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Economia

Scure sul Fondo Auto, la manovra taglia 4,6 miliardi

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Spunta inatteso nella legge di bilancio un taglio drastico di 4,6 miliardi di euro al Fondo Automotive, varato nel 2022 dal governo Draghi a sostegno degli incentivi alla domanda e per la riconversione della filiera. Una riduzione enorme visto che i 5,8 miliardi ancora disponibili degli 8,7 stanziati fino al 2030 si ridurrebbero a 1,2 miliardi, quindi appena 200 milioni all’anno. Ed è subito rivolta: alzano la voce le imprese che parlano di “inaccettabile fulmine al ciel sereno” e i sindacati che vogliono un incontro alla Presidenza del Consiglio.

“Siamo impegnati a garantire che la filiera dell’automotive abbia gli strumenti necessari per affrontare la sfida della transizione – assicura il ministro Adolfo Urso – Tutte le risorse andranno sul fronte degli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica che è la vera forza del Made in Italy”. Un nuovo fronte di tensione si apre, quindi, mentre continua da parte di Confindustria il pressing sul governo per ottenere un piano di investimenti di lungo respiro e incentivi alla produzione. Domani la Commissione Bilancio deciderà il calendario delle audizioni a partire dal 4 novembre, giorno in cui i sindacati sono convocati a Palazzo Chigi, presente la premier Giorgia Meloni. Il 13 novembre toccherà alle associazioni d’impresa. Gli industriali senza attendere hanno già messo le diplomazie al lavoro e anche fatto trasparire un po’ di delusione. “Stiamo interloquendo, ho ricevuto poco fa una telefonata di Giorgetti, continuiamo a sentirci” spiega il leader Emanuele Orsini all’assemblea degli industriali di Torino.

“Abbiamo fatto delle proposte – aggiunge – che guardano tutte alla crescita e agli investimenti, vogliamo che il Paese sia attrattivo e che i nostri imprenditori continuino a investire. Stiamo premendo per interventi come l’Ires premiale”. Tra le richieste di Confindustria ci sono anche il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, il piano casa (“è nella legge di bilancio, speriamo che rimanga”, dice Orsini), la semplificazione dell’accesso ai fondi di Industria 5.0 previsti nel Pnrr. Gli occhi della politica sono anche puntati al Concordato Preventivo: il termine per l’adesione scade il 31 ottobre e dal dato dipendono risorse da usare per altri interventi. Lo dice chiaramente Antonio Tajani.

“La manovra va nella direzione di sostenere l’economia reale e i ceti medi, soprattutto per quanto riguarda la conferma del taglio del cuneo fiscale e altre scelte che abbiamo fatto – afferma il vicepremier e ministro degli Esteri – Vediamo cosa ci sarà nel concordato preventivo, cioè quanti soldi arriveranno e quindi si potranno utilizzare. Per quanto ci riguarda puntiamo a continuare a ridurre dal 35 al 33% le aliquote Irpef medie e allargare la platea fino a 60.000 euro”. Forza Italia parla di “una manovra seria, rigorosa, che garantisce la credibilità del nostro Paese a livello internazionale” e indica tra le priorità pensioni minime e sugar tax. Il faro è puntato sul taglio al fondo automotive, varato quando – ricorda l’Anfia – proprio Giorgetti era ministro dello Sviluppo Economico.

“Il taglio alle già scarse risorse stanziate contraddice in modo clamoroso l’importante attività che il governo sta svolgendo in Europa a favore del settore e annulla mesi di intenso lavoro del Tavolo Sviluppo Automotive”, sottolinea l’associazione che auspica “di vedere fortemente ridotto il taglio che segnerebbe una profonda frattura nella fin qui ottima collaborazione tra la filiera e il governo”. Protestano anche Fim, Fiom e Uilm: “Si ignora – spiegano i segretari generali Ferdinando Uliano, Michele De Palma e Rocco Palombella – un intero settore e le richieste di oltre 20.000 lavoratori che il 18 ottobre hanno partecipato allo sciopero nazionale e alla manifestazione di Roma. Questa mobilitazione, anziché trovare ascolto, è stata seguita da un provvedimento che va nella direzione opposta”.

(La foto in evidenza GRUPPO STELLANTIS / AZIENDA CASA AUTOMOBILISTICA è di Imagoeconomica)

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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