancoroso, affranto criminale che ha perso il figlio sulle sue orme, impiegava cinque ore.
“Avevo voglia di girare una storia a Roma, chiudere un cerchio ideale – spiega Sollima evocando Romanzo Criminale e Suburra – ma questa volta c’è sentimento e speranza. A me piace raccontare gli esseri umani, non li giudico, li amo tutti ma qui nella Roma vista come Los Angeles, tre leggende criminali si muovono braccati dal poliziotto corrotto Adriano Giannini, andando alla fine in una direzione, l’amore per un figlio, in cambio di niente. A mio modo sono diventato sentimentale”. Per Servillo (che recita in un inedito romanesco), è la prima volta con Sollima, “affascinato dalla storia e da questi compagni di viaggio”: è il padre di Manuel, “un personaggio dal destino segnato ma che se la gioca fino all’ultimo”. Scherza Valerio Mastandrea: “i film di Sollima sono potenti, sui suoi set è sospeso lo stato di diritto, sei immerso lì dentro e non puoi fare altro nè vedere la tua famiglia”.E ha parole di lodi per Adriano Giannini, che nel film copre gli occhi blu con lenti scure, per entrare ancor più nella parte, “per me – dice l’attore che interpreta un poliziotto premuroso con la famiglia, spietato fuori – il personaggio è un lupo affamato e senza scrupoli”.
In Adagio di Sollima, una Roma senza luce
Uno Stefano Sollima, regista di film d’azione, fuori dalla sua comfort zone e che si avventura in prospettive più autorali, introspettive, ma sempre piene di ritmo e adrenalina. È quello che accade in ‘Adagio’ che approda legittimamente in concorso in questa Ottantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Di scena una Roma distopica, sporca, rumorosa, caotica, inedita per location (con una tangenziale che la fa da padrona) e con un orizzonte sempre in fiamme, di un rosso incendio che non promette niente di buono. Una Capitale a cui ogni tanto manca la luce, si spegne tutto aggiungendo caos al caos. In questo scenario finis mundi si agitano personaggi caricaturali, spettrali, da fumetto Sin City, che Sollima mette in campo rispolverando anche il mito della Banda della Magliana. E questo attraverso tre rappresentanti: Pierfrancesco Favino, del tutto pelato e spettrale, nei panni di Cammello; un Valerio Mastandrea cieco nei panni di Paul Niuman e, infine, un Toni Servillo, a corrente alternata come lucidità, che interpreta Daytona. Ed è proprio da questo stagionato criminale, ancora però capace di sorprese, che parte tutto, o meglio da suo figlio adolescente di sedici anni Manuel che a un certo punto si mette in un grosso guaio. Un giorno gli viene infatti chiesto di scattare alcune foto a un misterioso individuo durante un mega party en travesti, ma Manuel capisce di essere stato raggirato, che c’è qualcosa di molto grosso dietro, e decide così di darsi alla fuga. Subito però si mettono sulle sue tracce persone che non scherzano, che sanno bene chi è la persona che si vuole buttare in mezzo, insomma brutti ceffi capeggiati da un Giancarlo Giannini mai visto in un ruolo così da balordo. Ad aiutarlo sarà proprio il padre e i suoi amici di banda, ma riusciranno questi vecchi criminali a proteggerlo? Dopo il successo internazionale di Soldado e Senza rimorso, Stefano Sollima è tornato con Adagio a lavorare in Italia. Il film è stato scritto insieme a Stefano Bises proprio con l’intento di raccontare la sua Roma e di realizzare così l’ultimo capitolo della sua trilogia criminale romana iniziata con A.C.A.B nel 2012 e proseguita con Suburra nel 2015.