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Cronache

Scarcerati 15 presunti boss del clan Moccia, Gratteri chiede una relazione: bufera sulla giustizia napoletana

Dopo la scarcerazione per decorrenza dei termini di 15 presunti membri del clan Moccia, il procuratore Gratteri chiede chiarimenti. Processo fermo da tre anni. La Procura valuta l’appello.

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La notizia della scarcerazione di 15 imputati nel maxi-processo al presunto clan Moccia, nel cuore dell’estate, non è passata inosservata. A muoversi è stato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, che ha chiesto una relazione dettagliata ai magistrati titolari dell’inchiesta e all’aggiunto competente, con l’obiettivo di ricostruire i motivi che hanno portato a una simile deflagrazione giudiziaria.

I boss tornano liberi per decorrenza dei termini

Due distinti provvedimenti, emessi tra venerdì e sabato dalla sesta sezione penale del Tribunale, hanno disposto la liberazione di nove presunti capi e sei affiliati del clan radicato storicamente tra l’area nord di Napoli e la provincia. Le accuse sono pesantissime: associazione camorristica e riciclaggio.

La motivazione alla base delle scarcerazioni è chiara: decorrenza dei termini di custodia cautelare, in assenza di una sentenza di primo grado a tre anni dall’apertura del processo. Alcuni imputati saranno comunque sottoposti a restrizioni, tra cui l’obbligo di dimora fuori da Campania e Lazio, regioni ritenute ad alto rischio di contatti con l’organizzazione.

I dubbi sui tempi e le anomalie del procedimento

La vicenda solleva interrogativi pesanti sul funzionamento della macchina giudiziaria. Il fascicolo, formalmente incardinato dinanzi al collegio C della settima sezione penale, è stato oggetto di intervento da parte di un altro collegio (la sesta sezione), in un passaggio che contribuisce ad aumentare l’opacità della situazione.

Il processo, costato centinaia di migliaia di euro, ha coinvolto oltre 50 indagati e ha visto più di 60 udienze in tre anni. Nonostante l’impegno apparente, non si è arrivati a una sentenza di primo grado. E ora si attende l’analisi chiesta anche dalla presidente della Corte d’Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, al presidente del Tribunale Gian Piero Scoppa.

Gratteri vuole chiarezza e prepara la contromossa

Nel suo ufficio, Gratteri lavora per comprendere in modo puntuale ogni passaggio: dalle richieste di rinvio ai verbali di udienza, dai cambi di collegio agli interrogatori dei collaboratori di giustizia, fino all’ascolto della polizia giudiziaria e delle parti offese. Il nodo è uno solo: cosa non ha funzionato? E soprattutto, come evitare che simili casi si ripetano?

L’attenzione è puntata anche sulla definizione del calendario processuale, che avrebbe fissato dicembre 2025 come scadenza per concludere il processo. Una tempistica che, per Gratteri – forte della sua esperienza nei maxi-processi calabresi come Rinascita-Scott – appare ingestibile in un processo con così tanti imputati.

Verso l’appello al Riesame

Nel frattempo, le pm anticamorra Ida Teresi e Ivana Fulco, titolari del fascicolo, stanno valutando la possibilità di impugnare i provvedimenti di scarcerazione davanti al Tribunale del Riesame. Una decisione complessa, che dovrà considerare i profili procedurali, ma anche la tenuta pubblica della giustizia, messa in discussione da una vicenda che rischia di minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nei confronti dell’intero sistema.

La sensazione, ora, è che la Procura voglia recuperare il controllo di un caso divenuto emblematico di una giustizia che, tra ritardi, ingorghi e burocrazia, rischia di far saltare processi delicatissimi. E mentre i presunti boss tornano a respirare l’aria libera, Napoli si interroga sul peso della camorra e sul peso della legge.

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Cronache

Francis Ford Coppola operato a Roma dal professor Andrea Natale, luminare della cardiologia rientrato dagli USA

Francis Ford Coppola ha scelto il policlinico Tor Vergata di Roma per un delicato intervento al cuore eseguito dal professor Andrea Natale, amico e luminare dell’elettrofisiologia.

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Francis Ford Coppola ha scelto l’Italia, e in particolare Roma, per sottoporsi a un nuovo intervento al cuore. Il regista premio Oscar si è affidato ancora una volta a Andrea Natale, luminare della cardiologia internazionale e attuale primario del reparto di Elettrofisiologia al Policlinico universitario di Tor Vergata. A rivelarlo è stato lo stesso regista, con un post sui social in cui ha ringraziato il medico italiano e confermato di aver approfittato di un viaggio nel Belpaese per un trattamento di ablazione della fibrillazione atriale.

Il legame tra San Francisco, Roma e la Basilicata

Il professor Natale, 64 anni, originario di Siracusa, vive a Roma da quando aveva 4 anni. La sua amicizia con Coppola risale a trent’anni fa, quando lo aveva già curato negli Stati Uniti. «Si era affidato a me quando lavoravo a San Francisco – racconta – da allora ci siamo sentiti spesso, soprattutto per gli auguri. Una persona squisita». Quando Coppola ha chiesto di rivederlo, il cardiologo gli ha consigliato di restare negli Stati Uniti. Ma il regista, che possiede una villa in Basilicata e ha il passaporto italiano, ha preferito tornare in Italia per affidarsi di nuovo a lui.

Il ritorno in Italia dopo 36 anni

Per oltre tre decenni, Andrea Natale ha esercitato all’estero, con l’ultima esperienza ad Austin, Texas, dove era considerato un riferimento mondiale nell’ablazione per aritmie. «Sono andato via per lo stesso motivo che spinge tanti medici italiani all’estero: il sistema sanitario. Mi sono laureato a Firenze e specializzato al Gemelli, poi ho lasciato l’Italia», racconta. Nel 2024, l’università di Tor Vergata lo ha richiamato con una nomina per chiara fama. Non è stato un ritorno semplice: «Una parte dell’ateneo non mi voleva. All’inizio mi sono pentito. Poi ho resistito. Oggi va meglio e il mio team è motivato».

Meritocrazia e nuove sfide

Il professor Natale ha scelto di tornare a vivere con la moglie nel piccolo appartamento di famiglia al Nuovo Salario. Una vita completamente diversa da quella americana: «Guidare a Roma è pazzesco. Ma ho accettato la sfida. Voglio dimostrare che anche in Italia si può cambiare, lavorando con meritocrazia e risultati». È uno dei massimi esperti mondiali di elettrofisiologia, ha sviluppato nuove tecniche e collabora con aziende per dispositivi di ultima generazione.

Tra passioni personali e radici familiari

Figlio di un chirurgo, ha scelto la cardiologia perché affascinato dalle novità nei trattamenti coronarici. Ama i gatti, come sua madre, anche se al momento non ne ha uno. Ex velista e appassionato di immersioni, oggi va in palestra tutte le mattine. E da sportivo non perde una partita del suo idolo: Jannik Sinner, che ha anche seguito dal vivo agli US Open.

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Cronache

Morte di Claudio Lazzaro all’ospedale di Cagliari, aperta un’inchiesta per omicidio colposo

Claudio Lazzaro, ex inviato del Corriere della Sera, è morto dopo un ricovero al Businco di Cagliari. Le figlie denunciano gravi negligenze. Un medico è indagato.

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Flebo mai attaccate, ossigeno rimosso prematuramente, pastiglie lasciate nei cassetti, medici irreperibili, infermieri scocciati. È questo il racconto drammatico della degenza in ospedale di Claudio Lazzaro, ex inviato del Corriere della Sera, morto il 29 luglio all’ospedale Businco di Cagliari. Aveva 80 anni. Le figlie Diana e Gaia, assistite dall’avvocata Alessia Sangiorgio, hanno presentato una denuncia che ha portato la procura ad aprire un’inchiesta per omicidio colposo.

Un medico del Day Hospital è stato iscritto nel registro degli indagati. Un atto dovuto per consentirgli di nominare un consulente in vista dell’autopsia, disposta dal pm Giangiacomo Pilia, che oggi dovrebbe fornire le prime risposte sulle cause del decesso.

Il ricovero e il peggioramento delle condizioni

Lazzaro, affetto da un tumore alla prostata, aveva lasciato Roma e il Policlinico Gemelli per passare l’estate nella sua casa a Chia, in Sardegna. Doveva sottoporsi alle ultime due sedute di chemioterapia presso il Businco di Cagliari. Ma il 22 luglio, dopo giorni di vomito e difficoltà a mangiare, ha deciso di farsi ricoverare.

Da quel momento, secondo quanto riportato nella denuncia, le condizioni sono peggiorate. Il paziente lamentava sete intensa, e la disidratazione viene indicata come possibile concausa del collasso renale che lo ha stroncato.

Una lunga lista di omissioni e negligenze

Il racconto delle figlie è un atto d’accusa durissimo. Parlano di un padre lasciato solo, senza visite mediche regolari, con il telecomando del letto posizionato troppo in alto per poter chiedere aiuto. Alcune flebo non venivano attaccate, altre erano vuote o lasciate sul tavolo. Le informazioni mediche venivano fornite con riluttanza e gli infermieri erano spesso confusi o indisponibili. Una collega si sarebbe rifiutata di sollevare il paziente perché troppo pesante.

Le pastiglie che dovevano essere somministrate? Trovate nel cassetto. I medici? «Non ne ho mai visto uno visitare papà», ha scritto Diana nella denuncia.

Il decesso e il messaggio tardivo del medico

Il 29 luglio alle 18:31 la chiamata che annuncia il decesso. Il giorno dopo arriva una mail dal medico indagato, lo stesso che aveva accolto Claudio Lazzaro in ospedale e promesso che sarebbe stato «facilmente reperibile». Scrive: «Buongiorno, ho purtroppo appreso dell’evoluzione del papà. Sono disponibile per un colloquio».

Il suo avvocato, Gianluca Aste, ha spiegato che non ha ancora avuto accesso alla denuncia e che ogni valutazione è prematura. Tuttavia, sostiene che la morte non può essere attribuita alla condotta del suo assistito.

Un giornalista rigoroso e un uomo di grande umanità

Claudio Lazzaro era stato un giovane cronista all’Europeo, aveva lavorato accanto a Oriana Fallaci, e poi per anni al Corriere della Sera, tra Cronache ed Esteri. Amatissimo dai colleghi, descritto come educato, colto, puntiglioso, antifascista e profondamente umano, aveva lasciato la redazione nel 2005 per dedicarsi alla regia documentaristica.

Sua figlia Diana lo ricorda così: «Se si fosse imbattuto in un caso simile a quello della sua morte, non avrebbe mai smesso di fare domande». Ora sono lei e sua sorella Gaia a volerle fare, per lui. E per la verità.

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Caso Raoul Bova, anche il Garante della Privacy contro Corona: aperta un’istruttoria sugli audio diffusi online

Il Garante per la Privacy avvia un’istruttoria sulla diffusione degli audio privati di Raoul Bova: nel mirino Fabrizio Corona e altri utenti che hanno fatto circolare il materiale.

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Dopo l’apertura dell’indagine penale da parte della procura, si apre ora un secondo fronte giudiziario sulla vicenda che vede coinvolti Raoul Bova e l’influencer Martina Ceretti. Il Garante per la protezione dei dati personali ha infatti avviato un’istruttoria formale sulla diffusione di conversazioni e audio privati dell’attore, raccolti durante il suo rapporto con la giovane 23enne.

La decisione è scaturita su richiesta degli avvocati di Bova, David Lecci e Maria Bernardini de Pace, che hanno chiesto l’intervento dell’autorità per bloccare la diffusione illecita di materiale personale. Chiunque abbia contribuito alla circolazione dei contenuti rischia ora una sanzione amministrativa, che può arrivare fino a 20 milioni di euro, a seconda della gravità della violazione.

Fabrizio Corona nel mirino dell’autorità

Il primo nome coinvolto è quello di Fabrizio Corona, che attraverso il suo podcast “Falsissimo” ha diffuso gli audio e invitato apertamente il pubblico a condividerli: «Condividetelo con i vostri amici, così normalizziamo questo VIP». Un comportamento che, se confermato, aggraverebbe la sua posizione agli occhi del Garante.

Nel caso in cui l’Autorità dovesse accertare la violazione, Corona potrebbe ricevere una sanzione pari al 4% del fatturato della sua attività legata alla produzione del podcast. Il procedimento non sarà una semplice formalità: il Garante può infatti avvalersi della Guardia di Finanza per disporre perquisizioni e raccogliere materiale utile all’istruttoria.

Possibili sviluppi sulla posizione di Martina Ceretti

Al momento, Martina Ceretti non è indagata né denunciata dalla polizia postale, ma potrebbe essere ascoltata dal Garante per spiegare come gli audio siano passati dal suo telefono a quello di Corona, attraverso l’amico Federico Monzino. Se la sua posizione dovesse cambiare, acquisendo rilievo penale, avrebbe la facoltà di non rispondere all’Autorità amministrativa.

Ceretti, nel frattempo, è scomparsa dai social da quando il caso è divenuto di dominio pubblico. Il silenzio che la circonda alimenta i sospetti e rende ancora più delicata la ricostruzione dei passaggi che hanno portato alla divulgazione del materiale.

Attesa la prima informativa della polizia postale

I legali di Raoul Bova hanno chiesto ufficialmente la rimozione di tutti i contenuti pubblicati da Corona sui suoi canali social e digitali, chiedendo che venga applicata la normativa sulla tutela dei dati personali. Entro l’inizio di settembre, è attesa una prima informativa della polizia postale sul tentato ricatto subito dall’attore e sull’origine esatta della catena di diffusione.

Il caso si preannuncia complesso, ma ha già acceso un faro sulla violazione della sfera privata dei personaggi pubblici, ribadendo la centralità della tutela della privacy anche nel mondo dei social e dei podcast.

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